Quando si nasce e si cresce in un luogo ricco di tradizioni rurali, è inevitabile portarsi dietro un bagaglio culturale importante, soprattutto se si tratta di cultura pastorale e casearia. Ed è proprio questo che Sergio Pitzalis non nasconde: la sua Sardegna rimane incontaminata nei suoi occhi, nel suo modo di parlare e nel suo lavoro di casaro. Ma tradizione è anche la parola chiave che ha spinto la sua attività verso la produzione del Caciofiore della Campagna Romana, prodotto agroalimentare tipico conosciuto come Caciofiore di Columella ed inserito nel Marchio Collettivo “I Prodotti della Campagna Romana”, per il quale la Camera di Commercio di Roma è Organismo di Controllo. Il Caciofiore di Columella è anche presidio Slow Food. È proprio grazie alla collaborazione con la Camera di Commercio e del ramo dell’Azienda Romana Mercati che è partito il progetto sul Caciofiore di Columella. Ruminantia ha incontrato Sergio il giorno prima di ferragosto per seguire proprio la produzione di questo prodotto tradizionale e molto storico.

Sembra che il Caciofiore sia un antenato del Pecorino Romano e, nonostante la diffusione anche in Abruzzo e nelle Marche, la terra d’origine è il Lazio. Oltre agli aspetti storici legati alla produzione di questo formaggio, testimoniati dallo scrittore romano Lucio Giunio Moderato Columella nel suo De re rustica (importante opera sulle scienze agrarie), una caratteristica rilevante è l’impiego del caglio vegetale nella fase di coagulazione del latte.

“Il caglio vegetale si ottiene dagli stami del fiore di cardo selvatico, Cynara cardunculus. I fiori di cardo selvatico vengono raccolti nel periodo estivo, durante le giornate soleggiate e secche, quando sono completamente fioriti e hanno una colorazione violacea intensa. Vengono tagliati con circa 15-20 centimetri di gambo per poterli legare e appendere a testa in giù, al buio, per l’essiccazione, che dura circa 15-20 giorni. A noi servono gli stami, per cui li recuperiamo facendo attenzione a non romperli. Con gli stami prepariamo il caglio vegetale: la proporzione è di 60-80 g in 800 ml di acqua, lasciando l’infusione al buio per 24 ore, da utilizzare per 100 L di latte. Al latte aggiungeremo il macerato, dopo aver filtrato l’infusione. La produzione di Caciofiore va da ottobre a giugno, ma c’è anche una produzione estiva fatta con il latte del bestiame transumante in alpeggio, grazie ad una deroga, come da disciplinare. Noi facciamo transumanza in Abruzzo” ci spiega Sergio, mostrandoci il roll-up esposto all’interno del negozio per la vendita diretta. Poi ci spostiamo in caseificio, e da lì seguiamo tutta la produzione del Caciofiore, che Sergio destinerà al Salone del Gusto 2018 di Torino. Sergio prepara il caglio, filtrandolo. “Quando lo aggiungiamo al latte, la temperatura del latte non deve essere troppo alta, deve stare intorno ai 37°C, altrimenti il calore potrebbe bloccare la reazione enzimatica. Ora la cagliatura richiederà più tempo rispetto a quella condotta con caglio di agnello o di vitello, per i quali sono sufficienti 20-30 min. Aspetteremo circa un’ora, almeno”. E, mentre si muove da una parte all’altra della sala di caseificazione, preparandosi l’attrezzatura, ci racconta la sua storia di casaro.

“La nostra azienda è tutta a conduzione familiare. Ad aiutarmi con l’allevamento, ci sono mio figlio, che ha appena finito gli studi superiori diplomandosi all’istituto agrario, e mio cugino, anche lui sardo. Poi ci sono mia moglie Marina e le mie due figlie che danno una mano in caseificio. La più grande studia lingue, il che è molto utile per quando andiamo alle fiere perché ci consente di promuovere il prodotto agli stranieri e quindi al mercato estero”. Di tanto in tanto, lancia un’occhiata alla temperatura, e ci spiega che il Caciofiore prevede l’utilizzo del latte crudo ed intero di pecora, pertanto non andrà ad utilizzare i fermenti lattici. In attesa che il latte cagli, prepara le forme sul tavolo di lavorazione, ed aggiusta i tubi di raccolta del siero, per il recupero dopo la distribuzione della cagliata nelle forme.

