Una invited review, pubblicata su Dairy nel mese di agosto 2022, rivela dettagli interessanti relativi agli antibiotici. Questi sono stati per lungo tempo utilizzati per la prevenzione e il trattamento di malattie comuni e per scopi profilattici negli animali da latte. Tuttavia, negli ultimi decenni ciò è diventato motivo di preoccupazione a causa della diffusa convinzione che ci sia stato un abuso o un utilizzo improprio di questi farmaci negli animali e che questo uso improprio abbia portato alla presenza di residui negli alimenti di origine animale, come latte e latticini.
Pertanto, questa review vuole raccogliere la letteratura scientifica pubblicata fino ad oggi che prende in esame la presenza di residui di antibiotici in questi prodotti a livello mondiale. Il focus è posto sulle ragioni che portano alla loro presenza negli alimenti, sui potenziali problemi causati dai residui alle caratteristiche dei prodotti lattiero-caseari e al loro processo di produzione, sullo sviluppo e sulla diffusione di batteri resistenti agli antibiotici, e sugli effetti che sia i residui che i batteri resistenti possono avere sulla salute umana e su quella dell’ambiente.
Di seguito, riportiamo la traduzione integrale del lavoro che può essere consultata nella sua interezza o scegliendo, attraverso l’indice qui sotto, i paragrafi di maggiore interesse (la bibliografia è disponibile nell’articolo originale).
INDICE
1. Utilizzo degli antibiotici negli animali da latte
2. Residui di antibiotici nel latte e nei latticini:
- 2.1 Origine dei residui di antibiotici nel latte
- 2.2. Residui di antibiotici nel latte bovino in commercio a livello globale
- 2.3. Residui di antibiotici nel latte di pecora e capra
- 2.4. Passaggio di residui di antibiotici dal latte ai latticini
- 2.5. Effetti dei Residui di antibiotici nei prodotti lattiero-caseari in commercio
3. Effetti dei residui di antibiotici nella lavorazione dei prodotti lattiero caseari
4. L’utilizzo degli antibiotici e la comparsa di batteri antibiotico-resistenti
- 5.1. Salute umana
- 5.2. Ambiente e allevamento da latte
6. Conclusioni: allora, dove risiede il problema?
1. Utilizzo degli antibiotici negli animali da latte
Gli antibiotici vengono definiti come composti naturali, semisintetici o sintetici con attività antimicrobica che possono essere applicati per via parenterale, orale o topica. Sono stati impiegati nella cura delle specie zootecniche per oltre 60 anni, per la prevenzione e la terapia di patologie comuni (mastiti, malattie respiratorie, patologie del piede, ecc.) e a scopo profilattico. Si stima che l’utilizzo degli antibiotici negli animali destinati alla produzione alimentare rappresenti il 73% dell’utilizzo a livello globale di questi farmaci [1] (l’80% negli Stati Uniti [2]).
In Europa, l’ultimo report congiunto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) [3] indica che il consumo complessivo di antibiotici è stato, per la prima volta, inferiore negli animali da produzione a alimentare rispetto all’uomo durante il periodo oggetto di indagine (2016-2018). Il report conclude che le misure adottate in Europa, a livello di stati membri, per ridurre l’uso di antibiotici negli animali da produzione alimentare risultano essere efficaci. Tiseo et al. [4] hanno stimato le tendenze globali riguardanti l’utilizzo di antibiotici negli animali da produzione alimentare dal 2017 al 2030. Hanno concluso che le vendite dovrebbero aumentare dell’11.5% entro il 2030. Tuttavia, questo aumento è inferiore alle stime precedenti (53%) [2] a causa dei recenti report che indicano un calo nell’utilizzo di antibiotici, in particolare in Cina, il più grande consumatore del mondo.
Il latte e i suoi derivati sono alimenti di grande importanza nutrizionale, sociale ed economica, prodotti in tutto il mondo con sistemi e tecnologie di produzione molto diverse [5]. La mastite è la malattia infettiva più frequente negli animali da latte, che causa importanti perdite economiche nell’industria lattiero-casearia, nonostante l’introduzione negli ultimi 30 anni di programmi di controllo [6]. Negli Stati Uniti, il 16% di tutte le vacche da latte in lattazione riceve ogni anno una terapia antibiotica per la mastite clinica [7]. Gli antibiotici usati per il trattamento di questa patologia includono β-lattamici (penicillina, cefapirina, ceftiofur, amoxicillina, etacillina e cloxacillina), macrolidi (eritromicina), cumarine (novobiocina) e lincosamidi (pirlimicina). Inoltre, durante il periodo di asciutta, le vacche vengono trattate per le infezioni da mastite subclinica esistenti e a scopo preventivo [8]. Negli Stati Uniti, oltre il 75% di tutte le vacche da latte riceve infusioni intramammarie di dosi profilattiche di antibiotici dopo ogni lattazione, principalmente con penicilline, cefalosporine o altri β-lattamici [7].
Attualmente, tuttavia, a causa delle crescenti preoccupazioni sulla resistenza agli antibiotici, in tutto il mondo è allo studio e viene preso in considerazione il trattamento preventivo selettivo negli allevamenti con bassi livelli di problemi di mastite contagiosa [9]. Altre malattie infettive comuni nelle vacche da latte sono le infezioni respiratorie, quelle a carico dell’utero e le malattie infettive del piede. Gli antibiotici usati per trattare le infezioni del piede includono sulfamidici, β-lattamici, tetracicline e lincomicina. Le malattie respiratorie o la metrite vengono comunemente trattate con ceftiofur e altri β-lattamici, tilosina, tilmicosina, florfenicolo, tetracicline e sulfadimetossina [10]. D’altro canto, l’aumento complessivo della produzione di latte da parte di pecore e capre da latte ha comportato un maggiore utilizzo di antibiotici per il trattamento di mastiti e altre patologie anche in questi animali [6,11,12]. Tuttavia, la disponibilità di farmaci registrati per l’utilizzo negli ovini e nei caprini da latte in lattazione è abbastanza limitata e ciò comporta un utilizzo off-label di alcuni antibiotici da parte di veterinari e allevatori [13].
2. Residui di antibiotici nel latte e nei latticini
2.1. Origine dei residui di antibiotici nel latte
I residui, come definiti dall’Unione Europea (UE) e dal Center for Veterinary Medicine, un’agenzia della Food and Drug Administration (FDA/CVM) negli Stati Uniti, sono “sostanze farmacologicamente attive (siano esse principi attivi, ricettivi o prodotti di degradazione) e loro metaboliti che rimangono negli alimenti ottenuti da animali ai quali sono stati somministrati i farmaci in questione” [14]. Per garantire la sicurezza alimentare per i consumatori, in tutto il mondo diverse autorità di regolamentazione, tra cui EFSA, FDA e Codex Alimentarius, hanno stabilito i livelli di tolleranza per i residui di antibiotici (limite massimo di residui, MRL) nel latte e in altri alimenti per la tutela dei consumatori [15]. La tabella 1 mostra gli antibiotici utilizzati in medicina umana e/o negli animali da latte e i loro valori LMR come stabilito dalla normativa europea.
