Sono passati molti anni dal 1986 da quando Israel Flamenbaum, del Ministero dell’Agricoltura d’Israele, ha pubblicato sul Journal of Dairy Science (JDS 69:3140-3147) un lavoro dal titolo “Cooling Dairy Cattle by a Combination of Sprinkling and Forced Ventilation and Its Implementation in the Shelter System” con l’effetto di stimolare l’attenzione mondiale sui danni provocati dal caldo alle bovine da latte e proponendo una soluzione pratica e molto innovativa.

Secondo Flamenbaum, una bovina che produce kg 30 di latte deve disperdere nell’ambiente una quantità di calore pari a quella sprigionata da 16 lampade ad incandescenza da 100 watt. Quando la temperatura esterna e l’umidità relativa (THI) aumentano, questo meccanismo di dispersione della temperatura corporea ha delle difficoltà, anche perché le bovine non possono ricorrere alla sudorazione ma solo all’ansimare, ossia all’aumento della frequenza respiratoria per ridurre la produzione endogena di calore. Già la combinazione di una temperatura esterna di 22 °C e di un’umidità relativa di solo il 40% provoca l’adozione da parte della vacca da latte di comportamenti finalizzati alla riduzione del calore prodotto dalla sua attività metabolica ed alla sua dispersione.

All’incremento di THI la bovina da latte reagisce in due fasi distinte, con l’obiettivo primario di mantenere costante la sua temperatura corporea che è di circa 38.5°C. Inizialmente è possibile osservare una riduzione dell’ingestione finalizzata alla riduzione della produzione di calore derivante dalle fermentazioni ruminali, un aumento del consumo d’acqua funzionale alla dispersione di calore dall’apparato respiratorio, una riduzione dell’attività motoria, che ha sempre l’obiettivo di ridurre il calore prodotto dal metabolismo muscolare, e l’ansimare, perché l’apparato respiratorio si comporta come il radiatore dei motori a scoppio. Questo nuovo assetto metabolico ha come conseguenza il calo della produzione di latte, grasso e proteine, una riduzione del comportamento estrale ed una riduzione del tempo passato sdraiata.

Questo status si può verificare ad inizio estate oppure per tutto il periodo caldo in caso di sistemi di climatizzazione e/o raffrescamento degli animali inesistenti o poco efficienti. Se il THI aumenta ulteriormente ed i sistemi di raffrescamento degli animali sono insufficienti è possibile che una parte, o tutte le bovine, si “ammalino” di stress da caldo. Questo status patologico si può oggettivamente diagnosticare attraverso la misurazione della temperatura corporea e della frequenza respiratoria. Basta un aumento di soli 0.5°C della temperatura corporea e una frequenza respiratoria di oltre 80 atti al minuto per diagnosticare che la singola bovina, o l’intero allevamento, è in stress da caldo, ossia che gli animali non sono stati in grado di gestire l’aumento di THI.

Come criterio differenziale tra la patologia individuale e quella collettiva si può utilizzare quello del 15%. Se oltre il 15% delle bovine presentano un aumento della temperatura rettale e della frequenza respiratoria questo significa che in stalla esiste un fattore di rischio collettivo, altrimenti si tratta di singole bovine che non riescono ad adattarsi al caldo e che quindi devono essere gestite individualmente.

Da uno studio effettuato dal nostro gruppo è stato possibile evidenziare come dopo l’estate, o meglio quando si ha un calo oggettivo della temperatura esterna e quindi della necessità delle bovine di adeguare il metabolismo per mantenere costante la temperatura corporea, la bassa produzione di latte e la ridotta fertilità persistano, apparentemente senza giustificazioni, fino all’inverno. Vista la complessità dell’argomento ed i numerosi aspetti in gioco abbiamo definito questa condizione “Sindrome della bassa produzione di latte in autunno” (SBPLA). La figura 1 fa riferimento all’ andamento della media produttiva e dei giorni medi lattazione negli anni 2014, 2015, 2016 e 2017 delle bovine di razza frisona che partecipano al programma di selezione genetica nazionale italiano.

