Introduzione

Nell’alimentazione animale le componenti arboree possono dare un interessante contributo sia come apporto proteico che energetico, ma anche come apporto di macro e micro-elementi che sostengono le produzioni attraverso il miglioramento della salute e del benessere animale.

I sistemi agroforestali che prevedono la presenza degli animali possono quindi contribuire ad aumentare l’efficienza delle risorse alimentari per gli animali allevati al pascolo ma anche per quelli allevati in un modo confinato rispettoso della loro etologia per un periodo della loro vita. Gli animali migliorano i sistemi forestali perché si crea un ciclo sinergico virtuoso che regola il ciclo del carbonio; infatti, in una metanalisi fatta da De Stefanis e Jacobson (2018), gli autori concludono che l’implementazione della gestione di foreste fa diminuire la sostanza organica solo negli strati superficiali, senza modificare il deposito in profondità, mentre l’immissione di alberi e arbusti nei pascoli e nelle praterie fa aumentare in modo significativo il carbonio stoccato sia nella parte superficiale che in quella profonda. In un lavoro francese (Cardinael et al. 2017) sono stati analizzati terreni provenienti da gestioni silvoarabili e silvopastorali; è risultato che la concentrazione di carbonio sequestrato era maggiore dove gli animali avevano pascolato per un effetto sinergico pascolo/albero e dove l’albero, a seguito della profondità delle radici, permette uno stoccaggio di carbonio a profondità maggiori rispetto alle piante erbacee. Aumentare lo stoccaggio del carbonio vuol dire aumentare la sostanza organica del suolo ed è una strategia vincente nella lotta ai cambianti climatici (Lal et al. 2004; Lorenz and Lal, 2014).

Le specie animali allevabili in sistemi agroforestali sono bovini, ovini, caprini, suini, equini, volatili da cortile, lagomorfi, facendo attenzione a scegliere una razza o una linea genetica che sia adatta al sistema che si intende implementare, alla gestione dei predatori, a un corretto carico animale per ettaro e ad una corretta gestione forestale che consenta agli alberi un’adeguata ripresa dopo i prelievi alimentari effettuati dagli animali ed eventuali danni a fusto, radici, rami dovuti al passaggio e/o al grattamento.

Alberi e arbusti studiati nei sistemi agropastorali Europei e nel Centro Italia

Gli alberi più studiati per il loro utilizzo nell’alimentazione animale, e presenti in tutta Europa, sono l’Olmo (Ulmus sp.) ed il Frassino (Fraxinus sp.) (Green T. 2016), ma sono state studiate anche varie specie di Quercia (Quercus sp.), il Castagno (Castanea sativa) e gli Ontani (Alnus sp.) (Simŏes et al., 2018; Roelen et al. 2018). Tra questi, la Quercia è quella che ha il migliore rendimento in quanto, oltre a fornire le foglie, fornisce anche frutti con il loro ottimo contenuto energetico. Gli alberi, oltre che spontanei, possono anche essere coltivati in turno breve (short rotation forestry); tra le specie adatte spiccano i Salici (Salix sp.) ed i Pioppi (Populus sp.): questi possono dare alimenti ai ruminanti ma anche ai volatili, per i quali svolgono anche funzione di difesa verso i predatori e creano un microclima costante (Wager et al. 2018). Fra le arbustive ritroviamo Cytisus sp., Lavandula sp., Erica sp. e Genista sp. (Simŏes et al., 2018) che, pur non essendo molto appetite dai ruminanti, hanno una funzione agro-ecologica molto importante perché finalizzata al mantenimento degli impollinatori ed alla biodiversità dei selvatici. Gli arbusti che possono essere interessanti ai fini alimentari sono la Rosa Canina ed il Rovo (Rubus fruticosus), che hanno anche una funzione di riparo per i piccoli animali selvatici. In tabella 1 sono riportati i valori alimentari degli alberi citati, estrapolati dal database di Luske et al. (2017) al quale abbiamo aggiunto due specie di Gelsi (Morus alba e nigra) prendendo i valori da feedipedia.org. Queste ultime sono 2 piante molto interessanti per il nostro clima come integrazione alimentare estiva (Mosquera-Losada et al. 2017), inoltre erano molto presenti nel paesaggio agroforestale del passato ed erano legati all’allevamento del baco da seta.

