Il bufalo (Bubalus bubalis), è un animale a duplice attitudine allevato in Italia principalmente per la produzione di latte destinato alla trasformazione in “Mozzarella di Bufala Campana DOP”, formaggio fresco molto apprezzato anche sul mercato internazionale. Tuttavia, negli ultimi anni, si è registrato un crescente interesse anche per la produzione della carne, in passato poco apprezzata perché veniva commercializzata solo quella di bassa qualità proveniente da animali con problemi produttivi o riproduttivi, o da animali a fine carriera. Oggi, invece, è stato dimostrato che, utilizzando sistemi di alimentazione adeguati, si possono ottenere caratteristiche nutrizionali favorevoli (Infascelli et al., 2004) e si può ottenere un prodotto gradito al consumatore.

Tutto parte dal colostro

Il successo dell’allevamento bufalino dipende in primis da una buona gestione e da un’alimentazione equilibrata dei vitelli, affinché gli venga garantito un tasso di crescita ottimale, tale da raggiungere precocemente il peso di macellazione (Infascelli e Tudisco, 2013). Nei ruminanti la somministrazione del colostro nei vitelli è fondamentale, oltre che per il suo valore nutritivo e per la sua azione lassativa che permette l’evacuazione dall’intestino di feci e meconio, soprattutto per consentire il trasferimento degli anticorpi materni. Infatti, una quantità significativa di immunoglobuline entra nel circolo sanguigno grazie alla permeabilità delle cellule epiteliali dell’intestino tenue e del sistema linfatico. I vitelli cominciano la suzione 2-3 ore dopo la nascita e l’assorbimento delle immunoglobuline dura fino alle 24 ore dal parto. Questo periodo è critico poiché molte malattie nei vitelli sono dovute ad un’assunzione insufficiente di colostro e/o a una sua scarsa qualità determinata dal contenuto di immunoglobuline. L’IgG1 è l’immunoglobulina più rappresentata del colostro e il suo passaggio nel sangue inizia dalle quattro alle sei settimane prima della nascita, consentendo una concentrazione, alla prima mungitura, 2-10 volte superiore a quella del siero del sangue materno. Per garantire un adeguato trasferimento dell’immunità passiva, i vitelli appena nati dovrebbero ricevere un colostro di buona qualità, suddiviso in 4-6 poppate di uguali proporzioni, preferibilmente entro 3-12 ore dalla nascita. La mancata ingestione e/o assorbimento di una quantità sufficiente di IgG colostrali aumenta il rischio di malattia e di morte, fino ad almeno 6-7 settimane di età, per setticemia batterica e comuni malattie infettive neonatali.

Sono stati utilizzati sostituti del colostro negli anni, ma con scarso successo in termini di tasso di sopravvivenza dei vitelli. Tuttavia, la comunità scientifica si è concentrata poco sullo studio di alimenti e nutraceutici utili per migliorare l’immunità passiva nei vitelli bufalini, nonostante la mortalità neonatale sia molto elevata in questa specie. La pianta del genere Aloe, impiegata per pratiche medicinali da migliaia di anni, potrebbe svolgere un ruolo interessante. Infatti, le frazioni polisaccaridiche dell’Aloe sono state segnalate come potenti stimolatori delle cellule B in studi in vitro o in vivo. Infascelli et al. (2010) hanno condotto una ricerca volta a esplorare l’influenza dell’alimentazione di bufale gravide con Aloe arborescens sul contenuto di immunoglobuline del colostro.

Aloe arborescens e colostro

A tale scopo, 24 bufale durante gli ultimi due mesi di gravidanza sono state suddivise in due gruppi omogenei. I due gruppi venivano alimentati con TMR isoenergetici e isoproteici che differivano solo per l’aggiunta di 50 g/capo/die di un prodotto contenente Aloe arborescens nel gruppo sperimentale. Il colostro di quest’ultimo ha mostrato una concentrazione di IgG significativamente più elevata (78,5 vs 71,3 mg/ml; P<0,01). Gli autori hanno discusso i risultati come segue: i polisaccaridi della superficie cellulare, se riconosciuti dai recettori di riconoscimento (PRR), sono stimoli efficaci per attivare i macrofagi in quiescenza e altre cellule immunitarie. Queste sostanze sono denominate modificatori della risposta biologica dei polisaccaridi (BRMs). In base alla composizione zuccherina, esistono 3 gruppi principali di BRMs polisaccaridici: i β-1,3-Dglucani, l’α/β- 1,4-mannano e i polisaccaridi altamente ramificati con composizioni monosaccaridiche molto eterogenee; l’α/β-1,4-mannano deriva principalmente dallo strato fresco della parete cellulare del lievito delle foglie di Aloe. In particolare, il polisaccaride BRM, PAC-I, estratto dall’Aloe, ha dimostrato di avere potenti effetti stimolanti sui linfociti B e T. Il PAC-I è quindi un potente stimolatore dei macrofagi murini.

