Pubblicato da Ismea un report intitolato “Filiera del mais: struttura, criticità e impatto della PAC 2023-2027”, nel quale vengono esaminate le aziende specializzate nella maiscoltura ed i cambiamenti che saranno a loro apportati dall’avvento della nuova Politica Agricola Comunitaria. 

Il comparto agroalimentare nazionale è caratterizzato dalla dicotomia tra il settore agricolo, per il quale l’Italia è strutturalmente dipendente dalle importazioni, e i prodotti trasformati, che invece evidenziano performance molto positive sui mercati esteri. Negli ultimi anni, l’aumento delle importazioni di materia prima deriva anche dal calo produttivo del settore agricolo, dovuto sia all’andamento climatico sempre più siccitoso, sia all’abbandono di alcune produzioni non remunerative per gli agricoltori, in balia dei prezzi internazionali delle commodity. Il comparto dei cereali, della soia e di alcune oleaginose, rappresenta la componente di base per la produzione di una moltitudine di prodotti molto rappresentativi del made in Italy, quali la pasta, il pane, i prodotti da forno, nonché di mangimi per gli allevamenti zootecnici e di conseguenza per la produzione di formaggi, carni fresche e trasformate, compresi quelli di eccellenza (DOP e IGP).

L’esame del grado di autoapprovvigionamento, dato dal rapporto tra la produzione agricola e i consumi, evidenzia un risultato particolarmente critico per mais e soia per i quali negli ultimi venti anni sono cresciute in maniera molto consistente le importazioni; nel caso del mais, infatti, si è passati dalla sostanziale autosufficienza dei primi anni 2000 a poco più del 40% nel 2022, anche per la soia, il tasso si è ridotto negli ultimi venti anni scendendo al 32% nel 2022.

In questo contesto, la Pac 2023-27 per le aziende specializzate nella maiscoltura prevede la possibilità di accedere al sostegno di base, all’ecoschema 4 e all’ecoschema 5 sui terreni a riposo; non è previsto un sostegno accoppiato per il mais.
Le aziende con una SAU inferiore a 50 ettari possono accedere al pagamento ridistributivo per i primi 14 ettari. Per valutare quantitativamente il possibile effetto della Pac 2023-27 sulle aziende maidicole, ISMEA ha effettuato delle simulazioni su alcune tipologie aziendali rappresentative di una parte consistente del mondo produttivo maidicolo. Dalle simulazioni effettuate, si evidenzia che, per esempio, un’azienda di 100 ettari (figura 1) a regime arriverà a perdere fino al 32% del precedente sostegno comunitario; nel caso, invece, di una azienda di 30 ettari la perdita è circa il 27% sul 2022. In media, le aziende specializzate nella maiscoltura perdono circa il 30% dei pagamenti diretti che percepivano dalla precedente Pac.

  • Azienda di 100 ettari con un piano aziendale che prevede la coltivazione di mais, frumento tenero e soia. I pagamenti diretti percepiti dall’azienda con la PAC precedente ammontavano a 36.586 euro nel 2022. Con la PAC 2023-27 il sostegno scende a 25.833 euro nel 2023 (-30% sul 2022) e a 25.021 euro nel 2027 (-32% sul 2022, pari a -12.000 euro circa); nel caso in cui l’azienda non aderisce agli ecoschemi, la riduzione sarebbe più consistente (-46% corrispondente in valore a una perdita di 17 mila euro).

  • Azienda di 30 ettari, con un piano aziendale che prevede la coltivazione di mais, frumento tenero e soia. I pagamenti diretti percepiti dall’azienda con la Pac precedente ammontavano a 12.037 euro nel 2022. Con la PAC 2023-27 il sostegno scende a 9.037 euro nel 2023 (-25% sul 2022) e a 8.776 euro nel 2027 (-27% sul 2022, pari a -3.000 euro circa); nel caso in cui l’azienda non aderisce agli ecoschemi, la perdita del sostegno è più evidente (- 40%, pari a -5.000 euro circa).