Tabella 1 – Valori nutrizionali dei maggiori alberi presenti nella letteratura europea. Valori presi da Luske et al (2017), tutti riferiti alla percentuale in sostanza secca.

Come accennato in precedenza, il sistema silvopastorale è un sistema sinergico ed ha quindi bisogno di conoscenze multiple e di una notevole conoscenza del territorio su cui si vuole lavorare. Questa non è una questione legata solo al clima ma anche all’adattamento al territorio ed al terreno, alle specie animali che si vogliono allevare e anche alle specie arboree che si vogliono utilizzare; il sistema va implementato e studiato nella sua interezza, approfondendo le relazioni che intercorrono tra gli elementi con un approccio transdisciplinare.

In Sardegna, dove l’agropastoralismo è studiato da tanti anni, più che l’albero come sistema singolo di interazione con gli animali è stata studiata la dinamica della presenza della quercia da sughero (Sedda et al. 2011) e la dinamica di ripristino della presenza del bosco dopo gli incendi (Franca et al. 2016). E’ stato valutato anche l’impatto degli animali sulla rigenerazione della quercia da sughero (Rossetti e Bagella 2014) che può essere impedita se gli animali sono lasciati con un pascolamento non controllato.

Nell’ambito dei territori collinari del centro Italia sono state studiate sia arbustive che alberi, entrambi a finalità alimentare (Tabella 2). In particolare, Francia et al. (1988) hanno studiato le potenzialità di due arbustive: Cajanus cajan e Leucaena leucocephala. Trattandosi del centro Italia, l’obbiettivo era coprire i fabbisogni nel periodo estivo. Entrambe le arbustive hanno dato buoni risultati relatvamente al contenuto proteico (21,91% e 27,28% rispettivamente), un’alta digeribilità della sostanza organica (52,70% e 73,03%) e, conseguentemente, un buon valore nutritivo (0,50 e 0,81 UFC/kg ss). Talamucci et al. (1990) hanno studiato sia gli alberi, come Acer campestre e negundo, Alnus cordata, Celtis australis, Corylus avellana, Fraxinus ornus, Morus alba, Ostrya carpinifolia, Robinia pseudoacacia, Ulmus carpinifolia; che gli arbusti, come Amorpha fruticosa, Vitis rupestris, Colutea arborescens, Coronilla emeroides e glauca e Medicago sativa, in due località della Toscana: Cornacchia (SI) e Paganico (GR). Purtroppo, gli autori non sono stati in grado di dare delle conclusioni su quali siano gli alberi e arbusti migliori e la loro tecnica di messa a dimora, poichè il massimo delle potenzialità si può esprimere solo sapendo quale obiettivo si vuole raggiungere nell’uso di queste piante a fini foraggeri. Nelle conclusioni si ipotizza infatti che un sistema per usare gli arbusti potrebbe essere metterli in consociazione con leguminose annuali autoriseminanti, in modo di avere sia un’utilizzazione estiva che una invernale. Un’indicazione interessante che si può trarre da questo lavoro è che si è provato a dare una scala (da 0 a 10) di preferenza nell’uso delle diverse piante da parte dei bovini (Tabella 2).

Tabella 2 – Sostanza secca1 (T/ha) e Proteina grezza (% s.s.) e preferenze alimentari degli animali2 tratte dalle pubblicazioni che riguardano il Centro Italia.

Bonciarelli et al. (1990) hanno studiato quasi le stesse piante di Talamucci et al. (1990), aggiungendo Medicago arborea, ma coltivandole nella regione Umbria in provincia di Perugia sulla piana del Tevere. I risultati migliori sono stati rilevati per Amorpha fruticosa e Acer negundo per il periodo estivo e Medicago arborea per il periodo invernale, anche se quest’ultima è sensibile alle basse temperature e quindi non è stato possibile riportare i valori della composizione. Visti i cambiamenti climatici in atto potrebbe però essere interessante riprendere gli studi su questo arbusto.

