In tutto il mondo, la mastite rappresenta una delle principali e più costose malattie nella bovina da latte. La risposta infiammatoria all’infezione intramammaria (IMI, intra-mammary infection) esita in una mastite clinica o subclinica, quest’ultima rappresentante la forma più comune. Il costo medio di una mastite subclinica è stato stimato attorno agli 80 euro per vacca all’anno. Sebbene la conta delle cellule somatiche (SCC) nel campione proveniente dal singolo quarto rappresenti una metodica ampiamente utilizzata su campo per determinare la presenza di IMI, distinguere le bovine infette da quelle non infette non è ancora una procedura scevra da errori. In generale, la sensibilità (Se) e la specificità (Sp) della conta cellulare su latte di singolo quarto come indicatore di IMI in almeno un quarto, variano tra il 30% e l’89%, e tra il 60% ed il 90%, rispettivamente. Bisogna considerare che nel determinare la SCC concorrono anche altri fattori tra cui l’ordine di parto, l’età dell’animale, la frequenza delle mungiture, la stagione ed eventuali stress e che l’influenza di questi elementi non è ben quantificata. Infine, è necessario massimizzare il valore predittivo positivo (VPP) del test, ossia la probabilità di selezionare tramite SCC la bovina da indirizzare all’esame batteriologico che sia effettivamente infetta. A sua volta, il VPP dipende fortemente dalla prevalenza delle IMI nella mandria e dal valore soglia di SCC applicato, per cui non è il medesimo per tutte le mandrie. In Belgio, attualmente, si impiega una valore soglia si 250.000 cellule/mL; una bovina positiva a tre prelievi consecutivi (sulla base dei controlli funzionali eseguiti una volta al mese) viene sottoposta ad esame colturale in quanto sospetta infetta. Quanto tale soglia sia efficace nell’individuare bovine da sottoporre ad esame batteriologico non è stato stabilito. L’obiettivo di questo studio è stato:

1) determinare Se, Sp, VPP e valore predittivo negativo (VPN) di diversi valori soglia di SCC riferibili a conte cellulari di campioni da quarto singolo, sia sulla base di una sola osservazione, sia di osservazioni ripetute, al fine di differenziare animali infetti e non;

2) valutare l’influenza di fattori quali la prevalenza di IMI nella mandria, l’ordine di parto, lo stadio di lattazione, sulla Se, Sp, VPP e VPN sull’efficacia di tale soglia. A tal fine, il valore cut-off è stato identificato tramite metodo della curva ROC, considerando Se e Sp caratteristiche del test ugualmente importanti.

Sono state selezionate dodici mandrie di aziende commerciali da latte; in ogni azienda erano considerati 25 animali scelti casualmente all’interno delle diverse categorie di parto (primo, secondo, terzo ed oltre). In totale si ottenevano 780 campioni da singolo quarto da 195 animali clinicamente sani in occasione dei controlli funzionali (mensili o bimestrali); i campioni erano prelevati asetticamente dal veterinario aziendale dopo disinfezione del capezzolo e scarto del primo getto di latte. Si procedeva con la conservazione del campione a 4°C ed al trasporto in condizione di refrigerazione, fino al laboratorio. Per ogni bovina era eseguito, ogni 4 o 8 settimane, anche l’esame batteriologico. Erano incluse nello studio le vacche che, rispetto al test colturale, presentavano anche i risultati di almeno 3 prelievi per la conta cellulare dal campione di singolo quarto. I quarti erano classificati in: “non infetti” (o batteriologicamente negativi), “infetti da patogeni minori” ed “infetti da patogeni maggiori”. Erano considerati patogeni minori Corynebacterium bovis e stafilococchi coagulasi-negativi, mentre Staph. aureus, Strep. agalactiae, Strep. dysgalactiae, T. pyogenes e streptococchi esculina-positivi erano classificati come maggiori. Aziende con SCC media superiore a 200.000 cellule/mL erano considerate “ad alta prevalenza” di IMI; al di sotto di tale soglia, l’azienda aveva “bassa prevalenza” di IMI. Informazioni quali l’ordine di parto, lo stadio di lattazione ( <100 DIM; >100 e <200 DIM; >200 DIM), erano recuperate dal database relativo ai controlli funzionali eseguiti.

