Alimenti fermentati storia antica

I nostri antenati preistorici già consumano prodotti alimentari (miele, frutta e bacche e i loro succhi, carni e anche latte) spontaneamente sottoposti a fermentazione microbica perché, come afferma il Prof. Keith H. Steinkraus microbiologo della Cornell University (1993), i processi che intervengono nei cibi fermentati sono già presenti sulla terra quando l’uomo appare sulla scena e quando indaghiamo questi alimenti stiamo studiando le più strette relazioni tra uomo, microrganismi e alimenti. Pur non conoscendo i microrganismi – una conoscenza che inizia nel XVIII secolo per svilupparsi nel XIX secolo – i nostri antenati riconoscono l’appetibilità, la conservabilità e la qualità di alimenti e bevande fermentate e iniziano ad attribuire loro attività analgesiche e neuro-stimolanti o calmanti. E’ difficile dire quando e dove i processi intenzionali di fermentazione alimentari siano iniziati, ma le recenti analisi, con specifici e sensibilissimi metodi d’analisi, di antichi recipienti neolitici suggeriscono che l’uomo inizia a praticare la fermentazione di bevande di frutta, riso e altri cerali o miele già diecimila anni fa, insieme all’invenzione e all’espansione dell’agricoltura. Oltre a sicuri riferimenti di bevande alcoliche fermentate, è ormai assodato che la fermentazione domestica e artigianale di cereali, latticini, verdure, pesce, frutti di mare e carne costituisce una parte significativa delle pratiche alimentari di un lontano e ancestrale passato.

Alimenti fermentati, microbiota umano e salute

Nonostante i moderni progressi nella conservazione degli alimenti, ancora oggi quelli fermentati costituiscono circa un terzo dell’alimentazione umana mondiale. Da quando gli scienziati hanno iniziato a scoprire le proprietà salutari dei modelli alimentari ancestrali, tra cui la dieta mediterranea, la dieta tradizionale giapponese e le diete dei popoli cacciatori-raccoglitori, vi è un rinnovato interesse per gli alimenti fermentati, dovuto alla scoperta che la fermentazione può aumentare i benefici di un’ampia varietà di alimenti, influenzando la biodisponibilità e l’attività di componenti in essi contenuti. Inoltre, con l’aumentare delle conoscenze sul microbioma umano, e in particolare su quello intestinale, è sempre più chiaro che esistono connessioni tra i modi in cui i microrganismi agiscono nelle fermentazioni degli alimenti e come gli alimenti fermentati influenzano il microbiota umano con molteplici conseguenze, tra cui l’influenza sulla salute mentale.

Odiernamente, la ricerca sta fornendo dati che fanno ritenere che gli alimenti fermentati siano un importante collegamento tra le pratiche dietetiche tradizionali e una buona salute, in quanto capaci di accrescere il contenuto specifico di nutrienti degli alimenti, interessando anche la salute mentale. I microrganismi associati agli alimenti fermentati possono infatti influenzare la salute del cervello attraverso percorsi diretti e indiretti, come affermano Selhub e collaboratori (Selhub E. M., Logan A. C., Bested A. C. – Fermented foods, microbiota, and mental health: ancient practice meets nutritional psychiatry – J Physiol Anthropol. 2014, 33 (1), 2). Di particolare interesse sono soprattutto le relazioni tra gli alimenti fermentati e la depressione nervosa, malattia che sta assumendo dimensioni preoccupanti, con una diffusione che è seconda solo alle patologie cardiovascolari, che in Italia colpisce tre milioni e mezzo di persone e che in Europa si stima provochi oltre trentacinque milioni di malati.

