Le cellule somatiche (CS) del latte altro non sono che cellule del sistema immunitario (leucociti, ossia globuli bianchi) come i macrofagi, i neutrofili e i linfociti che si sono trasferite dal sangue alla mammella e che hanno il compito di controllare le infezioni di questo organo. Hanno questo strano nome perché in passato si pensava fossero cellule di sfaldamento della mammella dal momento che il soma, il cui significato è “corpo”, è il secondo elemento di termini come cromosoma. Il continuare a pensare che le cellule somatiche siano in buona parte cellule che si distaccano dal tessuto mammario e che si possono innalzare, a prescindere della presenza di un microrganismo, è una delle principali cause di “cronicizzazione” del problema.

Sarebbe opportuno che si eliminasse il termine cellule somatiche per sostituirlo con il più corretto leucociti del latte.

Le CS aumentano nel latte (leucocitosi) di ogni singolo quarto mammario, di una mammella o nel latte di massa quando in quest’organo è presente una quantità eccessiva di microrganismi indesiderati. Per consuetudine, si ritiene che da una bovina sana provenga un latte che ha meno di 200.000 CS/ml, anche se  il cut-off più corretto sarebbe quello con un valore inferiore a 100.000 CS/ml. Diverse sono le considerazioni da fare sul latte di massa. Se quest’ultimo ha più di 200.000 CS/ml significa che almeno il 15% delle bovine ha quarti infetti. Per ogni aumento di 100.000 CS/ml, oltre la soglia delle 200.000, questa percentuale aumenta del 10%. Se tale valore del latte di massa arriva al limite dell’ammissibilità per il consumo umano (400.000 CS/ml) significa che un terzo degli animali è infetto. A chi utilizza in stalla il California Mastitis Test (CMT) basti pensare che se il latte di massa ha 100.000 CS/ml, comunque più del 10% di quarti ha un valore al CMT ≥ 3 e il 50% di questi quarti è probabile sia infettato da batteri.

Anche la carica batterica del latte è attentamente normata ma le sue alterazioni sono principalmente correlate all’igiene della mungitura e alla conservazione del latte. Sia il Reg. CE 853/2004 che il Reg. CE 2073/2005 disciplinano la presenza, nel latte e nei sui derivati, di batteri potenzialmente patogeni per la salute umana, o loro metaboliti, come le entero-batteriacee in senso generale, E. coli e gli Stafilococchi coagulasi-positivi rilevabile con specifici metodi d’analisi normati ISO e EN/ISO. A titolo d’esempio, nei formaggi a latte crudo è ammesso un limite massimo di 100.000 ufc/g di stafilococchi coagulasi-positivi. Staphilococcus aureus, temibile agente di mastite e infezioni dell’uomo, appartiene a questa famiglia.

Molti sistemi di pagamento qualità incentivano economicamente gli allevatori a ridurre il più possibile il livello di cellule somatiche del latte e le leggi di tutto il mondo le regolamentano per evitare che batteri patogeni per l’uomo possano infettare i consumatori di prodotti del latte. Oltre a questa importante precauzione sanitaria, il monitoraggio costante delle CS dei singoli animali, serve a diagnosticare le mastiti sub-cliniche che come tali non esibiscono alcuna sintomatologia.

Una mammella infiammata perché infetta, oltre a causare altri problemi all’animale, produrrà un latte diverso da quello proveniente da una mammella sana. Diverso nella composizione e nell’attitudine casearia.

Il latte che contiene più di 200.000 CS/ml avrà, proporzionalmente con l’aumentare delle cellule somatiche, una minore percentuale di grasso, caseina, lattosio e calcio ed un aumento di sodio, cloro, enzimi e sostanze varie.

Già queste modifiche della normale composizione del latte giustificano una sua diversa attitudine casearia ma, per meglio comprendere questo, è necessario soffermarci sugli enzimi che si accumulano nel latte mastitico, ossia in quello che ha le cellule somatiche elevate.

Gli enzimi del latte si suddividono sostanzialmente in due classi: quelli “indigeni”, come il complesso plasminogeno-plasmina, e quelli “endogeni” che si liberano nel latte dalle cellule somatiche o meglio dai leucociti, soprattutto in seguito alla loro azione di distruggere dei microrganismi.

I principali responsabili della liberazione degli enzimi endogeni sono i macrofagi e i neutrofili. Queste molecole sono di natura proteica e ad oggi ne sono state identificate 497. Le classi a cui appartengono tali enzimi sono le lipasi come le lipoproteine-lipasi, le ossidasi come le lattoperossidasi, le glicosidasi come il lisozima e le proteasi. In particolare quest’ultime agiscono idrolizzando le caseine, giustificando così la correlazione negativa che esiste tra livello di leucociti nel latte e la sua concentrazione caseinica. Quelle più studiate sono le catepsine D ed E. Nel latte di capra la concentrazione di catepsine è negativamente correlata con la quantità di proteine del latte. La D “sopravvive” ai trattamenti termici del latte mentre la B sembra essere responsabile degli odori particolari, di cui alcuni “desiderabili”, nei formaggi.

La riduzione della presenza di microrganismi patogeni nel latte, attraverso l’igiene di stalla e della mungitura e attraverso l’attuazione di piani di controllo delle mastiti contagiose come quella da Stafilococcus aureus, Streptococcus agalactiae e micoplasmi, sono misure sufficienti per ridurre la prevalenza in allevamento sia delle mastiti ambientali che da contagiosi. Questa pratica “virtuosa” dà immediati benefici quantificabili in una maggiore produzione di latte, una migliore fertilità e una migliore attitudine casearia e quindi sostanzialmente un maggior reddito. Mammelle privi di microrganismi patogeni sia per gli animali che per l’uomo, possono ospitare quella flora batterica che conferisce personalità ai formaggi, soprattutto quando si sceglie di lavorare latte crudo, verso la quale le difese immunitarie mammarie reagiscono blandamente. Mi è molto piaciuto quanto ha affermato da Jonathan Silvertown: “il formaggio da un punto di vista biologico è un microbioma” cioè una comunità di microbi (funghi e batteri) che vivono sì in competizione, ma soprattutto in armonia (commensali). Alcuni di questi sono come il fungo Penicillum camemberti, che è presente in alcuni formaggi a pasta molle e non si trova altrove, ma nel formaggio. Streptococcus thermophilus si è evoluto da S. pneumoniae, che causa malattie gravi dell’apparato respiratorio. Si può dire che le specie batteriche e fungine che popolano i formaggi e gli conferiscono unicità si sono evolute, o meglio, sono state “addomesticate” per il formaggio ed hanno imparato, con l’aiuto dell’uomo, a interagire tra loro in un rapporto commensale. Ai lettori agronomi e veterinari, il formaggio e il suo microbioma hanno molte analogie con quello che popola il tratto-intestinale di uomini e animali ed intestino stesso.