Numerosi fattori influenzano la concentrazione dei residui nel latte, tra cui le caratteristiche e la salute dell’animale, la quantità e la tipologia di antibiotico somministrato, la modalità di somministrazione degli antibiotici, la quantità di latte prodotto, ecc. Gli antibiotici devono essere somministrati sotto prescrizione veterinaria utilizzando prodotti autorizzati e rispettando la dose, le vie di somministrazione e i tempi di sospensione raccomandati dai produttori [13]. Una volta somministrato all’animale, gran parte dell’antibiotico viene metabolizzato affinché avvengano la detossificazione e la sua escrezione. In linea generale, la maggior parte del prodotto iniziale e dei suoi metaboliti viene escreta nelle urine e, in misura minore, nelle feci. Tuttavia, parte del farmaco può persistere per un certo periodo nell’animale e può essere ritrovato nel latte e nella carne [16]. Inoltre, per quanto riguarda il trattamento della mastite, gli antibiotici vengono generalmente somministrati per via intramammaria. In questo modo, l’antibiotico attivo raggiunge elevate concentrazioni nel sito di infezione, risultando più efficace a dosi più basse [17]. Tuttavia, il farmaco somministrato può passare facilmente dalla ghiandola mammaria al latte ed è, quindi, la principale causa della presenza di residui in esso [18]. Con l’applicazione intramammaria, i residui si ritrovano per un periodo più lungo e in concentrazioni più elevate nel latte rispetto ai casi in cui gli antibiotici vengono somministrati per via parenterale [19].
Per questo motivo, è obbligatorio rispettare il “periodo di sospensione“. Come definito dall’articolo 4 del Regolamento Europeo (UE) 2019/6 [21], il “periodo di sospensione” è il periodo minimo che deve intercorrere tra l’ultima somministrazione di un medicinale veterinario a un animale e l’inizio della produzione di alimenti a partire da tale animale. In normali condizioni di utilizzo, questo periodo è necessario per garantire che gli alimenti provenienti da un animale trattato non contengano residui in quantità dannose per la salute pubblica. Questo periodo viene determinato, per diversi antibiotici, sulla base di dati scientifici e deve essere indicato dal produttore nel riassunto delle caratteristiche del farmaco.
Tabella 1. Antibiotici utilizzati in medicina umana e/o negli animali da latte (adattato da [20]).
Per quanto riguarda gli animali da latte, i tempi di sospensione sono stati stabiliti, nella maggior parte dei casi, per i bovini. Per altri animali da latte, come pecore e capre, il periodo è stato determinato solamente per gli antibiotici più comunemente usati. Per gli antibiotici per i quali non è previsto, il Regolamento Europeo, ad esempio, stabilisce alcuni criteri che il veterinario deve applicare per calcolare il tempo minimo di sospensione da fissare, tenendo conto, tra l’altro, del tempo stabilito per gli altri animali da latte [21].
2.2. Residui di antibiotici nel latte bovino in commercio a livello globale
La presenza di antibiotici nel latte vaccino in commercio è nota da molti anni. Nei primi studi [22], è stato riportato che prima del 1962 il 12% circa della produzione di latte vaccino degli Stati Uniti era adulterata con antibiotici β-lattamici. In Gran Bretagna, nel 1963, l’11% dei campioni di latte vaccino testati conteneva penicillina. Nel 1998, i dati stimavano che l’1% dei prodotti di origine animale negli Stati Uniti e in Europa conteneva residui di antibiotici a livelli molto bassi [22]. Inoltre, uno studio pubblicato nel 2000 [23] indicava che tra il 1988 e il 1990 il latte commercializzato in Nord America conteneva livelli rilevabili di tetracicline (fino all’80% dei campioni analizzati in alcuni studi), sulfametazina e altri antibiotici. Tuttavia, i risultati di questi primi studi hanno mostrato una notevole variabilità dovuta, come ipotizzato da Mitchell et al. [22], alle differenze regionali nelle pratiche di allevamento, di trattamento e di macellazione degli animali e riflettevano le diverse metodologie di campionamento e di prova utilizzate.
Sachi et al. [16] hanno esaminato la letteratura scientifica che aveva come argomento di ricerca i residui di antibiotici nel latte nel periodo tra il 1960 e il 2017. Hanno individuato 224 articoli nei quali i residui di antibiotici venivano analizzati, quantitativamente e qualitativamente, in campioni di latte vaccino. Tuttavia, la maggior parte dei lavori (82.14%) riguardava metodi di rilevamento che analizzavano pochi campioni e, in gran parte, il latte veniva addizionato con quantità note di antibiotici per ottimizzare il metodo. Allo stesso modo, Treiber et al. [1] hanno esaminato la letteratura scientifica (dal 1999 al 2019) riguardante i residui di antibiotici negli alimenti di origine animale, concentrandosi sui prodotti commerciali. Hanno trovato 73 studi nei quali venivano analizzati residui di antibiotici nei prodotti di origine animale; tra questi, 27 analizzavano i residui di antibiotici nel latte. In relazione all’importanza dell’argomento, il numero di pubblicazioni individuate è stato relativamente basso. La tabella 2 mostra un’analisi dettagliata degli articoli riportati nelle review menzionate [1,16] dove venivano forniti i dati sui campioni commerciali. Questa tabella include anche gli articoli trovati in una nuova ricerca nella quale sono stati applicati gli stessi criteri delle review citate per gli anni dal 2019 ad oggi. Sebbene la tabella non pretenda di essere una raccolta esaustiva di tutte le opere pubblicate, riflette abbastanza bene lo squilibrio esistente in relazione ai territori per i quali esistono dati pubblicati nella letteratura scientifica nell’ultimo ventennio. Come si può apprezzare nella tabella 2, i territori inclusi in questi studi corrispondono, in grande percentuale, all’Africa, al Centro e Sud America e all’Asia. Trebier et al. [1] hanno ipotizzato che potrebbe essere così perché nell’UE, negli Stati Uniti e in alcuni territori asiatici, le linee guida delle normative relative ai residui di antibiotici negli alimenti sono relativamente rigide e normalmente sono controllate dalle autorità statali. In questi termini, il report elaborato da The National Milk Drug Residue Data Base per la FDA nel 2020 [66] ha raccolto i risultati di 4.049.727 test su campioni di latte vaccino per tre diverse famiglie di antibiotici (β-lattamici, sulfamidici e tetracicline). Durante questa indagine, 539 campioni (0.013%) sono stati segnalati come positivi (sopra l’LMR) per almeno un residuo di farmaco. Ad eccezione di cinque campioni risultati positivi per i sulfamidici, il resto era positivo per i β-lattamici. Risultati simili sono stati trovati nei report degli anni precedenti, indicando un miglioramento rispetto ai primi studi. Nell’UE, l’ultimo report è del 2019 [67]. Per il gruppo degli antibiotici (ad es. β-lattamici, tetracicline, macrolidi, aminoglicosidi, sulfamidici e chinoloni), sono stati testati 9555 campioni di latte vaccino e il numero di campioni non conformi era lo 0.12% (un campione in undici stati). Tuttavia, sono stati individuati tre campioni positivi al cloramfenicolo (un campione in tre stati), sebbene l’utilizzo di questo antibiotico sia vietato in campo veterinario. Nel complesso, la percentuale di campioni non conformi nel 2019 era paragonabile a quella degli 11 anni precedenti.