Alimenti fermentati tradizionali e salute mentale

Molti sono i benefici di diete contenenti alimenti fermentati (Şanlier N., Gökcen B. B., Sezgin A.C. – Health benefits of fermented foods. – Crit Rev Food Sci Nutr. 2019; 59 (3) pag. 506-527.). Si sta rafforzando l’opinione che la diffusione della depressione e di altri disturbi della salute mentale sia collegata al passaggio dagli stili di vita tradizionali a quelli della vita moderna, prevalentemente urbana. Tra le variabili che possono avere effetti protettivi o di resilienza contro i disturbi della salute mentale, in particolare la depressione, si stima che la dieta abbia una grande importanza. Il rapporto tra dieta e cervello si baserebbe sulla dipendenza di quest’ultimo dai nutrienti per la sua struttura e le sue funzioni, con particolare importanza dei micronutrienti e degli antiossidanti non nutritivi, ad esempio i polifenoli, che gestiscono il sistema di difesa antiossidante. Per questi motivi le ricerche che collegano la salute mentale alla nutrizione sono divenute di grande interesse. Come anche i citati Selhub e collaboratori segnalano in un recente studio prospettico, i modelli dietetici materni e quelli precoci post-natali nei bambini (ad esempio alimenti trasformati e raffinati, bevande ricche di zucchero, snack ricchi di sodio) aumentano il rischio di problemi emotivi. Importanti sono anche i rilievi che collegano i modelli dietetici tradizionali, come la dieta mediterranea ricca di alimenti fermentati, con una limitata, se non scarsa, presenza di disturbi nervosi, tra cui la depressione mentale.

Studi epidemiologici mostrano che esiste un elevato rischio di sintomi depressivi in adulti sani con chimica del sangue indicativa di insulino-resistenza e all’interno di schemi dietetici tradizionali sono state individuate proprietà antidepressive in alimenti a base di soia, curcuma, cacao, tè verde, caffè, mirtilli, melograno e miele. I polifenoli isolati, e altri fitochimici contenuti in questi alimenti, dimostrano infatti attività antidepressive in modelli sperimentali. Inoltre, specifici nutrienti, come magnesio, zinco, vitamina C, acido folico e vitamina B12, hanno azioni collegate alla capacità di resistenza alla depressione o al miglioramento dei sintomi depressivi. I meccanismi con cui i nutrienti influenzano l’umore possono, almeno in parte, essere spiegati dal loro ruolo nella produzione di neurotrasmettitori. I progressi nella comprensione della fisiopatologia dei disturbi dell’umore e dell’ansia forniscono però un quadro più complesso, nel quale intervengono anche lo stress ossidativo e l’infiammazione cronica che possono influenzare l’umore e causare depressione attraverso la produzione di citochine infiammatorie all’interno del sistema nervoso centrale tramite l’attivazione della microglia.

Studi emergenti mostrano che la barriera intestinale, normalmente molto selettiva, può essere compromessa nella depressione, e che un aumento della permeabilità intestinale permette l’assorbimento sistemico di antigeni alimentari, tossine ambientali e componenti strutturali dei microbi, come l’endotossina lipopolisaccaridica (LPS). Quest’ultimo agente è particolarmente importante per quanto riguarda la depressione perché le endotossine come l’LPS possono ridurre la disponibilità di triptofano e zinco, influenzando così negativamente la neurotrasmissione. Questi, e altri elementi, aiutano a comprendere i meccanismi in base ai quali le proprietà ipolipemizzanti, antiossidanti e antinfiammatorie delle pratiche dietetiche tradizionali, nonché i componenti specifici di questi alimenti, intervengono nelle funzioni cerebrali e psichiche, in un quadro che per essere completo deve considerare anche l’insieme dei microrganismi presenti nell’apparato digerente, e in particolare il microbiota intestinale.