“Che caratteristiche avrà il Caciofiore dopo la maturazione?”. Sergio risponde: “È un formaggio a pasta molle, grasso, con una crosta grinzosa, con delle piacevoli note di carciofo. Il caglio vegetale si sente anche dopo, infatti il formaggio rimane molto erbaceo e, nonostante le note amaragnole, in bocca lascia sempre una delicata freschezza”. Lo seguiamo con gli occhi: è rapidissimo, e ci intrattiene con molti aneddoti interessanti, regalandoci preziose informazioni. “Sergio, come funziona il sistema di certificazione per il Caciofiore?” chiediamo. “I controlli ci sono sia sul latte appena munto, sia sul prodotto finito. Infatti sul latte appena munto vengono svolte delle analisi da parte dell’IZS di Roma per verificare la carica batterica, che deve essere sotto certi livelli. A 30 giorni dalla produzione del formaggio, c’è il controllo delle caratteristiche fisico-chimiche, batteriologiche e sensoriali del formaggio. Vengono prelevati 3 campioni, di cui uno rimane sigillato qui in azienda e 2 sono sottoposti ad analisi. Se tutte le analisi danno esito di conformità, potremo poi immetterlo etichettato con il marchio di Caciofiore di Columella. Tutto questo ha un costo, soprattutto perché il latte è crudo. Il consumatore dovrebbe poter percepire tutto quello che c’è dietro al momento dell’acquisto. Nel nostro caso, poi, la filiera è praticamente a metri zero, non diamo tempo ai microrganismi di svilupparsi nel latte perché mungiamo e lavoriamo subito la materia prima.” E continua a sistemare le forme sul tavolo, chiamando la moglie Marina per sapere se ci sono altre due mani di casa a disposizione per girare poi le forme.

Tra un’informazione tecnica e l’altra, non mancano i racconti sulla sua famiglia e su come è riuscito ad imparare l’arte del casaro. “Mia madre è stata la mia maestra. In realtà, la mia è una famiglia di pastori, addirittura mio nonno era presidente di una cooperativa di pastori, quindi siamo nel settore da tempo. Sicuramente le cose che mi ha insegnato mia madre sono piccoli accorgimenti, ma di grande importanza. Anche ora, se mi vede all’opera per fare la ricotta, capita che mi riproveri e mi dica “Piano! Devi girare, sennò si indurisce…!”. Quindi, dalla tradizione sarda ci siamo appassionati e, venendo qui, abbiamo cominciato valorizzando tutto ciò che è tradizionale. Ed una cosa importante è che qui tutti devono saper fare tutto. Ad esempio, ora abbiamo la mungitrice meccanica, ma una volta è mancata la corrente ed abbiamo munto a mano. E quando è nevicato ad inizio anno, abbiamo usato dei calderoni di rame stagnati per la lavorazione della ricotta, la gente di passaggio si fermava perché attirata dal profumo.”

Intanto, la coagulazione sta andando avanti. Sergio ci spiega anche la loro realtà di vendita. Oltre agli eventi più importanti, come il Salone del Gusto di Torino e Cheese a Bra (CN), Sergio ci racconta di quali mercati frequentano. “Siamo tutti i fine settimana al mercato di Campagna Amica al Circo Massimo. Vedo che, nonostante esista la vendita su internet, che noi non facciamo, i consumatori cercano il rapporto con il produttore proprio al banco: sono affamati di conoscenza, oltre che di tradizione e sapori. E questo è molto positivo”. Finalmente il paio di mani in più si fa avanti, e partono i preparativi per rompere e riversare la cagliata sulle forme. “Venite, vi faccio vedere come possiamo riconoscere se la cagliata è pronta: se toccandola con le tre dita della mano, non rimane attaccata, allora si può passare alla rottura della cagliata e alla formatura. Dovremmo essere molto veloci poi a girare subito le forme, che verranno salate a secco domani. Durante la maturazione, ribalteremo queste formette quadrate molte volte, per evitare che le muffe si sviluppino eccessivamente sulla superficie”. Per la rottura della cagliata si interviene prima con uno strumento più grossolano, poi con la lira. È richiesta una rottura cosiddetta “a noce” per avere poi una pasta molle, che si mantenga dopo la stagionatura.

 

Le mani di Sergio iniziano a dare forma al Caciofiore, prima operando per disrtibuire equamente la cagliata nei cestelli posizionati sul tavolo, poi nel ribaltare i Caciofiore primordiali. E mentre ben tre paia di braccia lavorano velocemente, ci arriva un pezzo di cagliata da assaggiare. “Quando mangiate questo formaggio, dovete chiudere gli occhi, sentire il profumo, poi il sapore… vi farà tornare indietro negli anni, e penserete che gli antichi mangiavano la stessa cosa, con lo stesso latte, gli stessi pascoli e la stessa tecnica… questa è poesia, è storia, perché alla fine la storia siamo noi”.

L’azienda agricola di Sergio Pitzalis si trova a Bracciano. L’allevamento è composto da 1500 capi, di cui attualmente 800 sono in lattazione. I prodotti ottenuti dal latte delle pecore allevate sono ricchi di tradizione sarda e spaziano dal primo sale ai pecorini più stagionati, senza dimenticarsi della ricotta e dello yogurt. Alcuni prodotti subiscono interessanti processi di stagionatura, come il cacio cinerino, stagionato nella cenere, e il pecorino affogato nel mirto.

 

 

Az. Agr. Pitzalis Sergio L’isola del Formaggio
Via Settevene Palo II Tronco, n. 39 – 00062 Bracciano RM
lisoladelformaggio.it
pitzalis.sergio@virgilio.it

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