I formaggi a pasta fresca sono una categoria di prodotti caratterizzati da elevata umidità e consistenza piuttosto morbida. Sono pronti al consumo a poche ore dalla fabbricazione, in quanto non necessitano di maturazione e hanno un’elevata resa di trasformazione. Inoltre, offrono la possibilità di essere utilizzati anche come base per la preparazione di prodotti caseari aromatizzati (alle erbe, alle olive, al salmone, alla frutta, etc).
I formaggi a pasta fresca si ottengono mediante la coagulazione acido-presamica del latte, ovvero attraverso l’azione sinergica tra la coltura lattica starter e l’enzima coagulante. La tecnologia di fabbricazione che descriveremo, può essere applicata con buoni risultati alla trasformazione del latte delle tre specie più comuni (vacca, capra, pecora), ma il latte di capra è sicuramente quello più adatto alla produzione di questa categoria di formaggi.
Nel caso si voglia utilizzare il latte di pecora, prima della trasformazione sarebbe opportuno aggiungere al latte in lavorazione una certa quantità di acqua (circa 15-20%). Tale accorgimento permette di ridurre in maniera controllata la concentrazione delle macrocomponenti del latte e, di conseguenza, di governare meglio, sia l’attività acidificante della coltura lattica, che la fase di coagulazione presamica. In particolare, la diluizione del latte riduce la capacità di coesione del coagulo e di conseguenza lo spurgo del siero, durante le fasi della lavorazione. Il formaggio così ottenuto risulterà più soffice e meno coeso. In tale condizione, è possibile ottenere formaggi di consistenza simile a quelli che si otterrebbero con il latte di vacca e di capra.
La tecnologia di fabbricazione del formaggio (Figura 1) prevede l’applicazione del trattamento termico di pastorizzazione. Il latte pastorizzato, trasferito nella vasca di coagulazione, viene raffreddato alla temperatura di circa 36°C ed inoculato con una coltura lattica selezionata, fresca (lattoinnesto, sieroinnesto) o liofilizzata ad inoculo diretto. La coltura lattica adatta per questa tipologia di formaggio, è costituita da batteri lattici mesofili, a metabolismo omo- ed etero fermentante (Lactococcus lactis subsp. lactis, Lactococcus lactis subsp. cremoris, Lactococcus lactis subsp. lactis biovar. diacetylactis, Leuconostoc mesenteroides subsp. cremoris). Queste specie, nelle condizioni termiche del processo di trasformazione, sono in grado di svolgere sia l’attività acidificante che quella aromatizzante dovuta alla produzione di acetoino e diacetile, sostanze che conferiscono al prodotto il caratteristico aroma di burro.
Figura 1 – Schema tecnologico di fabbricazione del formaggio.
In seguito all’aggiunta della coltura lattica, il latte osserva un periodo di riposo a temperatura più o meno costante (circa 36°C). Questa fase, definita pre-acidificazione, si protrae sino a che il pH del latte raggiunge il valore prestabilito (6,00-6,15 UpH) (Figura 2). Completata la pre-acidificazione, si procede con il raffreddamento del latte alla temperatura di 25°C e la successiva coagulazione enzimatica. La coagulazione del latte deve avvenire lentamente, in modo da ottenere un coagulo soffice e limitare la sineresi (spurgo del siero). Per questa ragione, al latte viene aggiunta una modesta quantità di caglio, 400-600 IMCU/100 L di latte, corrispondente a 1/8 – 1/10 della dose che normalmente si utilizzerebbe nel caso delle tecnologie di fabbricazione che prevedono esclusivamente la coagulazione presamica del latte. In queste condizioni, la coagulazione del latte avviene in circa 90-120 minuti (tempo di presa) e si attendono ulteriori 90-120 minuti, fase di riposo-indurimento, prima di procedere con la rottura del coagulo.
