Sulla produzione primaria, e sull’allevamento in particolare, si stanno negli ultimi anni stratificando pregiudizi su pregiudizi, e infiniti stereotipi. Sembra che i media generalisti stiano facendo a gara per attribuire a questo settore più misfatte possibili, senza però dare spazio ad un confronto serio e a opinioni discordanti con questa narrazione.
All’importanza di un contraddittorio abbiamo dedicato molti articoli, come ad esempio l’editoriale dell’ultimo numero di Ruminantia Mese, intitolato “Non reagire alla denigrazione della zootecnia è un suicidio“.
Pubblichiamo quindi volentieri la lettera inviataci dalla Dott.ssa Alessia Tondo, esperta in statistica e consulente nel settore zootecnico, indirizzata alla redazione de Il Fatto Quotidiano, che lancia un appello per sensibilizzare l’opinione pubblica e i media su chi effettivamente ha la maggiore responsabilità delle emissioni di gas climalteranti e sul lavoro che il settore zootecnico sta facendo in un’ottica di riduzione.
La lettera
Gentile redazione de Il Fatto Quotidiano, in particolare mi rivolgo ai giornalisti che scrivono di allevamenti intensivi (Luisiana Gaita, Elisabetta Ambrosi, Alberto Sofia – questi alcuni nomi che leggo tra gli autori degli articoli che trattano del tema), mi piacerebbe moltissimo che sul tema si potesse aprire un confronto serio.
È veramente triste che una questione così importante come la riduzione delle emissioni in atmosfera, e degli inquinanti in generale, venga ridotta ad una contrapposizione ideologica tra settori produttivi che si accusano alla ricerca del più impattante. E’ ancora più triste vedere come questo tema, che coinvolge gli allevamenti intensivi nella stessa misura di tutti gli altri settori produttivi, sia portato avanti attraverso metodi che somigliano più alla propaganda che all’informazione: video emozionali come quello di Federica Pellegrini, creazione di una relazione di causa-effetto tra presenza di allevamenti intensivi e inquinamento atmosferico in pianura padana presentata come se l’eliminazione degli allevamenti intensivi risolvesse totalmente il problema dell’inquinamento, presentazione di dati messi assieme come patate e cipolle con l’unico scopo di allarmare chi legge come nei recentissimi articoli che presentano i dati della Banca Dati Nazionale Zootecnica.
Sono proprio questi ultimi articoli, in particolare la nota metodologica, che mi hanno spinto a contattarvi, e non è la prima volta che cerco di farlo anche se avete probabilmente cestinato le mie repliche passate dato che non ne ho mai avuto riscontro.
Confrontare un bovino adulto e un pollo è un errore metodologico, non potete far passare la notizia che uno vale uno. Esiste una metodologia che si chiama Unità di Bestiame Adulto (UBA) che viene utilizzata quando si calcolano i carichi di bestiame e consente di confrontare le patate con le cipolle, altrimenti si disinformano i cittadini con l’intenzione di creare allarme. Se ritenete poi che il metodo sia sbagliato allora apriamo un confronto serio, ma non scrivete cose metodologicamente sbagliate.