Quando si parla di sistemi Silvopastorali si deve tenere conto anche dell’allevamento animale nei frutteti. Un lavoro di monitoraggio e messa a punto di questi sistemi è stato fatto nel progetto AGFORWORD (www.agforward.eu/index.php/it), che ha visto la partecipazione di partner europei dal nord al sud dell’Unione Europea ed è stato finanziato nell’ambito del VII programma quadro. In Italia, la consociazione più diffusa sono gli ovini sotto gli olivi, tecnica che troviamo descritta già da Lucio Giuno Moderato Columella (4-70 d.C.) nel “De re rustica”. Negli ultimi anni, l’abbassamento dei profitti nella produzione delle olive e l’obbligo della conservazione delle risorse naturali hanno permesso la riscoperta di questa gestione del terreno olivato (Paris et al. 2019; Pisanelli et al. 2018) e, applicando tutte le nuove conoscenze, si è inoltre arrivati a pensare sistemi di consociazione nuovi, come olivo, asparago selvatico e pollo rustico (Rosati et al. 2012). Sempre nell’ottica di massimizzare le sinergie finalizzate ad un sistema agroecologico, si sta studiando anche l’allevamento delle oche in vigna (Repubblica Ambiente 2017).

Ritornando al sistema degli ulivi, si sta studiando anche la consociazione con i bovini, da sempre stata osteggiata in quanto questi animali si alimentano delle parti basse della pianta compromettendo in parte la produzione. La soluzione adottata è la potatura a vaso policonico, che agisce alzando i palchi dell’olivo in modo che gli animali non riescano più a mangiare i rami bassi ma possano alimentarsi con i polloni. L’olivo fornisce un alimento che può essere considerato funzionale a seguito dell’alta concentrazione in tannini (7 gr/kg s.s.), composti in grado di ridurre la metanogenesi e di aumentare l’efficienza digestiva della dieta (Yang et al. 2017), con conseguente miglioramento dell’ambiente e del benessere degli animali (Iacurto et al. 2020).

Alberi e alimentazione animale

Le caratteristiche nutrizionali degli alberi/arbusti possono essere valorizzate per il loro contenuto in proteine che, anche se variabile a seconda dell’areale e dei periodi dell’anno, può raggiungere il 26% sulla sostanza secca; questo valore è equiparabile a quello dell’erba medica che risulta in media del 18% (dal 11% al 25%) ed è più alto di quanto riscontrato con un prato polifita di collina (mediamente sul 10%). Ai fini gestionali dell’alimentazione animale, il valore nutrizionale della biomassa erbacea prodotta dal pascolo sotto albero è risultato poco sensibile all’ombreggiamento (Moreno et al. 2007), mentre le specie azoto fissatrici ne risentono. Quando sotto l’albero c’è il pascolo, si è visto che si ha una crescita lenta ma una qualità del foraggio migliore (Cubera et al. 2009). Inoltre, i sistemi silvopastorali, rispetto ai silvoarabili, possono supportare un’alta densità degli alberi, portando così ad un incremento del quantitativo in carbonio fissato.

Gli alberi e le specie arbustive che possono essere usate a fini zootecnici sono molte e variano a seconda dell’altitudine, delle fasce climatiche e della loro capacità di adattamento, ma anche dal possibile miglioramento genetico. Inoltre, quando studiamo il miglioramento o l’implementazione di un sistema silvopastorale dobbiamo aver chiaro l’obiettivo da raggiungere per poter fare la miglior scelta; per esempio, se vogliamo usare l’albero/arbusto come integrazione alimentare estiva e/o invernale, se vogliamo che sia pascolata direttamente e/o conservarla, se vogliamo usarla per il benessere a fini sanitari o semplicemente come zona riposo. Come esempio, si riporta un’estrapolazione di quanto pubblicato da Castro & Fernandez-Nunez (2018) (Grafico 1) dove si vede come varia il contenuto proteico e la digeribilità degli alberi/arbusti. In questo caso, le conifere presentano il più alto contenuto proteico in primavera ma la digeribilità più alta in autunno, mentre le sclerofille hanno un buon contenuto proteico in autunno, simile a quello invernale, ed anche la digeribilità non è molto diversa nelle due stagioni.

Grafico 1 – Contenuto in Proteine (CP) e digeribilità in vitro (IVOMD). Castro N. & Fernandez-Nunez E. 2018.