Microbiota intestinale e salute mentale

Solo all’inizio di questo secolo l’idea che la modificazione del microbiota intestinale potesse avere un ruolo sugli stati depressivi e di affaticamento umani era ignota o considerata stravagante, mentre oggi diversi ricercatori stimano che il microbiota intestinale interferisce sulla salute mentale, correlandosi anche alle differenze tra i modelli dietetici tradizionali rispetto a quelli occidentali. Negli ultimi anni, una migliorata conoscenza sul microbiota intestinale e sulle sue funzioni ha modificato le nostre idee, permettendo di ritenere che questo possa intervenire nella depressione nervosa attraverso i seguenti meccanismi: permeabilità della barriera intestinale; stato antiossidante locale e sistemico, riduzione della perossidazione lipidica; influenza indiretta sulla produzione di neurotrasmettitori e di neuropeptidi; attivazione delle vie neurali tra intestino e cervello; limitazione della produzione infiammatoria di citochine; modulazione di sostanze chimiche neurotrofiche, incluso il fattore neurotrofico derivato dal cervello; e proprietà analgesiche. Inoltre, studi preliminari dimostrano che i microrganismi probiotici orali possono ridurre l’ansia, diminuire la percezione dello stress e migliorare le prospettive mentali.

Da un punto di vista nutrizionale, studi dimostrano che la somministrazione di batteri probiotici può aumentare i livelli periferici di triptofano, alterare il ricambio di dopamina e serotonina nella corteccia frontale e nel sistema limbico e aumentare i livelli di acidi grassi omega-3 che svolgono un ruolo nella comunicazione tra le cellule nervose. I probiotici e il profilo generale del microbiota intestinale possono anche influenzare i livelli nel cervello di minerali che regolano l’umore, come il magnesio e lo zinco.

Il microbiota intestinale può anche avere effetti di vasta portata nel controllo glicemico, contribuendo a una sana tolleranza al glucosio. La somministrazione orale di Bifidobacterium lactis o dell’associazione di Lactobacillus curvatus e Lactobacillus plantarum può migliorare i livelli di insulina a digiuno e i tassi di turnover del glucosio, anche in presenza di una dieta ricca di grassi. I bifidobatteri e altri microrganismi benefici possono impedire l’efflusso di LPS nella circolazione sistemica e ridurre la reattività all’endotossina, e quando il Lactobacillus rhamnosus è somministrato ad animali sani sottoposti a stress si riscontra una riduzione dell’ansia e dei comportamenti simili alla depressione. Ulteriori ricerche mostrano che l’aggiunta di Lactobacillus helveticus e Bifidobacterium longum all’acqua potabile degli animali può portare ad una aumento della resilienza delle cellule nervose e ad una riduzione dell’apoptosi durante condizioni di stress fisiologico sperimentale. Studi su topi allevati in ambienti privi di germi sembrano dimostrare un ruolo diretto del microbiota intestinale sul comportamento e l’aggiunta nell’alimentazione di Bifidobacterium sembra attenuare un’eccessiva risposta allo stress e mantenere livelli adeguati del fattore neurotrofico (BDNF) derivato dal cervello, neuropeptide i cui livelli sono bassi nella depressione.

Ricerche sull’uomo indicano che latte fermentato con Lactobacillus casei induce, rispetto al placebo, un significativo miglioramento dei punteggi dell’umore tra quelli con i sintomi depressivi basali più elevati, mentre la somministrazione per 2 mesi di Lactobacillus casei in polvere a pazienti con sindrome da affaticamento cronico induce miglioramenti significativi nell’ansia rispetto al placebo. Un probiotico combinato di Lactobacillus helveticus e Bifidobacterium longum, somministrato per via orale per un mese, porta a significativi miglioramenti nella depressione, rabbia e ansia, e livelli più bassi dell’ormone dello stress cortisolo rispetto al placebo. Ricerche compiute usando l’imaging a risonanza magnetica funzionale (fMRI) dimostrano che il consumo per un mese di un alimento fermentato contenente Bifidobacterium animalis subsp lactis, Streptococcus thermophilus, Lactobacillus bulgaricus e Lactococcus lactis subsp lactis influenza l’attività delle regioni cerebrali che controllano l’elaborazione centrale di emozioni e sensazioni, fornendo una prova che batteri intestinali commensali e/o probiotici influenzano l’attività cerebrale.