Il metano in atmosfera e l’impatto ambientale. Esistono centinaia di studi scientifici, decine di soluzioni già messe in pratica e decine di soluzioni ancora in fase di studio che hanno diminuito il livello delle emissioni in atmosfera imputabili al settore zootecnico, sia enterico che da deiezioni. Esiste una normativa stringente di cui si è dotata l’amministrazione Regionale, Nazionale ed Europea a cui gli agricoltori e gli allevatori si sono conformati. I miglioramenti sono costantemente misurati, certificati e pubblicati dall’inventario annuale dell’ISPRA, pubblicazione che deriva da una metodica standardizzata internazionale, che mette assieme molte banche dati e che pubblica i risultati dopo un imponente lavoro di validazione. Esistono altri sistemi di monitoraggio delle emissioni di metano basate su rilevazioni satellitari che riescono a individuare e misurare le fonti puntuali di emissione. Queste misurazioni dimostrano che il problema principale non sono gli allevamenti ma le mega discariche e le perdite non controllate di metano dei processi di estrazione. Esistono siti super emettitori con perdite che arrivano a 333 tonnellate l’ora che, se confrontati con le emissioni di metano di origine enterica dell’Italia certificate dall’Ispra (anno 2021), ci dicono che bastano circa 70 giorni di emissioni da uno solo di questi siti per raggiungere i 523.96 Gg annui dell’intero settore zootecnico e con circa 30 giorni si copre l’intera quantità emessa dai bovini da latte italiani (224.66 Gg). Problema noto all’industria estrattiva, discusso nel corso della COP28 e che ha portato i colossi dell’estrazione a impegnarsi nella ricerca di una soluzione (che tecnicamente è già esistente e alla loro portata). Ci sono studi scientifici basati sull’analisi dell’origine chimica del metano presente in atmosfera che dimostrano che l’impennata dei livelli di metano a partire dagli anni 2000 è di origine fossile e coincide con l’introduzione della tecnica estrattiva cosiddetta “shale gas”. Esiste una pubblicazione annuale (An Eye on Methane) curata dall’Osservatorio Internazionale sulle emissioni di metano (IMEO) o altre pubblicazioni annuali come il Kayrros Methane Watch che certificano tutto questo.
Resto nell’ambito agricolo per fare due esempi che interessano i non consumatori di alimenti di origine animale:
- Sapete che la coltivazione del riso rilascia in atmosfera un’importante quantità di metano, tanto che negli inventari delle emissioni viene conteggiata a parte?
- Sapete che la coltivazione del tabacco rilascia in atmosfera 84 milioni di tonnellate di CO2? Che l’impatto sulla deforestazione delle colture del tabacco è di oltre il 5% annuo? Che la produzione di sigarette impegna 22 miliardi di tonnellate di acqua? Che ogni anno vengono dispersi nell’ambiente 4.500 miliardi di mozziconi/filtri che impiegano 10 anni a decomporsi? Sapete che le coltivazioni di tabacco utilizzano ingenti quantità di pesticidi ed erbicidi che contribuiscono alla eutrofizzazione delle acque? Sapete che i lavoratori (in gran parte bambini) possono assorbire quotidianamente l’equivalente della nicotina contenuta in 50 sigarette per inalazione o attraverso la pelle?
La questione ambientale e il cambiamento climatico colpiscono in primissima battuta chi si occupa di agricoltura e di allevamenti. Tutti gli operatori del settore (studiosi, operatori agricoli e Ministeri dell’agricoltura e della salute) non hanno mai negato il problema dell’impatto ambientale, non si sono mai tirati indietro e hanno sempre cercato soluzioni. Tutto questo ben prima dell’inizio della narrazione aggressiva dei nostri tempi. Contestate le regole o la loro applicazione? Allora ci vuole un confronto serio perché la questione è più complessa di quella che rappresentate.
Se si vuole entrare nel facile gioco della ricerca del più cattivo di me, di esempi di esagerati consumi energetici per finalità poco comprensibili se ne trovano a dozzine, come il mining di criptovalute. Circa 140.336 GWh all’anno, più del consumo medio di quasi tutti i Paesi del mondo. Secondo uno studio delle Nazioni Unite pubblicato nel 2023, l’aumento del 400% del prezzo dei Bitcoin, tra il 2021 e il 2022, ha innescato un aumento del 140% del consumo di energia della rete mondiale di mining. Il 67% dell’elettricità consumata per questa attività, nel periodo di tempo considerato, è stata prodotta da fonti energetiche fossili. Senza contare la narrazione della riapertura delle centrali a carbone, chiuse dopo anni di battaglie dei cittadini, per soddisfare il fabbisogno energetico (narrazione personalmente non verificata in fonti attendibili).