Dalla tabella si evidenzia chiaramente come la produzione pro-capite inizi a calare già prima dell’inizio dell’estate (20-21 giugno, ossia dal solstizio d’estate). Dalla fine dell’estate (22-23 settembre) fino alla fine dell’autunno (22 dicembre, ossia il solstizio d’inverno), nonostante il THI scenda al di sotto della soglia di rischio e i giorni medi di lattazione si riducano fino ai livelli primaverili, la produzione rimane bassa. Analizzando l’andamento del latte prodotto negli USA, in Europa, in Russia e in alcuni grandi allevamenti cinesi si può tranquillamente affermare che la SBPLA è un problema planetario. In paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda, che si trovano nell’emisfero australe, ossia a sud dell’equatore, si osserva un andamento opposto, ossia la produzione minima di latte in primavera e quella massima in autunno, a testimonianza del fatto che il fotoperiodo rientra nei principali fattori eziologici di questa sindrome.

Figura 1: Fonte Ufficio Studi AIA

 

La SBPLA ha molti fattori di rischio ed eziologici ed è per questo che l’abbiamo voluta inserire nel novero delle sindromi.

In questi ultimi anni, molti allevamenti si sono dotati di sistemi di raffrescamento degli animali che hanno ridotto una parte delle perdite produttive e riproduttive tipiche dell’estate e dei mesi successivi. Molta strada va ancora percorsa, soprattutto nella selezione genomica, ossia nell’individuare riproduttori più resistenti al caldo e meno sensibili al fotoperiodo.

In questi lunghi anni di ricerca di soluzioni per mettere le bovine in condizione di adattarsi al meglio alle alte temperatura, si sono accumulate conoscenze sul ruolo della nutrizione clinica e funzionale.

La prima reazione delle bovine nel tentativo di acclimatarsi è di ridurre l’ingestione per diminuire la produzione di calore ruminale. Questo comporta una minore produzione del latte e la riduzione della sua concentrazione di grasso e proteine. Le misure nutrizionali da mettere in atto in questa situazione prevedono una profonda ristrutturazione delle diete delle bovine in lattazione e della loro somministrazione.

In considerazione del fatto che le vacche da latte in estate mangiano soprattutto durante la notte, si dovrebbero tenere accese le luci di stalla e somministrare la razione in coincidenza con la mungitura pomeridiana. Una metodologia considerata il “gold standard” è la somministrazione della razione (TMR) due volte al giorno in coincidenza con la mungitura del mattino e del pomeriggio, accostata alla mangiatoia, almeno 4 volte al giorno. E’ buona norma eliminare d’estate alimenti e additivi di scarsa appetibilità ed utilizzare i foraggi più digeribili presenti in azienda.

I consumi d’acqua aumentano in estate anche del 50%, ciò significa che una bovina in lattazione berrà mediamente oltre 120 litri d’acqua al giorno e lo farà maggiormente (60%) dopo le mungiture. Gli abbeveratoi devono essere posti preferenzialmente nella parte posteriore della corsia d’alimentazione e all’uscita della sala o dei robot di mungitura. Se la stalla è dotata di paddock esterni è bene dotarli di abbeveratoi posti all’ombra. In generale, e soprattutto in estate, il tema dell’approvvigionamento idrico delle bovine è piuttosto complesso per cui è consigliabile istallare un contalitri a monte della tubazione che rifornisce d’acqua gli abbeveratoi delle bovine. La ridotta ingestione e il grande uso che fa la bovina dell’acqua per tenere sotto controllo la temperatura corporea aumentano il rischio d’acidosi ruminale che, oltre ad aggravare la ridotta ingestione, aumenta il numero di bovine a rischio di laminite e che presenteranno la forma clinica alla fine dell’estate. E’ tuttavia necessario precisare che molte laminiti sono anche dovute alla riduzione delle ore che la bovina passa sdraiata nelle stalle scarsamente climatizzate.

Le razioni estive hanno in genere una minore concentrazione di amido ed una maggiore concentrazione di zuccheri e fibre digeribili da concentrati come la crusca, le buccette di soia e le polpe di barbabietola. La produzione di proteina metabolizzabile derivante dal microbiota ruminale in estate diminuisce e la riduzione della concentrazione di proteina del latte ne è la più affidabile testimonianza. La minore ingestione comporta inoltre anche la riduzione della proteina metabolizzabile degli alimenti a bassa degradabilità ruminale.