I dati presenti nella letteratura scientifica riferita agli stati europei sono molto scarsi (tabella 2). Degni di nota sono i dati del Kosovo, che sono sostanzialmente peggiori rispetto a quelli di altri stati europei. Il motivo potrebbe risiedere nel fatto che il Kosovo non è membro dell’UE e, quindi, non è soggetto ai suoi regolamenti e controlli. In Asia, la Cina è stata uno dei maggiori consumatori mondiali di prodotti lattiero-caseari negli ultimi decenni e le questioni relative alla sicurezza alimentare nel settore lattiero-caseario hanno attirato sempre più l’attenzione del governo cinese e dell’opinione pubblica [4,68]. Lu et al. [69] hanno recentemente pubblicato una review degli studi effettuati in questo territorio. Per questo motivo, non li abbiamo inclusi nella tabella 2. La review raccoglie 46 studi di sorveglianza trasversali pubblicati tra il 1988 e il 2020, che hanno fornito i livelli di antibiotici per 8788 campioni di latte. Penicillina, tetraciclina, cloramfenicolo e streptomicina sono gli antibiotici più frequentemente testati nei campioni di latte. L’analisi pooled ha rivelato che 165 su 1701 campioni di latte fresco (9.7%) e 58 su 1220 campioni di latte sterilizzato (4.8%) hanno superato i limiti di MRL. Complessivamente, dei 18 antibiotici valutati nel lavoro di Lu, i tre con i tassi positivi più alti erano sulfametossazolo, cloramfenicolo e trimetoprim. Tuttavia, sebbene i livelli di antibiotici nel latte fresco e sterilizzato siano oggetto di fluttuazioni, sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni [69]. I dati provenienti dagli altri territori asiatici, pubblicati nella letteratura scientifica, sono molto variabili e dipendono dal territorio e, in alcuni casi, anche dalla regione, come accade, ad esempio, nel caso dell’Iran (Tabella 2). In Centro e Sud America, la maggior parte dei lavori pubblicati fa riferimento alla situazione del Brasile, che secondo gli studi più recenti sembrerebbe essere migliorata. In Africa non sono stabiliti valori MRL, ma secondo i valori stabiliti nell’UE o negli Stati Uniti, la percentuale di campioni non conformi è generalmente elevata (Tabella 2). Ciò è dovuto, molto probabilmente, al fatto che nella maggior parte dei territori africani non vi è alcun controllo sulla distribuzione di antibiotici veterinari perché l’accesso ai farmaci veterinari non è ancora regolamentato [1]. Da segnalare la presenza di residui di cloramfenicolo in alcuni campioni a livello globale. Il cloramfenicolo è un antibiotico ad ampio spettro molto efficace, attivo contro un’ampia gamma di agenti patogeni. Tuttavia, il suo utilizzo clinico nell’uomo può avere effetti collaterali fatali come aplasia del midollo osseo, sindrome del bambino grigio e anemia aplastica. Per questo motivo, nel 1969 il Comitato di esperti FAO/OMS sugli antibiotici ha proposto la tolleranza zero per i residui di questo antibiotico negli alimenti [62]. Nell’UE, l’uso di questo farmaco in campo animale è vietato dal 1994 (Direttiva 1430/94 (CE 1994) [70]). Nonostante ciò, viene ancora rilevato in alcuni campioni di latte sia in Europa, come accennato in precedenza, sia nel resto del mondo (Tabella 2).
2.3. Residui di antibiotici nel latte di pecora e capra
Come si può vedere nella Tabella 2, la maggior parte dei dati pubblicati si riferisce al latte vaccino. Pochissimi studi analizzano il latte di altri ruminanti, come le capre [34,56] o le pecore [63,64]. Negli stati del Mediterraneo, come Spagna, Francia, Italia e Grecia, la produzione di latte di pecora e capra è principalmente destinata alla produzione di latticini, come diverse tipologie di formaggio e di yogurt. Per questo motivo, il latte di questi animali non viene incluso nei report di sorveglianza dell’EFSA. Tuttavia, alcuni stati, come la Spagna, controllano la presenza di residui di antibiotici prima del loro utilizzo con metodi che rilevano almeno i β-lattamici [13].
Pertanto, sono stati individuati pochissimi lavori scientifici nei quali è stato effettuato uno screening di una grande quantità di campioni di latte di pecora o capra. Ad esempio, Yamaki et al. [63] hanno analizzato un totale di 2686 campioni di latte crudo di pecora (di greggi di razza Manchega che fornivano latte per il formaggio spagnolo DOP Manchego). Hanno riscontrato risultati positivi per l’1.7%, sebbene il test utilizzato non consentisse loro di identificare quali fossero gli antibiotici presenti nei campioni. Un successivo lavoro svolto anche questo in Spagna [64] ha analizzato 209 greggi di pecore da latte di razza Assaf nell’arco di 5 anni. Ha ottenuto 71.228 registrazioni e ha riscontrato che la presenza di campioni non conformi è diminuita drasticamente dal 2004 (1.36%) al 2008 (0.30%), probabilmente in seguito a validi programmi educativi. I due studi in cui è stato analizzato il latte di capra commerciale [34,56] provengono dall’Africa e dall’Asia e, in entrambi, sono stati trovati residui di antibiotici al di sopra dell’MRL in percentuali superiori a quelle del latte di pecora (Tabella 2).
2.4.Passaggio di residui di antibiotici dal latte ai latticini
Le informazioni sul passaggio di farmaci antibiotici dal latte ai latticini presenti nella letteratura scientifica si basano, nella maggior parte dei casi, su procedure sperimentali in cui il latte privo di antibiotici viene addizionato con quantità note di farmaci e viene analizzato l’effetto di diversi trattamenti. Utilizzando questa tipologia di metodo, è stato dimostrato che il passaggio dipende dalle caratteristiche del processo produttivo e dai trattamenti che include, come previsto [71]. Oltre al latte, i latticini più consumati sono lo yogurt e il formaggio. Sebbene il processo per fare lo yogurt possa variare a seconda della tipologia di prodotto, nella quasi totalità dei casi la produzione prevede una prima fase di pastorizzazione del latte. In generale, il trattamento termico porta alla degradazione dei residui di antibiotici e, di conseguenza, ad una riduzione della concentrazione dei residui o della bioattività del farmaco nell’alimento prodotto [72]. Tuttavia, i valori riportati in letteratura variano ampiamente a seconda, tra l’altro, dell’antibiotico, della matrice, della temperatura e del tempo applicati. Per quanto riguarda la matrice, alcuni autori [73] hanno evidenziato che le penicilline si degradano maggiormente nell’acqua anziché nel latte sottoposto a trattamento termico. Tuttavia, altri autori hanno concluso che i risultati per penicilline e tetracicline sono poco convincenti [72]. In ogni caso, la temperatura e il tempo di applicazione sono i principali fattori che influiscono sulla velocità di degradazione degli antibiotici e, sebbene il loro effetto vari tra gli antibiotici, in generale i trattamenti applicati per pastorizzare il latte sembrerebbero ridurre solo leggermente la concentrazione della maggior parte antibiotici [74].