La coltivazione del mais è strategica per le produzioni zootecniche nazionali, tuttavia, è in evidente difficoltà. Considerato anche il ruolo strategico del mais nell’alimentazione di tutto il settore coinvolto nelle produzioni a indicazione geografica, emerge abbastanza chiaramente che le misure previste dalla nuova Pac appaiono penalizzanti rispetto a un eventuale obiettivo di accrescere l’approvvigionamento strategico nazionale. Ferme restando le criticità strutturali della filiera, è da evidenziare che negli ultimi anni l’insorgenza di eventi geopolitici e climatici sempre più estremi, hanno posto gli operatori della filiera dinanzi a difficoltà molto impegnative da affrontare: prima la pandemia, poi la guerra e la siccità hanno esacerbato una situazione di base già molto complessa, impattando sulla crescita dei prezzi ma a fronte di costi molto più elevati e rese ad ettaro sempre più instabili e difficilmente prevedibili.

Come evidenziato nel Piano di settore del Mais, appare quanto mai urgente per i produttori di mais essere sostenuti nell’effettuare un salto operativo e organizzativo aziendale puntando auspicabilmente a una valorizzazione qualitativa del prodotto che possa in qualche modo accompagnarlo nel passaggio da prodotto indifferenziato a specialty. Questo percorso non può che partire da una maggiore sensibilità rispetto alle esigenze delle fasi più a valle, quali le industrie mangimistiche e le produzioni zootecniche a indicazione geografica (come Parmigiano Reggiano DOP, Grana Padano DOP, Prosciutto di Parma DOP e San Daniele DOP), intervenendo sia sull’aumento delle rese sia sul miglioramento della qualità sanitaria della granella. Volendo semplificare, allo stato attuale sussistono due ambiti di intervento di più rapida attuazione che possono agevolare il cambiamento: l’innovazione tecnologica e i contratti di filiera, questi ultimi fondamentali per aumentare il livello di aggregazione dell’offerta e per il riconoscimento di una premialità del prezzo. Il ruolo dell’innovazione è cruciale per incrementare la produttività e la qualità merceologica e sanitaria della granella.

Si pensi ad esempio all’utilizzo di ibridi con cicli di maturità più precoci ed efficienti nell’utilizzo delle risorse (soprattutto in merito alla possibile riduzione dei costi di irrigazione), al controllo dello stress idrico e nutrizionale (microirrigazione, fertirrigazione, fertilizzanti a rilascio controllato, biostimolanti), al biocontrollo delle aflatossine. Riguardo i contratti di filiera, per il mais vige l’ “Accordo Quadro per il mais da granella di filiera italiana certificata” sottoscritto dalle rappresentanze sindacali dei produttori agricoli e del mondo cooperativo, dagli stoccatori ed essiccatori, delle ditte sementiere e dai Consorzi di indicazione geografiche. Con questa intesa associativa di rilevanza nazionale il settore ha potuto iniziare a godere di un sostegno a seguito della sottoscrizione di contratti di filiera con l’aiuto specifico ad ettaro per le superfici ricomprese in un impegno pluriennale.

L’impatto economico derivante dal decreto di istituzione del fondo per la competitività della filiera mais comunicato dall’AGEA ad oggi solo per il 2020, indica che sono stati 107.943 gli ettari coltivati nell’ambito dei contratti di filiera triennali che hanno avuto accesso al fondo di 8 milioni di euro reso disponibile dal Masaf, per una premialità pari a 74,11 euro/ettaro, più basso, quindi, del massimo riconoscibile di 100 euro/ha in ragione del taglio lineare applicato coerentemente al budget disponibile. I dati 2020 indicano che poco meno del 18% delle superfici coltivate in Italia a mais da granella sono coinvolte nei contratti di coltivazione con durata pluriennale che possono quindi avvantaggiarsi della premialità.

Sembra auspicabile che questo risultato migliori anche attraverso una maggiore dotazione finanziaria al fine di arginare, quantomeno, le criticità convergenti evidenziate nel presente documento, allo scopo, in ultima analisi, di mitigare il rischio produttivo e sanitario della materia prima che si riflette sulle produzioni di eccellenza di origine animale, con particolare riferimento a quelle di eccellenza DOP e IGP vincolate a mangimi del territorio.

Per approfondire è possibile scaricare il report completo di Ismea cliccando QUI!

Fonte: Ismea