Legenda:
Arbusti: Leguminose (vari Cytisus); Spinosi (Genista); Aromatici (Lavanda e Cistus)
Alberi: Sclerofille (Quercia da sughero e Leccio); Caducifoglie (Quercia dei Pirenei e Lusitana); Conifere
Inverno: Febbraio; Primavera: Aprile; Estate: Luglio; Autunno: Novembre

Per creare una buona catena di foraggiamento che comprenda anche alberi ed arbusti c’è bisogno di ricerca sul territorio specifico su cui andiamo a lavorare. La ricerca a nostra disposizione purtroppo non è molta, specialmente nel nostro paese e, più specificatamente, nei sistemi temperati, ma in Europa ci sono alcuni studi. Uno è il sito a collaborazione internazionale gestito dalla Francia www.feedpedia.org; si sta inoltre creando un database specifico sul valore nutrizionale di alberi e arbusti www.voederbomen.nl/nutritionalvalues (Luske et al. 2017), riguardo il quale Smith et al. (2018) rilevano un gap esistente fra le evidenze scientifiche, come l’analisi dell’alimento e le pratiche manageriali, in quanto devono essere adattate al tipo di albero ed al suo valore nutrizionale nel momento dell’uso. Green (2016) chiarisce che nel sistema manageriale, nell’uso degli alberi, il momento a più alto valore nutritivo delle foglie è nei mesi di giugno-luglio, suggerendone il prelievo e lo stoccaggio in fascine in modo di usarlo successivamente come alimento invernale (www.agricology.co.uk/field/blog/tree-hay-forgotten-fodder); inoltre, riporta che agli animali piacciono molto le foglie con piccole zone gialle (green island) che si trovano in autunno sotto gli alberi cedui, ma questo tipo di alimento non è mai stato studiato.

Va comunque tenuto conto del fatto che, in un ambiente brado o semibrado agroforestale, l’animale ha la possibilità di esprimere le proprie potenzialità sia fisiologiche che etologiche, attivando le proprie strategie adattative e le proprie competenze, come la ricerca del microclima migliore, delle piante medicinali e del pascolo più indicato. Inoltre, la componente arborea fornisce al bestiame riparo dal caldo, dal freddo e dai venti.

Conclusioni

Le potenzialità dell’uso degli alberi consociato alla zootecnia presentano ancora molte domande e spazio per la ricerca ma hanno anche elevate opportunità di entrare in modo virtuoso in un sistema di gestione sinergica e resiliente.

Capire come applicare questo sistema implica la presenza di più attori con conoscenze diverse per poterlo mettere a punto; inoltre, le risposte non sono univoche ma vanno adattate all’areale dove vengono studiate, applicando un sistema euristico di implementazione. Un vantaggio innegabile è legato alla presenza di questi sistemi in zone collinari e montane difficilmente lavorabili, nelle quali la presenza di allevamenti di piccole e medie dimensioni può rivitalizzare le comunità e creare opportunità di lavoro, anche tramite aspetti di multifunzionalità (turismo) e di manutenzione del territorio. Un altro fattore importante è la percezione che si ha di questa tecnica che sembra relegata ad un passato anche di povertà ma che, se applicata con le conoscenze attuali, può dare ottimi risultati e può essere usata anche in modi mai pensati prima.

I sistemi zootecnici agroforestali possono contribuire ad aumentare l’efficienza delle risorse degli allevamenti al pascolo, diminuendo la necessità di utilizzo di mangimi concentrati e apporti proteici; e contribuire al recupero e al mantenimento delle aree marginali, al sequestro di gas serra e al mantenimento della biodiversità.

Le ricadute positive sono a nostro avviso strettamente collegate ad una oculata gestione e ad un approccio transdisciplinare.

Autori

M. Iacurto1, F. Pisseri2, G. Mezzalira3.

1 – Ricercatore Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria; Centro Zootecnia e Acquacoltura, Sede di Monterotondo (RM)
2 – Veterinaria consulente zootecnica, Associazione Italiana di Agroecologia
3 – Direttore Sezione “Ricerca e gestioni agro-forestali” di Veneto Agricoltura

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