Per questo motivo, gli yogurt a base di latte contaminato presentano generalmente una concentrazione di antibiotici uguale o leggermente inferiore rispetto a quella del latte utilizzato per la loro produzione [73,75]. La scrematura, effettuata solitamente per centrifugazione, viene utilizzata per la produzione di latticini a basso contenuto di grassi. Hakk et al. [76] hanno dimostrato che la distribuzione degli antibiotici tra le diverse frazioni del latte è, principalmente, basata sulla loro lipofilia. Hanno studiato la distribuzione di penicillina G, sulfadimetossina, ossitetraciclina ed eritromicina tra le frazioni di latte vaccino intero e le frazioni di latte vaccino scremato e hanno scoperto che oltre il 90% di questi antibiotici rimaneva nel latte scremato. In altri studi, inoltre, è stato riscontrato che le tetracicline rimanevano nel latte scremato in percentuali superiori all’80% [75] e che le sulfonamidi si distribuivano principalmente nella frazione acquosa del latte [77]. Al contrario, il cloramfenicolo sembrerebbe essere trattenuto principalmente nei prodotti ad elevato contenuto di grassi, come burro e panna acida, con concentrazioni inferiori nei campioni di formaggio a pasta bianca e di siero di latte [78].
Nel mondo si producono centinaia di tipologie di formaggio, che variano in base all’origine (animale) del latte, al suo trattamento (crudo o pastorizzato, intero o scremato…) e alla tecnologia applicata per produrli. Tuttavia, durante la produzione di una grande varietà di formaggi vengono applicati, la maggior parte delle volte, i seguenti trattamenti: riscaldamento, aggiunta di colture starter e acidificazione, aggiunta di caglio e coagulazione, scolatura del siero, pressatura della cagliata e salatura. Tra tutte queste fasi della produzione del formaggio, la formazione della cagliata e la scolatura del siero sono cruciali nel destino dei residui di antibiotici, e sono i processi più studiati utilizzando il suddetto approccio. Pertanto, alcuni autori hanno studiato la distribuzione dei diversi antibiotici tra cagliata e siero di latte dopo averli addizionati al latte di vacca [75,79–82], di pecora [83,84] e di capra [18,74,85,86]. In linea generale, tutti questi studi concludono che il residuare degli antibiotici nella cagliata e nel formaggio dipende fondamentalmente dalla loro solubilità in acqua e dalla loro capacità di interagire con la frazione grassa e/o proteica [76,85].
Pertanto, gli antibiotici β-lattamici vengono per lo più trasferiti al siero di latte a causa della loro natura idrosolubile [79,80,85] e, per questo motivo, si ritrovano in concentrazioni molto basse nei formaggi sperimentali [7,81] e in quelli commerciali [72]. Questo fenomeno è importante poiché i sottoprodotti della caseificazione, come il siero di latte, attualmente vengono riciclati nella produzione alimentare e sono utilizzati anche per l’alimentazione degli animali [87]. Oltre ai β-lattamici, le tetracicline sono gli antibiotici più studiati a questo riguardo ed è stato dimostrato, per i formaggi sperimentali di vacca [75], pecora [83,84] e capra [74], che vengono per lo più trattenute nella cagliata e nel formaggio. Giraldo et al. [85] hanno concluso che, in linea generale, gli aminoglicosidi, i chinoloni e le tetracicline sembrerebbero avere una maggiore suscettibilità ad essere trattenuti nella cagliata del formaggio, dato che hanno riscontrato una riduzione dell’attività antimicrobica nel siero di latte, compresa tra l’84 e il 100% per queste classi di antibiotici. Le tetracicline sono state rilevate anche nei formaggi commerciali della Nigeria [71], dell’Indonesia [74] o del Pakistan [75]. Quintanilla et al. [15] hanno riportato risultati discordanti per quanto riguarda i formaggi a pasta molle a base di latte addizionato con vari antibiotici, in riferimento all’elevato contenuto di siero di latte in questa tipologia di formaggio. Pochi sono gli studi che descrivono cosa accade ai residui trattenuti nel formaggio durante la stagionatura [74,83,84,86]. Questi studi hanno dimostrato che, in generale, la concentrazione dei residui diminuisce significativamente nel tempo. Pertanto, i residui di β-lattamici e di eritromicina non erano rilevabili dopo 30 giorni di maturazione del formaggio Tronchon [74]. I chinoloni enrofloxacina e ciprofloxacina sembrerebbero essere più stabili, mostrando un tasso di riduzione inferiore lungo il periodo di maturazione (30-45%) [15,86]. I dati di stabilità per l’ossitetraciclina variano tra gli studi. Nel formaggio stagionato Tronchon è stata misurata una riduzione del 95% del contenuto di ossitetraciclina [74], mentre nel formaggio di pecora stagionato di 60 e 90 giorni è stata osservata solo una riduzione del 15-19% rispetto ai formaggi stagionati un giorno [83,84]. La diminuzione del contenuto di antibiotici durante la maturazione è molto probabilmente dovuta alla degradazione della molecola. Questo processo può dipendere dalle condizioni di maturazione, che sono diverse per le diverse tipologie di formaggio, il che, a sua volta, spiegherebbe i risultati discordanti riscontrati tra gli studi.
Tabella 2. Lavori di ricerca pubblicati sulla individuazione dei residui di antibiotici nel latte.
Tabella 2. Continua
Tabella 2. Continua
2.5. Effetti dei Residui di antibiotici nei prodotti lattiero-caseari in commercio
Poiché i valori MRL non sono stabiliti per il formaggio o per altri prodotti lattiero-caseari, l’analisi di questi prodotti non è inclusa nei report di sorveglianza. Inoltre, nella letteratura scientifica, sono stati individuati pochi lavori che analizzavano i prodotti lattiero-caseari commerciali (Tabella 3). Come nel caso del latte, la maggior parte degli studi proviene dall’Africa e dall’Asia e anche in questo caso sono stati trovati residui di antibiotici in un’elevata percentuale dei campioni analizzati.
Tabella 3. Lavori di ricerca pubblicati sul rilevamento di residui di antibiotici in prodotti lattiero-caseari commerciali.