In conclusione, entrambi i gruppi hanno prodotto colostro di buona qualità; tuttavia, quello sperimentale, alimentato con l’integrazione di l’Aloe arborescens, ha fatto registrare un aumento di IgG nel colostro, migliorando così il trasferimento dell’immunità passiva nei vitelli. Pertanto, nel caso di madri che producono colostro di qualità media o bassa, l’Aloe potrebbe aumentarne le proprietà immunologiche, raggiungendo una qualità più accettabile per garantire l’immunità passiva nei vitelli.

L’alimentazione dei vitelli bufalini

Nelle fasi successive di crescita dei vitelli, nella formulazione dei sostituti del latte per i vitelli bufalini bisogna tenere conto del fatto che il latte di bufala presenta un rapporto Ca/P più elevato (Ca 1,8-2 g/kg; P 1,1 g/kg; rapporto 1,73) rispetto al latte di vacca (Ca 1,1-1,2 g/kg; P 0,8 g/kg; rapporto 1,33), e che la capacità di assunzione dei vitelli bufalini è inferiore rispetto a quella dei vitelli bovini (2% vs 2,4- 2,8% di SS/100 kg PV). Per ottenere la stessa concentrazione per kg di latte ricostituito al 12- 14%, sono necessari 13-15 g di Ca e 8,5-10 g di P/kg di latte in polvere SS. Il rapporto Ca/P durante l’allattamento, a causa della carenza di vitamina D nel latte, è l’unico fattore che garantisce un assorbimento ottimale dei due minerali. Quest’ultimo aspetto è molto importante se si considera che il bufalo è classificato come una specie precoce, che raggiunge rapidamente la composizione corporea adulta con un completamento molto rapido della crescita del tessuto scheletrico.

Inoltre, il latte ricostituito per i vitelli bufalini deve essere integrato con non più di 5 mg/kg di rame per evitare episodi di intossicazione che sono causa spesso di mortalità. Tripaldi et al. (2001) hanno confrontato le prestazioni di tre gruppi di vitelli bufalini, di entrambi i sessi, alimentati con sostitutivi del latte acidificato per bovini (gruppo 1, concentrazione: 12,5%) o per bufali (gruppo 2, concentrazione: 18%; gruppo 3, concentrazione: 22%). La prova è stata suddivisa in tre fasi sperimentali: A: somministrazione ad libitum; B: razionamento del latte ricostituito; C: inizio dell’assunzione di fieno e concentrato. L’accrescimento medio giornaliero (ADG) è risultato significativamente minore per il gruppo 1 durante le fasi A e B, raggiungendo i valori degli altri gruppi durante la terza fase. In ogni caso, considerando l’intera sperimentazione, il gruppo 1 ha mostrato i risultati peggiori. Il gruppo 3 ha avuto i risultati più favorevoli, anche se le differenze con il gruppo 2 non erano significative. L’indice di conversione alimentare (ICA) durante la fase A era significativamente più basso per il gruppo 1 (1,86, 1,29 e 1,19, rispettivamente per i gruppi 1, 2 e 3) e anche durante l’intera prova. Il latte ricostituito per bufale al 22% di concentrazione ha fatto registrare i risultati migliori.

Di Lella et al. (1998), in una prova volta a verificare l’influenza del programma di alimentazione sulle dinamiche di crescita dei giovani tori bufalini, hanno suddiviso 24 vitelli bufalini di sette giorni secondo un disegno fattoriale 2 x 2: due età di svezzamento (63 d vs 84 d); due mangimi concentrati per svezzamento (PG 17% vs 14%; amido 37% vs 29,6%). I vitelli dei gruppi A e B, svezzati a 63 d, hanno ricevuto fino a 42 d 6 l/capo/d di sostituto del latte acidificato (concentrazione: 18%). Successivamente, la quantità di latte ricostituito è stata gradualmente diminuita, somministrando lo stesso volume. Gli animali dei gruppi C e D hanno ricevuto fino a 56 d 8 l/capo/d dello stesso latte ricostituito, ma alla concentrazione di 140 g/l. Anche in questo caso, lasciando invariato il volume; quest’ ultimo è poi stato gradualmente diminuito. Il fieno di erba medica e il mangime starter sono stati resi disponibili a partire dalla quinta settimana; l’insilato di mais è stato somministrato a partire dal 70° giorno. Dopo lo svezzamento, gli animali sono stati alimentati ad libitum con fieno e insilato di mais; il mangime starter è stato somministrato in ragione di 12 kg/gruppo.