La percentuale delle vacche infette da patogeni maggiori era 32.5% e 5.3% rispettivamente, nelle aziende ad alta e bassa prevalenza. Di queste, il 13.8% erano manze ed il 25.5% erano multipare. Solo una bovina era infetta da un patogeno maggiore ed al contempo di trovava sotto i 100 giorni di lattazione. La percentuale di bovine infette da patogeni minori era ugualmente distribuita tra mandrie ad alta e bassa prevalenza di IMI, così come tra classi di età e di stadio di lattazione.

Erano testate diverse soglie di SCC al fine di differenziare animali effettivamente infetti da non infetti, tra quelli successivamente sottoposti ad esame batteriologico. Per ogni soglia impiegata, si valutavano Se, Sp, VPP, VPN, al 95% dell’intervallo di confidenza.

Il patogeno isolato più di frequente era C. bovis (49.9%), seguito da Staphylococcus spp. (24.5%), S. aureus (12.8%) e streptococchi esculina-positivi (7.6%).   

La sensibilità e la specificità del test, con un cut-off di 200.000 cellule/mL per singolo quarto campionato in prossimità dell’esame batteriologico, erano, rispettivamente, 44.3% e 87.3% nelle bovine infette da patogeni minori e 65.1% e 73.0% in quelle colpite da patogeni maggiori. Il VPP ed il VPN, impiegando lo stesso valore soglia in SCC per le stesse tipologie di campione erano di 89.9% e 38.1% per le vacche con batteriologia negativa, e 40.6% e 88.1% per quelle infette da patogeni maggiori. Non si osservavano differenze nelle caratteristiche dei test desunte dalla comparazione di osservazioni singole o dalla media geometrica di osservazioni ripetute. Per le infezioni con batteriologia negativa la sensibilità ed il VPP erano maggiori nelle mandrie con alta prevalenza, soprattutto quando si utilizzavano valori soglia di 50.000 e 100.000 cellule/mL. Per le bovine ad inizio e metà lattazione, sempre con batteriologia negativa, la specificità risultava maggiore rispetto alla tarda lattazione. Va considerato che l’infezione da patogeni minori in genere induce una risposta infiammatoria con SCC minore, rispetto ai patogeni maggiori, per cui il numero delle bovine false-negative al test, per una certa soglia, sarà maggiore. L’aumento della Sp per le IMI da patogeni maggiori nelle mandrie a bassa prevalenza, rispetto alla controparte ad alta prevalenza, utilizzando un valore soglia di 200.000 cellule/mL, potrebbe essere spiegato dalla presenza di un numero maggiore di bovine cronicamente infette nelle aziende ad alta prevalenza. Il fenomeno, ben conosciuto, dell’eliminazione discontinua di S. aureus nel latte incrementa il rischio di ottenere un risultato negativo alla coltura batterica da bovine infette con alta SCC, comportando un aumento dei falsi negativi. Sebbene la Sp sia inferiore per le IMI da patogeni maggiori nelle mandrie ad alta prevalenza, il VPP in queste aziende era maggiore che nella controparte a bassa prevalenza, confermando il ruolo della prevalenza nel determinare il VPP di un test. La stratificazione in base all’ordine di parto ha restituito una Se inferiore ma una Sp superiore per le manze rispetto alle multipare, dovuto probabilmente al fatto che l’aumento della SCC in animali infetti rispetto ai non infetti è meno evidente nelle manze rispetto alle multipare. Anche il maggior VPP nelle multipare può essere spiegato dal fatto che la prevalenza delle IMI nelle multipare sia maggiore che nella controparte primipara.

I risultati suggeriscono che il valore soglia della conta cellulare, impiegato per individuare le bovine da sottoporre ad esame batteriologico per individuare l’agente causativo di infezione intramammaria, dovrebbe essere stabilito tenendo in considerazione il tipo di patogeni che si vogliono ricercare, la prevalenza all’interno della mandria, lo stadio di lattazione e l’ordine di parto della singola bovina. Nel caso in cui il patogeno di interesse rientri nella cerchia dei “patogeni maggiori”, la soglia di SCC dovrebbe essere incrementata.

Evaluation of the composite milk somatic cell count as a predictor of intramammary infection in dairy cattle

Jashari R. et al.

Dairy Sci. 99:9271-9286

DOI: http://dx.doi.org/10.3168/jds.2015-10753