3. Effetti dei residui di antibiotici nella lavorazione dei prodotti lattiero caseari
La presenza di residui di antibiotici nel latte destinato alla produzione di latticini fermentati potrebbe influenzare i processi tecnologici, provocando una diminuzione della qualità dei prodotti finali, e, quindi, potrebbe avere conseguenze economiche per il settore lattiero-caseario. I problemi che la presenza di antibiotici potrebbe causare durante la lavorazione dei latticini sono stati descritti molto tempo fa [93] e sono stati riassunti in: fallimenti nella crescita delle colture starter, nella coagulazione del latte, nella maturazione dei formaggi e nella produzione di acidi e aromi. I batteri lattici (LAB) aiutano i prodotti lattiero-caseari ad acquisire il tipico aroma, l’odore e la consistenza [94]. Molti LAB sono utilizzati come colture starter per la produzione di prodotti lattiero-caseari fermentati. Inoltre, i LAB non starter, provenienti dalla materia prima e dall’ambiente, contribuiscono al normale sviluppo delle caratteristiche del prodotto caseario. Pertanto, la maggior parte dei problemi causati dai residui di antibiotici sono dovuti al fatto che inibiscono, in parte o completamente, lo sviluppo di LAB e ritardano la produzione di acido da parte di questi batteri. Nel processo di caseificazione, ad esempio, è molto importante l’abbassamento del pH perché aumenta l’attività degli enzimi e la velocità di coagulazione, importante soprattutto nei formaggi a pasta dura e a lunga stagionatura [95]. Inoltre, un insufficiente abbassamento del pH può causare fermentazioni atipiche, supportate da clostridi o da lieviti, e difetti nelle caratteristiche sensoriali dello yogurt [96] e del formaggio [95].
Marth ed Ellickson [94] hanno esaminato la suscettibilità di varie colture starter per formaggio e yogurt ai vari antibiotici. Hanno compilato i dati sulle concentrazioni di antibiotici necessarie per l’inibizione parziale o completa dell’attività di varie colture starter pure o miste e hanno riscontrato differenze nelle sensibilità tra le specie e nelle quantità di antibiotici necessarie per causare effetti inibitori. Allo stesso modo, Cogan [97] ha analizzato la suscettibilità alla penicillina, alla cloxacillina, alla tetraciclina e alla streptomicina di otto streptococchi lattici a ceppo singolo, di tre starter commerciali per il formaggio e di sei batteri lattici isolati dallo yogurt. Hanno scoperto che gli intervalli degli antibiotici che causavano il 50% di inibizione dei batteri erano (g/L): penicillina, 9–200; cloxacillina, 240–2500; tetraciclina, 90–600; e streptomicina, 350-13.000. Gli isolati dallo yogurt sono risultati più resistenti alla streptomicina e più suscettibili alla penicillina rispetto agli starter per il formaggio. Tutti i valori sono ben al di sopra dell’LMR stabilito per il latte (Tabella 1).
Le conseguenze dell’effetto di inibizione sul processo di lavorazione e sulle caratteristiche del prodotto finale sono state analizzate tramite approcci sperimentali, nei quali il latte privo di antibiotici veniva addizionato con quantità note di antibiotici e veniva analizzato l’effetto dei diversi trattamenti, come descritto in precedenza. Marth e Ellickson [94] hanno raccolto gli studi effettuati fino al 1959 e hanno mostrato come l’aggiunta di penicillina al latte per la produzione di formaggio cheddar provocasse un ritardo nella produzione di acido in maniera dose-dipendente. Inoltre, a partire da una certa dose (variabile a seconda dello studio), i formaggi stagionati presentavano un pH elevato e caratteristiche sensoriali scadenti, come corpo pastoso e aroma di fermentato o di lievito. Approcci simili sono stati condotti in anni più recenti per studiare l’effetto dei residui di diverse tipologie di antibiotici nella produzione di formaggio [74,83,84,86,95,98,99] e yogurt [100-103]. Ad esempio, il latte di capra senza di antibiotici è stato addizionato singolarmente con sette antibiotici (amoxicillina, benzilpenicillina, cloxacillina, eritromicina, ciprofloxacina, enrofloxacina e ossitetraciclina) ad una concentrazione equivalente alla MRL dell’Unione europea ed è stato utilizzato per produrre formaggi stagionati Tronchón [74].
Il processo di caseificazione non è stato influenzato dalla presenza della maggior parte degli antibiotici presi in esame. Solo l’eritromicina e l’ossitetraciclina hanno fatto aumentare significativamente il tempo necessario per la produzione del formaggio perché la cinetica di acidificazione è stata notevolmente influenzata dalla presenza di questi antibiotici, richiedendo del tempo aggiuntivo per raggiungere il pH finale rispetto ai formaggi di controllo. Le caratteristiche qualitative dei formaggi Tronchón sono state solo leggermente influenzate dagli antibiotici, con poche differenze significative per quanto riguardava gli acidi grassi liberi (FFA), che erano in concentrazione inferiore nei formaggi con amoxicillina e cloxacillina, il colore e alcune proprietà strutturali dei formaggi. Allo stesso modo, Cabizza et al. [83,84] hanno dimostrato che l’ossitetraciclina a livelli di MRL causava un ritardo nell’acidificazione del latte di pecora, senza alcun effetto, in linea generale, sui parametri fisico-chimici e sulla composizione lorda dei formaggi. Quintanilla et al. [98] hanno riscontrato anche che la presenza di ossitetraciclina nel latte crudo di capra, persino ad una concentrazione fino al doppio dell’MRL, influenzava solo leggermente il pH e alcuni parametri dei formaggi stagionati (concentrazione di FFA, luminosità, morbidezza e masticabilità), senza essere percepibile dal pannello sensoriale. Risultati simili sono stati riscontrati per i β-lattamici nella produzione del formaggio Manchego [99] e per la lincomicina a concentrazione inferiore all’MRL durante una simulazione di produzione con latte bovino [95]. Al contrario, il chinolone enrofloxacina non ha causato cambiamenti significativi in nessuna delle caratteristiche tecnologiche, di composizione, di consistenza e di colore del formaggio Tronchón se confrontato con i formaggi prodotti con latte privo di antibiotici, fatta eccezione per alcuni composti della frazione volatile [86]. Risultati simili sono stati evidenziati nel caso della lavorazione dello yogurt. Ad esempio, studi con yogurt a base di latte di pecora hanno osservato che i livelli di alcuni β-lattamici (ampicillina, cefalexina e ceftiofur) vicini o inferiori all’MRL e della penicillina G al di sopra dell’MRL potrebbero ritardare la coagulazione di oltre 40 minuti e causare variazioni nella composizione finale [100-102]. Tuttavia, non sono stati osservati ritardi con amoxicillina a nessuna concentrazione [100]. Anche l’enrofloxacina aggiunta al latte di capra per la preparazione dello yogurt non ha influenzato significativamente il tempo di coagulazione e la maggior parte delle proprietà dello yogurt [103].