Potenziale degli alimenti caseari fermentati

La depressione e altri disturbi della salute mentale sono caratterizzati da infiammazione cronica, anche di basso grado, e dallo stress ossidativo: per questo una dieta tradizionale ricca di alimenti antiossidanti e antinfiammatori può conferire un certo livello di protezione contro la depressione. Sembra anche esistere un microbioma infiammatorio intestinale che può contribuire a alterare l’umore attraverso un aumento della permeabilità intestinale, un carico sistemico di LPS e una comunicazione diretta al cervello e che può essere facilitato, almeno in parte, dalle abitudini alimentari occidentali.

Oggi, i progressi scientifici consentono di meglio comprendere il potenziale degli alimenti fermentati in generale, e di singoli alimenti fermentati, inseriti nelle diete tradizionali. La connessione tra i prodotti lattiero-caseari fermentati e la crescita di microbi intestinali benefici è da molto tempo nota. Inoltre, da quanto indicato sull’infiammazione indotta da LPS, sulla permeabilità intestinale e sul controllo glicemico, non deve sorprendere che i prodotti lattiero-caseari fermentati, rispetto a quelli non fermentati, possano migliorare il metabolismo del glucosio e migliorare lo stato antiossidante. Su queste basi, si può comprendere l’importanza che gli yogurt, i fermentati e i formaggi, che contengono microrganismi lattici o che sono capaci di modificare il microbiota intestinale, possono avere sulle funzioni cerebrali e psichiche e sulla depressione. È inoltre risaputo che con i tradizionali schemi dietetici, la fermentazione negli alimenti può amplificare la qualità delle proteine e la biodisponibilità di vitamine del gruppo B, magnesio e zinco che regolano l’umore. L’effetto della dieta sul microbiota intestinale può anche estendersi ai livelli di vitamina D.

Conclusioni

Le fermentazioni usate nella conservazione degli alimenti e la loro appetibilità sono un’arte antica. La ricerca moderna sta mettendo in luce il potenziale valore delle pratiche dietetiche ancestrali sulla salute mentale, e in particolare sulla resilienza contro la depressione, dimostrando il ruolo svolto dall’infiammazione e dal microbioma intestinale sulla salute umana e sul benessere mentale.

Il consumo di alimenti fermentati, e tra questi soprattutto quelli caseari, può essere particolarmente rilevante per comprendere il legame delle pratiche dietetiche tradizionali con i livelli di salute mentale perché i prodotti dietetici tradizionali possono mitigare l’infiammazione e lo stress ossidativo controllando anche, almeno in una certa misura, il microbiota intestinale. Una fermentazione adeguatamente controllata degli alimenti, e tra questi soprattutto quelli caseari, può amplificare il loro contenuto specifico di nutrienti il cui valore finale può influire sula salute mentale. Ad esempio, i Lactobacillus e i Bifidobacteria associati agli alimenti fermentati possono influenzare la salute del cervello attraverso percorsi diretti e indiretti. Oggi si ritiene che nei percorsi di conoscenza sui microrganismi fermentanti, sul microbioma intestinale umano e sul funzionamento del cervello ci debba essere una convergenza, soprattutto quando nella moderna alimentazione occidentale prevalgono i cibi con molti grassi e ricchi di zuccheri che, in contrasto con il nostro passato evolutivo, hanno effetti negativi sul microbioma intestinale e sul cervello, giustificando l’incremento di disturbi mentali e tra questi anche della depressione e delle ansie, come indicato anche da Hilimire M. R. e collaboratori (Hilimire M. R., DeVylder J. E., Forestell C. A. – Fermented foods, neuroticism, and social anxiety: An interaction model. – Psychiatry Res. 2015 Aug 15;228(2):203-208).

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.