La prima rottura del coagulo si esegue con un tagliacagliata del tipo a “spada”, in modo da trasformare il coagulo in parallelepipedi regolari con sezione trasversale di circa 50 mm (Figura 3a). Al termine della prima rottura, il coagulo rimane in stato di quiete, alla temperatura di 20-22°C, sino al giorno successivo. Durante questo periodo avviene l’acidificazione della cagliata e il contestuale spurgo del siero. La coltura lattica svolge la propria attività acidificante in maniera costante, sino al raggiungimento del pH finale (circa 4,50 UpH) (Figura 2).
Figura 2 – Evoluzione del pH durante il processo di caseificazione.
Figura 3 – Rottura della cagliata, dimensioni del coagulo dopo il primo taglio (a) e dopo il taglio finale (b).
Al termine dell’acidificazione, la cagliata è adagiata nel fondo della caldaia di coagulazione, completamente ricoperta dal siero. Trattandosi di una cagliata prevalentemente lattica è molto fragile, in quanto le condizioni di acidificazione producono una forte demineralizzazione della matrice caseinica, che ne riduce fortemente il grado di coesione. Per questa ragione, le fasi successive (rottura ed estrazione) devono essere condotte con molta cura, al fine di scongiurare inutili perdite di materia utile caseificabile (grasso e proteina). La fase finale della rottura è preceduta dalla rimozione di una parte del siero, che viene estratto sino a scoprire la superficie della cagliata. Quindi, utilizzando un frangicagliata del tipo a “lira”, si procede lentamente sino a ridurre la cagliata in granuli della dimensione finale di circa 10 mm (Figura 3b).
Terminata questa fase, la cagliata è trasferita direttamente negli stampi di formatura sino al loro completo riempimento. In genere vengono impiegati stampi in polietilene alimentare di piccole dimensioni (diametro: 75 mm, altezza: 90 mm). Le forme di formaggio così ottenute sono immediatamente trasferite in un locale refrigerato (10-12°C) per le 16-18 ore successive. Durante questo periodo avviene lo sgrondo del siero e si procede con un rivoltamento delle forme. Alle 48 ore dalla produzione, i formaggi vengono estratti dagli stampi e, a seconda delle esigenze commerciali, sottoposti alla salatura e al successivo confezionamento o direttamente al confezionamento. In quest’ultimo caso, possono essere immediatamente immessi al consumo. Per quanto riguarda la salatura, in genere si procede con la modalità a secco, impiegando sale fino sterile in quantità prestabilita (circa 10 g/kg di formaggio), in modo da limitare l’eccesso di questo elemento che, nel formaggio finito, non dovrebbe superare l’1,0%.
Questa tecnologia di trasformazione permette di ottenere una resa di trasformazione (quantità di formaggio (kg)/quantità di latte (kg) x 100) piuttosto elevata, mediamente superiore a quella che si ottiene con le più comuni tecnologie (13-14% con latte vaccino, 17-20% con latte caprino, 26-30% con latte ovino). Tale risultato si ottiene grazie all’elevata efficienza di questa tecnologia nel recupero della materia utile caseificabile (grasso e proteina) e all’elevata umidità del formaggio (62-64%).
Il formaggio a pasta fresca si presenta di colore bianco, talvolta leggermente paglierino, con superficie irregolare e priva di crosta (Figura 4). Il sapore è delicato, aromatico, acido e leggermente frizzante; la pasta è molto morbida, talvolta spalmabile. Il peso delle singole forme è variabile da 0,125 a 0,200 kg.
I formaggi a pasta fresca, ottenuti con questa tecnologia, sono caratterizzati da un valore nutrizionale mediamente superiore rispetto agli altri formaggi. Tale aspetto dipende dall’elevata presenza di fermenti lattici vivi, paragonabile a quella che si raggiunge nei prodotti caseari fermentati (yogurt, latte fermentato), dall’elevato contenuto proteico (la proteina del formaggio fornisce più del 20% delle calorie), dal limitato contenuto di grasso e dal ridotto carico energetico per unità di peso (200-240 kcal/100 g).
Figura 4 – Formaggi a pasta fresca naturali (a) e con l’aggiunta di erbe aromatizzanti (b).