4. L’utilizzo degli antibiotici e la comparsa di batteri antibiotico-resistenti
La più grande minaccia legata all’utilizzo di antibiotici è rappresentata dalla comparsa e dalla diffusione dell’antibiotico-resistenza (AR) nei batteri patogeni. La resistenza acquisita verso determinati antibiotici è diffusa a tal punto che la loro efficacia nel trattamento di alcune infezioni pericolose per la vita è già compromessa [104]. La pressione selettiva imposta dall’utilizzo di farmaci antibiotici gioca un ruolo chiave nell’emergenza di batteri antibiotico-resistenti (ARB). In una popolazione batterica esposta a farmaci antibiotici, è probabile che alcuni sviluppino una resistenza verso di essi e, sotto pressione selettiva, possano trasmettere i loro geni di resistenza ad altri membri della popolazione [105]. Pertanto, la presenza di residui di antibiotici lungo la catena alimentare può causare lo sviluppo di una AR trasferibile non solo ai patogeni, ma anche ai batteri commensali, inclusi i LAB [106,107]. Diversi report indicano che gli alimenti fermentati, compresi i prodotti lattiero-caseari, potrebbero essere considerati serbatoi di ARB. È stato riportato che LAB e Staphylococcus sp. sono i principali carrier del gene AR (ARG) nei prodotti lattiero-caseari [108]. I LAB isolati dai latticini tradizionali appartengono a generi diversi, come Lactococcus sp., Lactobacillus sp., Enterococcus sp., Leuconostoc sp. e Streptococcus sp. Tra i LAB, gli enterococchi sono stati oggetto di numerosi studi sull’AR a causa dell’importanza di alcuni di essi come patogeni opportunisti coinvolti in gravi malattie infettive nell’uomo.
Alcuni studi hanno riportato il rilevamento di AR e di fattori di virulenza degli enterococchi negli alimenti, inclusi i formaggi [109-111]. Negli ultimi vent’anni è stato pubblicato un enorme numero di articoli e review che descrivono il profilo di resistenza agli antibiotici dei batteri, in particolare dei LAB, isolati dagli alimenti fermentati tradizionali, compresi i prodotti lattiero-caseari. Pertanto, va oltre lo scopo di questa review raccogliere tutte le informazioni pubblicate su questo argomento (a tal fine, vedere, ad esempio, [106,112–114]).
Sorprendentemente, la correlazione tra l’utilizzo degli antibiotici nelle specie zootecniche e la presenza di ARB negli alimenti è stata stabilita solo indirettamente e rimane oggetto di studi controversi, che non forniscono risultati concludenti [115,116]. Ciò può essere dovuto, in parte, alla mancanza di modelli adeguati utili a studiare questa correlazione e alla scarsa comprensione dei complessi processi che portano all’emergere e alla diffusione dell’AR [115]. Aarestrup [117] ha raccolto numerosi studi sperimentali ed epidemiologici e di osservazioni ecologiche che dimostrano l’esistenza una stretta correlazione tra l’utilizzo di dosaggi standard di antibiotici nel bestiame e l’emergenza della resistenza a tali farmaci. Zeina et al. [118] hanno trattato le vacche sperimentalmente con gentamicina e streptomicina e hanno ritrovato nel latte residui degli antibiotici ad una concentrazione inferiore al loro MRL dopo il periodo di sospensione. Tutti gli Staphylococcus aureus, Escherichia coli e Listeria monocytogenes isolati dal latte hanno mostrato un’elevata resistenza alla gentamicina; inoltre, il 95% di S. aureus, il 60% di E. coli e il 58% di L. monocytogenes isolati erano resistenti alla streptomicina. Nel latte di vacche non trattate, gli isolati batterici hanno mostrato, in linea generale, livelli di resistenza inferiori. Tuttavia, non hanno eseguito alcuna analisi statistica per mostrare se le differenze fossero significative o meno. Inoltre, un report su sette stati europei ha riscontrato una forte associazione tra l’utilizzo totale di farmaci antibiotici specifici e il livello di resistenza verso questi farmaci negli isolati di E. coli commensali in suini, pollame e bovini [119]. Più recentemente, il terzo report congiunto ECDC/EFSA/EMA sull’analisi integrata del consumo di antibiotici (AMC) e dell’AR [3] ha evidenziato associazioni statisticamente significative tra l’impiego di tali farmaci negli animali negli stati dell’UE e l’E. coli e Campylobacter jejuni resistenti nel microbiota intestinale degli animali. Per E. coli, è stata osservata un’associazione positiva tra AMC e AR in quasi tutte le classi di antimicrobici.
Associazioni positive tra AMC e AR sono state riscontrate frequentemente anche per C. jejuni, ma non per Salmonella. D’altra parte, anche l’impiego di antibiotici a bassi dosaggi (cioè livelli residui nei mangimi o nel cibo, dosaggi sub-letali o sub-terapeutici) è un fattore che contribuisce alla resistenza perché promuove la variabilità genetica e fenotipica nei batteri esposti [115]. Pertanto, è stato dimostrato che la carne, i prodotti a base di carne e il latte di vacche trattate con concentrazioni sub-terapeutiche di antibiotici in Africa del Sud avevano un numero elevato di Stafilococchi ed Enterobacteriaceae resistenti a streptomicina, meticillina, tetraciclina e gentamicina [120]. Altri studi indiretti che dimostrano la correlazione tra l’esposizione a bassi livelli di antibiotici e l’emergere di resistenze sono studi condotti sul latte, proveniente da vacche sotto trattamento antibiotico, contenente residui di farmaci (latte di scarto, WM). Tempini et al. [121] hanno riscontrato che il 20% di E. coli isolato dal WM mostrava una resistenza multipla ai farmaci e solo il 40% degli isolati era sensibile a tutti gli antimicrobici testati. Tuttavia, non è stata trovata alcuna associazione significativa tra la presenza di residui di farmaco nei campioni di WM e l’AR negli isolati di E. coli. Altri studi, nei quali i vitelli in pre-svezzamento venivano alimentati con WM contenente una concentrazione molto bassa di antibiotici, hanno dimostrato che questa pratica portava ad un aumento della dispersione fecale di batteri antibiotico-resistenti da parte dei vitelli [122-124]. Concentrandosi su lavori che studiano la correlazione tra la presenza di residui di antibiotici nel latte e nei latticini e la comparsa di ARB in questi alimenti, i dati pubblicati risultano essere molto scarsi. Ad esempio, Brown et al. [26], hanno quantificato (in campioni commerciali) la percentuale di residui di antibiotici nel latte pastorizzato e non pastorizzato e di ARB nel latte venduto a Kibera, in Kenya. Tra i campioni di latte non pastorizzato, il 23% conteneva residui di antibiotici e il 66.7% conteneva numeri rilevabili di E. coli e, di questi, il 92.8% era positivo per la resistenza all’ampicillina e il 50% per la resistenza alle tetracicline. Tuttavia, non hanno trovato alcuna correlazione tra la presenza di residui di antibiotici e la presenza di resistenza. Anche Zanella et al. [38] non hanno evidenziato una correlazione significativa tra la presenza di residui di antibiotici e ceppi di batteri coliformi antibiotico-resistenti in campioni di latte vaccino pastorizzato in Brasile. Allo stesso modo, El Zubeir [125] ha analizzato campioni di latte per residui di antibiotici e ARB a Khartoum, in Sudan, e ha scoperto che il 20% dei campioni era contaminato da antibiotici e che i batteri isolati dai campioni di latte contaminato mostravano un’ampia gamma di resistenze multiple. Tuttavia, gli autori non hanno analizzato la relazione tra i due parametri. La discordanza dei risultati e/o la mancanza di associazioni significative è molto probabilmente dovuta alla complessità del problema, come affermato in precedenza. In tutti questi studi è impossibile separare l’AR originato dalla pressione esercitata dai residui di farmaco nel latte da altri fattori come, ad esempio, quelli relativi alle pratiche aziendali, o alla trasformazione del prodotto o all’ambiente [120,121].
