È sulla produzione di energia in ambito agricolo che si è focalizzata l’attenzione del secondo Talk organizzato al Campus di Santa Monica dell’Università Cattolica di Cremona dal Centro di Innovazione Agro Zootecnico Alimentare. Una discussione – guidata da Lorenza Marchi di Reindustria Innovazione – concentrata in particolare su biogas e biometano, rimandando a un successivo appuntamento gli approfondimenti su altre forme di produzione energetica in ambito agricolo, a cominciare dal fotovoltaico.

Tutti temi di stringente attualità, sia per l’urgenza di reperire nuove fonti di approvvigionamento energetico sia per ridurre, in generale, l’impatto ambientale di queste fonti.

Un aggancio all’attualità subito rilanciato dalla professoressa Francesca Malpei, Ordinario al Politecnico di Milano e direttore della Fabbrica della bioenergia del Polimi di Cremona che ha spiegato come la ricerca scientifica e tecnologica sui biocombustibili, aiuti ad accelerare la transizione verso un’energia pulita e ad aumentare l’indipendenza energetica dell’Europa da fornitori inaffidabili e, in generale, dai combustibili fossili. Così da contrastare l’emergenza climatica e favorire la sicurezza energetica, ma anche altri aspetti come la gestione sostenibile dei rifiuti, con il corollario, tutt’altro che secondario, di creare posti di lavoro green.

Come ottimizzare la produzione di biogas

Se una delle fonti più rilevanti di biogas e biometano è la digestione anaerobica di materiale organico, essa non è l’unica. Secondo Malpei, ad essa si può affiancare una biotrasformazione che determini l’idrogenazione dell’anidride carbonica in metano. Attraverso un reattore a sé stante o con una sorta di upgrading in metano del biogas prodotto dai normali digestori. Il processo si avvale di idrogeno “verde”, ovvero ottenuto per idrolisi dell’acqua, supportata da energia elettrica rinnovabile, tipicamente fotovoltaica.

Co-digestione per aumentare l’efficienza

Ma l’ottimizzazione della produzione di biocombustibili passa anche da co-digestione, ovvero dall’alimentazione di un digestore con fonti diverse di materia organica. «Ciò provoca problemi da studiare – ha notato la professoressa Elena Ficara, del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale del Politecnico di Milano – quali la selezione dei co-substrati, la corretta quantificazione della miscela ottimale e la definizione del carico applicabile. Problemi che vanno affrontati anche disegnando modelli matematici che coniughino buona affidabilità a complessità contenuta».

Come valorizzare i residui aziendali e i fertilizzanti rinnovabili

Non solo un imperativo ambientale ma anche la necessità di rendere il più possibile “circolare” i processi legati alla produzione di biogas, valorizzando i residui aziendali e i fertilizzanti rinnovabili, sono le ratio al centro delle relazioni del professor Erminio Trevisi e del professor Andrea Fiorini, entrambi dell’Università Cattolica.

Il problema degli antibiotici

Spiegando lo stato delle ricerche in questo ambito, Trevisi – Ordinario di Zootecnica speciale e direttore del Dipartimento di Scienze Animali, della nutrizione e degli alimenti (Diana) – ha mostrato come il processo di digestione anaerobica – come quello che avviene in un digestore – riduca significativamente le concentrazioni degli antibiotici nei reflui zootecnici. Non solo: «Il trattamento di digestione anaerobica sembra comportare una riduzione complessiva anche del carico dei microrganismi patogeni antibioticoresistenti, all’interno della comunità microbica in uscita dal reattore – ha sottolineato Trevisi. – Dalle ricerche esce anche come il microbiota presente nei reattori non subisca effetti negativi in presenza degli antibiotici testati e «mantenga, e in taluni casi addirittura aumenti, il livello di produzione di biogas».

Non sprechiamo il latte

È noto come i digestori per la produzione di biogas funzionino con molte sostanze organiche, e dunque anche “scarti” di produzione. Ma tra questi, possiamo annoverare il latte che contiene antibiotici e che per legge non può essere immesso nel circuito alimentare? «Il latte con antibiotici mantiene un valore nutrizionale molto elevato – ha spiegato il professor Trevisi. – L’uso in impianti di biogas in toto appare dunque uno spreco; si potrebbe intervenire sottraendo per altri usi i componenti di maggior pregio, quali le caseine e i grassi, e immettere nei digestori solo il residuo».