L’età di svezzamento non ha influenzato le prestazioni. Al contrario, il mangime starter ha influito fortemente sulle dinamiche di crescita nei primi 6 mesi: in questa fase, quello caratterizzato da contenuti più elevai di proteine e amido ha fatto registrare i risultati migliori. Tuttavia, nel periodo successivo (6-16 mesi), sono state ottenute prestazioni migliori utilizzando il mangime di minore qualità, grazie all’accrescimento compensativo. Queste osservazioni suggeriscono di somministrare concentrati a più alto contenuto di proteine e amido durante lo svezzamento, quando i vitelli sono destinati a essere macellati a pesi inferiori rispetto a quelli raggiunti in questa prova (400 kg). Tuttavia, alla luce dei costi elevati, nelle fasi successive di allevamento la scelta di concentrati caratterizzati da una concentrazione proteica ed energetica più bassa potrebbe essere una utile strategia economica.

Il favino come alternativa alla soia

Più di recente, proprio al fine di contenere i costi di alimentazione, è stata rivolta una crescente attenzione verso fonti proteiche alternative alla soia, in larghissima parte di importazione e, elemento da non trascurare, quasi esclusivamente proveniente da colture geneticamente modificate, la qual cosa suscita elevate preoccupazioni nell’opinione pubblica a causa dei potenziali rischi per la salute. Il favino (Vicia faba var. minor) ha un elevato valore nutrizionale (PG 25-35% con un alto contenuto di lisina) ed è coltivato sin dall’antichità in Italia, specialmente nel centro-sud. Inoltre, la coltivazione di leguminose da granella aumenta la sostenibilità dei sistemi colturali e zootecnici grazie alla salvaguardia della fertilità del suolo.

In questo contesto, il gruppo di ricerca di Nutrizione e Alimentazione Animale del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, coordinato dal Prof. Infascelli, ha condotto una sperimentazione volta a valutare l’influenza di una dieta contenente favino come unica fonte proteica, sulle performance infra vitam e sulle caratteristiche nutrizionali della carne di vitelloni bufalini (queste ultime riportate da Calabrò et al., 2014). Per lo studio, sedici vitelli maschi bufalini di otto giorni, equamente divisi in due gruppi (FB, favino e SB, soia) hanno ricevuto 6,0 L/capo/die di sostitutivi del latte acidificato (180 g/L di acqua) fino a 56 giorni di età. Successivamente, per completare lo svezzamento a 80 giorni di età, la quantità di latte in polvere disciolta in acqua è stata gradualmente diminuita, pur somministrando lo stesso volume. Dalla quinta settimana sono stati somministrati fieno polifita e mangime per lo svezzamento, e dal 70° giorno anche insilato di mais.

Dopo lo svezzamento, i vitelli hanno ricevuto fieno polifita e insilato di mais ad libitum, mentre il concentrato è stato somministrato in ragione di 2 kg/capo/die. A 84 giorni, i vitelli sono stati collocati in box individuale fino al raggiungimento del peso di macellazione e alimentati (2,7% PV) con diete isoproteiche (PG: 15,2% SS) e isoenergetiche (0,91UFL/kg SS), differenziate per la fonte proteica del concentrato: favino vs soia integrale. Il peso corporeo è stato registrato mensilmente, sono stati rilevati gli indici infra vitam (altezza al garrese e al bacino, circonferenza, lunghezza della groppa, lunghezza del tronco, profondità del torace, larghezza del bacino e del torace) e post mortem (lunghezza della carcassa, profondità del torace, lunghezza e larghezza degli arti,spessore degli arti).

Non sono state registrate differenze tra i gruppi per tutti questi parametri. Pertanto, il favino può essere utilizzato come fonte proteica alternativa alla soia nella dieta di tori bufalini in accrescimento.

Autori

Daria Lotito, Eleonora Pacifico, Sara Matuozzo

Bibliografia

Tripaldi C., Failla S., Verna M., Roncoroni C. 2001. Allattamento dei vitelli bufalini: composizione e concentrazione del latte ricostituito. Proc. I Congr. Naz. sull’Allevamento del Bufalo. Ed. Bubalus bubalis 399-403.

Calabrò S., Cutrignelli, M.I., Gonzalez, O.J., Chiofalo, B., Grossi, M., Tudisco, R., Panetta, C., Infascelli F. 2014. Meat quality of buffalo young bulls fed faba bean as protein source. Meat Sci. 96, 591–596.

Di Lella T., Cutrignelli M.I., Calabrò S., Infascelli F. 1998. Influenza del piano di alimentazione sulla dinamica di accrescimento di maschi bufalini fino all’età di 16 mesi. Bubalus bubalis 2,81-90. Infascelli F., Gigli S., Campanile G. 2004. Buffalo meat production: Performance infra vitam and quality of meat. Veterinary Research Communications, 28, 143–148.

Infascelli F, Tudisco R, Mastellone V, et al. 2010. Diet Aloe supplementation in pregnant buffalo cows improves colos-trum immunoglobulin content. Revista Veterinaria 21(Suppl.1), 151–153. Infascelli F., Tudisco R., Pacelli C., Borghese A. 2013. Nutrition and feeding. In: Buffalo Livestock and Products edited by A. Borghese, CRA., pp. 175-212.