5. Altri aspetti
La presenza di residui di antibiotici negli alimenti, in generale, e nel latte e nei latticini, in particolare, può rappresentare una grave minaccia per la salute umana. I valori LMR per gli antibiotici stabiliti dalle autorità competenti si basano sulla determinazione della DGA (dose giornaliera accettabile), che è la quantità di una sostanza che può essere ingerita quotidianamente nel corso della vita senza rischi apprezzabili per la salute [126] (Figura 1a). Il calcolo della DGA tossica si basa su una serie di test di valutazione della sicurezza tossicologica che tengono conto dell’esposizione acuta e a lungo termine al farmaco e del suo potenziale impatto sulla salute [14]. Pertanto, possono sorgere problemi di salute quando l’LMR viene superato o si verifica una reazione di ipersensibilità al farmaco. I residui di antibiotici possono essere responsabili di diversi effetti avversi come allergie, effetti immunopatologici, cancerogenicità (sulfametazina, ossitetraciclina, furazolidone), mutagenicità, nefropatia (gentamicina), epatotossicità, disturbi della sfera riproduttiva, effetti tossici sul midollo osseo (cloramfenicolo) e persino shock anafilattico nell’uomo. Tutti questi effetti sono stati recentemente rivisti [14,127]. Va notato che queste review si riferiscono agli effetti sulla salute dei residui di antibiotici negli alimenti in generale.
Non sono state trovate review che facessero riferimento al latte o ai prodotti lattiero-caseari in particolare. Oltre ai loro effetti tossici diretti, i residui di antibiotici possono influenzare sia la composizione che la funzione del microbiota intestinale. Gli antibiotici a dosi terapeutiche alterano temporaneamente sia la composizione del microbiota gastrointestinale umano che la salute immunitaria e metabolica dell’ospite [128]. Tuttavia, l’impatto delle concentrazioni residue, quando ingerite tramite episodi di esposizione cronici o acuti, non è molto chiaro [129] e, per quanto ne sappiamo, nessuno studio diretto ad analizzare l’impatto dei residui presenti in specifici alimenti (come latte o latticini) sul microbiota umano è stato finora condotto. Per stabilire i valori MRL per gli antibiotici negli alimenti, viene stimata anche una DGA microbica (mDGA) (Figura 1b) [126]. La valutazione della mDGA per ciascun antibiotico comprende la valutazione di due possibili effetti. Uno è la capacità del farmaco antibatterico di danneggiare la barriera di colonizzazione. La barriera di colonizzazione è una funzione del microbiota intestinale che limita la colonizzazione del colon da parte di microrganismi esogeni e la crescita eccessiva di microrganismi indigeni, potenzialmente patogeni. Il secondo effetto è la selezione e l’emergere dell’AR, cioè l’aumento delle popolazioni di ARB nell’intestino. Questo effetto può essere dovuto sia all’acquisizione di resistenza da parte di organismi precedentemente sensibili, sia ad un relativo aumento della proporzione di batteri che sono già resistenti [126]. Tenendo conto di questi due aspetti, viene stimato il livello senza alcun effetto avverso osservato (NOAEL) (Figura 1) al fine di stabilire i valori MRL per ciascun antibiotico. Tuttavia, la problematica di questa valutazione è trovare metodologie appropriate per stimare questi effetti. A questo proposito, Piñeiro et al. [129] hanno recentemente esaminato diversi aspetti della valutazione della sicurezza dei residui di farmaci veterinari negli alimenti di origine animale e i loro effetti sul microbiota intestinale umano. Hanno anche discusso le lacune nella conoscenza e nella metodologia ed hanno riesaminato la ricerca e i metodi scientifici da portare avanti per colmare tali lacune.
Figura 1. Valutazione della sicurezza alimentare dei farmaci veterinari (a). Determinazione graduale della necessità di una mADI (dose microbica giornaliera ammissibile) (b). ADI: dose giornaliera ammissibile; AMR: antibiotico-resistenza; mADI: ADI microbica; LMR: livello massimo di residui; NOAEC: concentrazione senza alcun effetto avverso osservato; tADI: ADI tossica; riprodotto con il permesso di John Wiley and Sons [126].
Ad esempio, uno studio iniziale sull’argomento [130] con modelli murini ha mostrato che la somministrazione di dosi sub-terapeutiche di antibiotici provoca cambiamenti nel microbioma dei topi giovani e nelle copie dei geni chiave coinvolti nel metabolismo dei carboidrati ad acidi grassi a catena corta, aumenta i livelli di acidi grassi a catena corta nel colon e altera la regolazione del metabolismo epatico dei lipidi e del colesterolo, mettendo in evidenza il rischio che comporta la somministrazione di latte contenente residui di antibiotici, soprattutto durante il periodo di allattamento e nei primi anni di vita. Un argomento a cui è stata prestata particolare attenzione è il ruolo della catena alimentare nel trasferimento di ARB e ARG dal cibo al microbiota intestinale umano. Come commentato in precedenza, il cibo contaminato da antibiotici, anche a bassi livelli, potrebbe essere un serbatoio di ARB. Inoltre, tali batteri possono essere dei commensali negli animali ma dei patogeni negli esseri umani, oppure possono essere dei commensali in entrambi, ma in seguito possono acquisire la capacità di trasmettere la resistenza ai patogeni di origine alimentare nell’intestino umano [131]. Tuttavia, dimostrare se gli ARB presenti negli alimenti possono passare al microbiota intestinale umano è apparso difficile a causa delle complesse vie di trasmissione delle resistenze, che includono diversi fattori come animali, allevamenti, impianti di produzione alimentare, cibo e consumatori (Figura 2).