Bene gli alimenti deteriorati

Gli insilati compromessi per la presenza di micotossine, possono essere un buon substrato per la produzione di biocombustibili? Sempre Trevisi ha mostrato come, da esperienze fatte, la resa in biogas non sia correlata con i valori di contaminazione da micotossine e come «la quantità e la qualità del biogas non risulti influenzata dalla presenza di Aflatossina B1, che tra l’altro, nel processo di digestione anaerobica viene abbattuta in misura che varia tra il 62% e il 98%».

Un processo circolare: il digestato come fertilizzante

Oltre che tal quale, attraverso un semplice processo di separazione delle fasi solide e liquide, il digestato può diventare un buon fertilizzante. La frazione solida è ancora ricca in sostanza organica (15-30%) – ha spiegato il professor Andrea Fiorini, del Dipartimento di Scienze delle produzioni vegetali sostenibili – e dunque, oltre ad apportare al terreno nutrienti a lento rilascio, può avere un effetto che tecnicamente si chiama “ammendante”, ovvero di miglioramento o mantenimento della struttura del terreno. «Mentre la frazione liquida chiarificata – ha proseguito Fiorini – è generalmente caratterizzata da tenori ridotti di sostanza secca (1-8%); concentra in sé i composti solubili e dunque offre un pronto effetto concimante».

Ma attenzione alla curva di disponibilità

In generale – ha evidenziato Fiorini – il processo di digestione anaerobica per la produzione di biogas trasforma molta parte della natura chimica delle matrici da organica a minerale. Questo pone il problema di allineare al meglio – cosa che spesso non accade – la curva di disponibilità dell’azoto da digestato con la curva di fabbisogno delle colture in campo, attraverso varie strategie tra cui primeggia la scelta oculata del momento di distribuzione in campo del digestato stesso. Perché, diversamente, il rischio – ha sottolineato Fiorini – è di avere perdite di azoto nell’acqua o nell’aria.

I next steps

È nella logica del Centro per l’Innovazione approfondire i temi trovando nel contempo gli spunti per le ricerche successive. Terminata la parte pubblica, nella sessione della giornata riservata ai soli aderenti al Centro si è infatti discusso dei prossimi approfondimenti, e ne è uscita una elencazione tematica di grande interesse agro-zootecnico di cui possiamo anticiparvi qualche elemento. Si va infatti da un’analisi di quali scarti le aziende utilizzino nei biodigestori a quali interferenze nelle fermentazioni con l’uso di questi scarti vengono osservate; ma anche come influisca la digestione anaerobica sulla composizione degli effluenti zootecnici, quali sono i trattamenti per valorizzare agronomicamente il digestato e come integrare l’uso del digestato nei piani di concimazione.

Cos’è il Centro per l’innovazione

Il Centro di Innovazione Agro Zootecnico Alimentare si pone come punto di riferimento nazionale e internazionale per l’evoluzione sostenibile delle attività legate all’agricoltura e alla zootecnia.

Nato a Cremona nel marzo 2022 grazie al contributo di Fondazione LGH Gruppo A2A e attraverso un accordo di partenariato voluto dal Comune di Cremona e che vede coinvolti l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il Politecnico di Milano, la locale Camera di Commercio, l’ente Provincia di Cremona e CremonaFiere, il Centro ha tra i suoi principali focus tematici la transizione energetica, la transizione ecologica, la lotta allo spreco alimentare e l’efficienza e la circolarità delle dinamiche produttive ed economiche.

Il Centro – guidato dal punto di vista operativo da Reindustria Innovazione – presenta un vasto e articolato campo d’azione, che prevede l’implementazione di progetti di innovazione, l’attivazione di processi di trasferimento tecnologico a favore delle imprese, la realizzazione di attività di formazione progettate dalle università in sinergia con le aziende, la promozione di scambi internazionali di studenti e ricercatori, l’organizzazione di incontri tecnici e convegni, la costruzione e il consolidamento di progetti di collaborazione con i Paesi in via di sviluppo in modo da diffondere le buone prassi agro-zootecniche, con la conseguente creazione di opportunità di lavoro nei Paesi coinvolti.

Per queste attività, il Centro – che è aperto alle aziende del mondo agro-industriale e alle organizzazioni professionali e di categoria – si avvale della collaborazione strategica delle imprese di tutta la filiera agro-zootecnica, delle istituzioni locali, della Regione Lombardia, del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e della Fao.