Capisco che le bolle di informazione e il bias cognitivo, così come la facilità di creare correlazioni spurie, faciliti la narrazione di chi vuole veicolare un solo messaggio e conforta chi legge perché sente rafforzata la propria posizione. Questo però non aiuta a comprendere i fenomeni nella loro complessità e soprattutto non aiuta a risolvere il problema delle emissioni in atmosfera e dell’impatto ambientale: se oggi sparissero gli allevamenti intensivi dalla Lombardia, in tutta onestà, pensate che si risolverebbe il problema dell’inquinamento atmosferico? Pensate veramente che i riscaldamenti, le automobili e le industrie non pesino nel bilancio? Eppure basterebbe leggere i dati per capire che il loro peso è maggiore di quello degli allevamenti, anche nella produzione delle polveri sottili. Perché non eliminiamo le coltivazioni di tabacco in tutto il mondo? Si può vivere senza fumare. Oltre ai danni ambientali, il fumo provoca gravi danni alla salute e ingenti danni economici alle casse dello Stato. È chiaramente una provocazione, nessuno vuole imporsi sulle scelte degli altri.
Eliminare gli allevamenti intensivi creerebbe una grave incertezza alimentare, si dovrebbero intensificare le rese delle colture alternative e non ci sarebbe l’ausilio del concime organico che cesserebbe con l’eliminazione degli allevamenti. Si dovrebbe quindi ricorrere a dosi massicce di concimi chimici aumentando i rischi di eutrofizzazione e desertificazione, e peggiorando la salute del suolo. Apriamo un confronto serio, puntiamo sull’economia circolare e sulla rigenerazione dei suoli. Cambiamo i paradigmi dell’agricoltura e facciamo del bene al nostro Pianeta.
Un’ultima cosa. La scelta di non mangiare alimenti di origine animale è una scelta etica. La conosco molto bene e la rispetto. Non trovo corretto però cercare di imporre le proprie scelte sugli altri. Non trovo onesto cercare di arricchire la narrazione con altri aspetti che poco c’entrano con la scelta etica di non voler mangiare animali. Mi sembra come se, non riuscendo a convincere tutti che lo specismo sia una cosa sbagliata (capita!), si cerchi di far leva su altri aspetti demonizzanti e spaventosi, narrati con una disonesta (o forse poco informata?) narrazione propagandistica.
Scrivo questa nota nel mio ultimo giorno di ferie, periodo che mi ha consentito di imbattermi in questi vostri articoli e di decidere che non è più consentito lasciare correre, lasciare che un metodo così disinformativo e ideologico continui senza un minimo di contraddittorio. Studio i dati della Banca dati Nazionale Zootecnica, dell’inventario dell’ISPRA, dei bollettini e dei censimenti dell’ISTAT, della banca dati delle produzioni zootecniche dell’AIA, dei sondaggi nazionali e internazionali, delle pubblicazioni della Comunità Europea, del CREA e dell’ISMEA e quelle scientifiche del settore zootecnico da più di 25 anni. Le studio con la competenza della mia formazione statistica, con l’esperienza maturata nel settore zootecnico e con la forte personale sensibilità nei confronti dei temi ambientali. Sono pienamente cosciente che questa è una goccia nel mare, perché è facilissimo sfornare disinformazione ma molto impegnativo in termini di tempo e ricerca controbattere a quanto scrivete. Non mi riferisco certo al livello delle informazioni, ma al mio rifiuto di scrivere qualcosa senza esserne assolutamente informata da una fonte attendibile e fornire a chi legge la possibilità di verifica. Non voglio cadere nel gioco del botta e risposta nel quale siete campioni del mondo, accompagnato dal vittimismo di essere una minoranza silenziata. Sono pienamente cosciente di espormi alla facile ondata di insulti che segue questo tipo di tentativi, anche questo misura il livello di maturità del confronto.
Ripeto, il settore zootecnico si è messo in gioco da anni, ha modificato molti paradigmi, ha ascoltato le esigenze della società e ha dato risposte concrete. Tutto questo non viene mai riconosciuto nella narrazione demolitrice. È il primo a voler risolvere i problemi dell’impatto ambientale di tutte le attività antropiche e chiede un confronto serio che aiuterebbe tutti.
Alessia Tondo, esperta in statistica e consulente nel settore zootecnico