Al giorno d’oggi, questo studio è più fattibile grazie al notevole sviluppo di tecniche molecolari che consentono di rilevare lo stesso gene in diversi campioni, animali, esseri umani o alimenti, anche se provengono da specie diverse [132,133]. In questo modo, alcuni degli ARG identificati nei batteri alimentari sono stati rilevati anche nell’intestino umano, fornendo prove indirette del trasferimento attraverso la manipolazione e/o il consumo degli alimenti. Ad esempio, uno studio condotto nei Paesi Bassi ha riportato livelli aumentati di batteri produttori di enzimi ESBL (-lattamasi ad ampio spettro) con ARG simili nella carne di pollame e nell’uomo [134]. Non è stato trovato alcun lavoro simile che riporti il trasferimento di ARG dai prodotti lattiero-caseari al microbiota intestinale umano. Tuttavia, diversi studi e review che descrivono il profilo di resistenza dei LAB hanno rivelato l’esistenza nel loro genoma di elementi mobili (plasmidi, trasposoni e integroni) e di sequenze d’inserzione, che sono responsabili del trasferimento intra- e inter-specie di materiale genetico [135,136]. Questa tipologia di sequenze è stata ritrovata anche nel formaggio [137,138]. Inoltre, il potenziale probiotico di molti di questi batteri supporta l’idea della loro potenziale capacità di colonizzare l’intestino umano e di trasferire gli ARG all’interno del microbiota intestinale umano, sebbene secondo le nostre conoscenze questo fatto rimanga non dimostrato.
Figura 2. Rappresentazione grafica delle vie di trasmissione dei batteri resistenti e dei geni della resistenza, che includono gli animali, gli allevamenti, gli stabilimenti di produzione degli alimenti, il cibo e i consumatori (adattato da [112]).
5.2. Ambiente e allevamento da latte
Infine, i residui di antibiotici che derivano dal trattamento degli animali da latte hanno anche implicazioni ambientali, in quanto possono contaminare la superficie del terreno quando eliminati attraverso il siero, l’urina e/o le feci, cosa che potrebbe influenzare il microbiota locale e la qualità delle acque sotterranee, con un grande impatto a livello ambientale [20]. È stato stimato che dal 75% al 90% degli antibiotici utilizzati negli alimenti destinati agli animali vengono espulsi, in gran parte non metabolizzati, nell’ambiente e possono essere rilevati, ad esempio, nella polvere o nelle falde acquifere degli allevamenti [132]. Inoltre, i sottoprodotti dei caseifici possono essere riciclati. Ad esempio, il siero di latte viene utilizzato nella produzione alimentare o nell’alimentazione degli animali; il letame può essere utilizzato come fertilizzante nelle colture orticole e trasferire i residui alle colture [139]. Pertanto, esistono molti modi in cui l’allevamento da latte può contribuire alla diffusione ambientale dei residui di antibiotici (Figura 3). Inoltre, gli ARB presenti nel microbiota intestinale degli animali d’allevamento vengono escreti nel letame [140]. Pertanto, la spanditura del letame sul terreno o la fuoriuscita dei rifiuti dai serbatoi di stoccaggio porta alla diffusione degli ARG nell’ambiente aziendale. Inoltre, gli ARG possono essere condivisi tra animali, suolo e batteri umani tramite trasferimento genico orizzontale [141] e, quindi, contribuire al problema mondiale dell’aumento dell’ARB e della multi-resistenza (Figura 3). Tuttavia, il contributo di ciascun anello della filiera del latte (dall’azienda alla tavola) al problema globale è ancora poco compreso [142] e il suo studio va oltre lo scopo di questa review. Ci sono review e articoli recenti che trattano alcuni aspetti di questo argomento [141–143].
Figura 3. Potenziali vie di diffusione degli antibiotici e dell’antibiotico-resistenza, che hanno le loro origini nell’impiego degli antibiotici per il trattamento degli animali d’allevamento e che possono raggiungere l’uomo e l’ambiente (adattato da [141] con il permesso di Elsevier).
6. Conclusioni: allora, dove risiede il problema?
La presenza di residui di antibiotici è un problema a diversi livelli. Si tratta di un problema sistemico e diffuso nei territori in via di sviluppo, dove la regolamentazione è lassa o inesistente, e costituisce un grave problema all’interno delle loro filiere alimentari. D’altro canto, questo è un problema occasionale anche negli stati che hanno implementato sistemi di regolamentazione e monitoraggio per questi composti. Questi programmi hanno ridotto la percentuale di alimenti contaminati e di aziende legate alla loro produzione, rafforzando l’idea che un controllo è possibile e auspicabile. Infatti, l’educazione dei produttori, la consapevolezza dei consumatori, la presenza di un sistema legislativo garantito, un adeguato sistema di controllo e una strategia “dal campo alla tavola” sembrerebbero essere i pilastri per ridurre la concentrazione di questi residui di antibiotici lungo la filiera alimentare. Anche dopo l’attuazione di questa strategia, la presenza occasionale sul mercato di lotti alimentari con tracce di antibiotici dovrebbe costringere i governi e le istituzioni a continuare a promuovere i programmi per il loro controllo.
Come è stato esaminato in tutto l’articolo, il latte e i suoi derivati possono contenere residui di antibiotici, ma la loro evoluzione varia a seconda dei prodotti. Il livello di antibiotici negli yogurt è simile a quello presente nel latte utilizzato per la loro produzione. Al contrario, nel caso del formaggio, la maggior parte degli antibiotici va con il siero durante il processo di trasformazione. Solo gli aminoglicosidi, i chinoloni e le tetracicline sembrano avere una maggiore suscettibilità ad essere trattenuti nella cagliata del formaggio. Tuttavia, i residui rimanenti nella cagliata si degradano durante la stagionatura del formaggio.
Ulteriori ricerche su nuove tecniche/tecnologie per il trattamento del latte in grado di rimuovere gli antibiotici senza intaccare la qualità dei latticini, in particolare nel caso dello yogurt, potrebbero essere la chiave per far fronte a questo problema. Inoltre, sarebbe interessante studiare le condizioni specifiche dei processi produttivi per svelare quali parametri sono importanti per la degradazione o meno degli antibiotici. I residui di antibiotici causano dei ritardi nelle tempistiche che servono per la produzione dei latticini a causa dei loro effetti inibitori sui LAB. Tuttavia, sono state descritte solo piccole variazioni nelle caratteristiche del prodotto finale.
Lo sviluppo e la diffusione di batteri resistenti agli antibiotici sono le principali preoccupazioni che riguardano l’utilizzo degli antibiotici negli animali da latte. I batteri resistenti nell’intestino degli animali da latte e nei prodotti lattiero-caseari derivati da essi possono trasferire la resistenza ai batteri patogeni presenti sia nei latticini che nel microbiota intestinale dell’uomo, o contribuire alla sua diffusione nell’ambiente. Tuttavia, il contributo di ciascun anello della filiera lattiero-casearia (dall’allevamento alla tavola) al problema globale è ancora poco compreso. In ogni caso, sono attualmente in corso ricerche attive sui diversi aspetti della materia, il che ci fa sperare che nei prossimi anni le lacune nelle conoscenze verranno gradualmente colmate.
Traduzione dell’articolo:
Virto, M.; Santamarina-García, G.; Amores, G.; Hernández, I. Antibiotics in Dairy Production: Where Is the Problem? Dairy 2022, 3, 541-564. doi.org/10.3390/dairy3030039
La bibliografia è disponibile all’interno dell’articolo originale.