E’ consigliabile in estate aumentare la concentrazione proteica della razione agendo sulla quota a bassa degradabilità ruminale ed inserendo aminoacidi rumino-protetti come la metionina e/o la lisina alla dose consigliata dai software di razionamento basati sul modello CNCPS. Un sistema semplice ma molto efficacie per decidere se utilizzare la metionina o la lisina rumino-protetta e i rispettivi dosaggi è quello dose/risposta. Questo sistema prevede il dosaggio della concentrazione proteica o di caseina del latte di massa della stalla, o del gruppo dove si è ipotizzato l’inserimento degli amminoacidi. S’inserisce la dose di metionina o lisina stimata dal CNCPS e dopo pochi giorni si analizza nuovamente il latte per verificare se c’è stato un aumento della concentrazione proteica e caseinica e, in caso di risposta positiva, di quanto è aumentata. A questo punto, per tentativi successivi si decide il dosaggio corretto dell’amminoacido rumino-protetto limitante. Gli auto-alimentatori, i robot di mungitura e la suddivisione delle bovine in gruppi facilitano e rendono meno oneroso e più efficacie l’uso di questi additivi. Sempre a causa di un rallentamento delle fermentazioni ruminali, si riduce la produzione ruminale di vitamine del gruppo B, per cui un apporto supplementare, specie se di vitamine rumino-protette, può essere di valido aiuto alla salute delle bovine.

Una puntualizzazione è necessaria per la niacina, denominata anche vitamina PP o acido nicotinico. In estate, in virtù dell’aumento dell’entità del bilancio energetico e proteico negativo a partire dalle ultime settimane di gestazione e per tutti i primi 90 giorni di lattazione, si ha un più intenso dimagrimento delle bovine e quindi una maggiore lipo-mobilizzazione. La niacina, se utilizzata al giusto dosaggio (almeno gr 6 di principio attivo al giorno) è in grado di ridurre la mobilizzazione degli acidi grassi (NEFA) da tessuto adiposo e quindi di diminuire significativamente il rischio di lipidosi epatica e chetosi metabolica estiva. Quest’ultima malattia metabolica è la maggiore responsabile della riduzione della percentuale di bovine di razza frisona che superano i kg 40 al picco di lattazione e quindi della diminuita produzione media degli allevamenti (figura 2). Una chetosi sub-clinica riduce infatti del 7% la produzione al picco produttivo.

Figura 2: Fonte Ufficio Studi AIA

 

La niacina, inoltre, sembra avere un effetto vaso-dilatatore ed è quindi di aiuto alle bovine nella dispersione del calore corporeo.

Quello che cambia radicalmente in estate, o meglio quando il THI è > 68, è la gestione dei macrominerali della razione. Di grande importanza è il bicarbonato di sodio che, oltre ad avere un effetto tampone sul rumine, apporta il sodio che serve a scambiare, o meglio ad estrarre, gli ioni idrogeno (H+) che altrimenti sia accumulerebbero nelle cellule epiteliali ruminali distruggendole.

L’aumentata frequenza respiratoria delle bovine con stress da caldo può avere come grave effetto collaterale l’acidosi metabolica, a causa dell’elevata quantità di anidride carbonica eliminata. Alcuni allevamenti ubicati in aree a rischio, aumentano la concentrazione di cloro e zolfo nelle diete delle bovine in asciutta, specialmente nelle fasi di preparazione al parto, per contrastare gli effetti “alcalinizzanti” del sangue del potassio e del fosforo presenti in grandi quantità in alcuni fieni di pianura. Anche le bovine gravide e non in lattazione sono in difficoltà d’estate per cui, in questo periodo, è consigliabile ridurre o eliminare le aggiunte di cloro e zolfo nelle diete.

Nella tabella 1 vengono riportate le concentrazioni consigliate di macrominerali per le bovine in lattazione in estate.

 

Rubrica a cura di Vetagro


 

 

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