Spesso i mestieri più antichi vengono tramandati nelle famiglie di generazione in generazione, ma capita anche che si nasca con una passione senza precedenti! E così si fanno percorsi di studi, si cerca di orientarsi guardandosi attorno e si prova ad avvicinarsi a ciò che, crescendo, si decide di voler fare da grandi. Più o meno è iniziata così l’avventura di Daniele Masci e della sua compagna Dayana Bartolini conosciutisi sui banchi dell’Università di Agraria di Perugia e accomunati dal grande sogno di diventare allevatori. Nel percorso di studi i ragazzi hanno frequentato le stalle universitarie nonché collaborato con delle Associazioni di Razza e Allevatori, Daniele è diventato esperto di razza ANABIC, ed entrambi hanno collaborato con l’ARA Abruzzo come tecnici di campo per le attività del progetto LEO.

Il desiderio di poter realizzare qualcosa in proprio rimaneva però più forte di tutto il resto; e quindi, ad un tratto, hanno deciso entrambi di andarsi a formare all’estero, trascorrendo circa 7 mesi in Australia, dove hanno lavorato dapprima presso un allevamento di Hereford e poi presso uno di bovini di razza Romagnola, con l’idea di metter su un’azienda di bovini da carne non appena tornati in Italia. Al loro rientro è quindi iniziata la ricerca del luogo dove avviare l’allevamento; perciò, come prima cosa, ho chiesto ai ragazzi di raccontarci concretamente come abbiano condotto questa fase.

«La nostra idea era di trovare un’azienda in affitto con possibilità di acquisto futuro e ci sarebbe piaciuto allevare vacche da carne. Volevamo però rimanere in Abruzzo, nostra terra di origine, e questo si è rivelato un vincolo nella scelta in quanto in questo territorio le aziende di bovini da carne hanno tendenzialmente una dimensione medio-piccola che non collimava con le necessità emerse elaborando il business-plan.»

Già, il business plan ripeto io, effettivamente non è pensabile pianificare l’avvio di un’attività senza elaborare un piano aziendale, giusto Daniele?

«Eh sì, è stato fondamentale avvalersi di un consulente che ci ha affiancato nella stesura del nostro piano e nella valutazione dei fondi e dei finanziamenti a cui avremmo potuto accedere. Ismea, ad esempio, ha un ottimo bando ma per accedervi è necessario che l’azienda da acquistare abbia tutto perfettamente a norma, e dato che spesso qualche piccola cosa sfugge, non abbiamo voluto rischiare di pagare l’istruttoria e poi vederla respinta. Dunque, ci siamo rivolti alle banche, ma la diffidenza incontrata è stata molta considerando la nostra giovane età e le difficoltà del settore zootecnico. Abbiamo allora pensato di recarci presso la banca dove il proprietario dell’azienda individuata aveva i conti da anni e lì, con i bilanci alla mano dell’ultimo quinquennio, ci è stato accordato il muto per acquistare l’azienda e assicurarci un sostentamento personale.»

Dunque, facendo un passo indietro, quale tipologia di azienda siete riusciti a trovare e dove?

«Si, come dicevamo, le aziende in zona ad indirizzo carne non rispondevano alle nostre esigenze; pertanto abbiamo allargato la nostra ricerca trovando un’azienda di bovini da latte nel comune di Castiglione Messer Raimondo (in provincia di Teramo) che stava chiudendo per mancanza di ricambio generazionale. La trattativa è durata circa un anno e mezzo e con atto notarile del 7 maggio 2021 siamo diventati ufficialmente proprietari di una realtà costituita da 28 ettari di terreno ed una mandria di circa 70 bovine frisone iscritte al Libro Genealogico, di cui circa 32 in mungitura.»

Cosa è successo una volta entrati nella vostra azienda?

«Per circa un mese siamo stati affiancati dal proprietario precedente che nel passaggio di consegne ci ha mostrato le sue procedure operative e fatto conoscere quelle figure professionali che girano attorno ad ogni azienda agricola, quali il veterinario, l’alimentarista, e i fornitori vari. Il primo anno abbiamo volutamente lasciato tutto come era, ma adesso stiamo iniziando a cambiare qualcosa.»

Possiamo brevemente descrivere la vostra attuale gestione dell’azienda?  

«Per quanto riguarda la parte della campagna, l’organizzazione è che circa 23 ettari sono coltivati ad erba medica, 3 a frumento o orzo per effettuare la rotazione, e 2 sono destinati alla forestazione. Si tratta di terreni collinari non irrigui che si trovano a circa 500 metri di altezza sul livello del mare. Per i lavori di semina e raccolta ancora ci avvaliamo dell’aiuto del precedente proprietario perché, non svolgendoli così spesso, ci risultano un po’ più difficili da imparare, e poi, aggiunge Dayana, anche per un discorso di conoscenza del territorio e sicurezza nella lavorazione siamo più tranquilli se lui continua ad affiancarci. Come produzioni interne facciamo con la medica un primo taglio fasciato e poi i successivi li affieniamo, e con i cereali le granelle da mettere in razione. Il resto siamo costretti ad acquistarlo, e si tratta di materie prime ed integratori in quanto facciamo un carro a secco. La parte della stalla ha invece ovviamente una routine quotidiana che inizia alle 6 della mattina con la mungitura delle vacche da parte di Dayana, mentre io (n.d.r. Daniele) mi occupo di mandare gli animali in sala di attesa, pulire le cuccette, le corsie di alimentazione, fare il carro e distribuirlo ad asciutte, manze, e vacche. La vitellaia viene interamente gestita da Dayana, e poi insieme facciamo eventuali terapie, inseminazioni e qualcosa di mascalcia. Il pomeriggio intorno alle 16 si governano di nuovo gli animali e alle 17 circa mi dedico io alla mungitura, nella sala che conta 8 poste parallele su un’unica fila.»

Dopo circa un anno e mezzo di lavoro come vi sembra stiano andando le cose?

«Beh, c’è da dire che la nostra trattativa è iniziata a febbraio 2020 quando non era ancora esplosa la pandemia né la guerra in Ucraina, ed i costi di materie prime ed energia, seppur alti, non erano di certo balzati alle stelle come nell’ultimo anno. Dunque, diciamo chiaramente che il nostro primo anno di attività non ha dato i risultati previsti perché le condizioni sono completamente cambiate rispetto a quanto preventivato. Negli ultimi mesi, con l’aumento del prezzo del latte, sta andando un po’ meglio, ma ancora è presto per esprimersi.»

Se guardate indietro, quali sono state le maggiori criticità che avete dovuto affrontare per avviare questa attività?

«Sicuramente, come già accennato sopra, reperire i finanziamenti è una delle cose più difficili se non si ha capitale iniziale. Poi, volendo valutare l’ipotesi di costruire fisicamente un’azienda acquistando il terreno, ecco, lì ci siamo addentrati in un ginepraio di autorizzazioni in cui districarsi è risultato estremamente complicato per tutti i cavilli burocratici esistenti, al punto da desistere. Altro aspetto è dato dallo scollamento esistente tra la teoria studiata e la pratica del lavoro, dall’università acquisisci delle nozioni fondamentali ma le ore destinante alla pratica sono secondo noi davvero troppo poche per preparare alla gestione operativa. Inoltre, il tipo di lavoro di cui stiamo parlando è fortemente influenzato dalla natura, per cui saper fare un bilancio è fondamentale, ma il clima e l’ambiente sono cose talmente imprevedibili per chiunque, esperto o meno, che il rischio resta sempre molto alto.»