Il Mandrolisai (Barbagia ‘e Mandrolisai in sardo) è una regione storica dalla Sardegna centrale, di cui fanno parte i comuni di Atzara, Samugheo, Sorgono, Tonara, Desulo, e Ortueri: un’isola nell’isola. Il territorio, quasi inaccessibile fino all’era moderna, ha una forte vocazione per l’agricoltura e la pastorizia. Vitigni autoctoni come su muristello antigu (che noi conosciamo come bovale), monica, cannonau ma non solo danno vita a splendidi vini, come il Mandrolisai DOC. Pascoli arborati di macchia mediterranea, lecci, roverelle e sugherete sono il teatro di una cultura pastorale millenaria che per via dell’inaccessibilità ha portato fino ai giorni nostri tradizioni uniche, mantenendo il territorio pressoché incontaminato. Le ricette di pane, vini, miele, salumi, formaggi arrivano ai giorni nostri in maniera immutata. A fare da cornice vi è anche la manifattura tessile: tappeti, arazzi, tende e tessuti arredano in pieno stile sardo case, ville ed alberghi dei luoghi più rinomati. La preziosa lana di pecora viene filata, tinta e tessuta secondo l’antica tecnica “a pibiones” dando vita a vere e proprie opere d’arte. Tutto si sposa in un’unica cultura: usi, costumi tradizionali, enogastronomia e artigianato sono gli ingredienti di questo territorio esclusivo, il Mandrolisai.

A Samugheo, con l’impresa contro corrente nel mondo lattiero-caseario, in particolare ovino, la famiglia Sanna ha voluto dare seguito alla tradizione combinata all’innovazione, con l’obiettivo di far conoscere la storia, i paesaggi e le tradizioni dell’entroterra sardo, valorizzando la produzione più tipica della regione. Il Caseifitziu Agrìculu Mandrolisai è in continuità ed evoluzione rispetto all’azienda di famiglia, che da sempre alleva pecore il cui latte, fino a poco tempo fa, veniva venduto per la maggior parte ad altri caseifici della zona. L’idea ambiziosa dei fratelli Sanna nasce nel 2006, quando Gerolamo prende in mano l’azienda con tutto il bagaglio di esperienze e conoscenze del padre Antonio sulla cura e gestione del gregge, ma anche sulla caseificazione. È proprio lui a mettere le mani nel latte, perfezionandosi di giorno in giorno con molti tentativi e corsi di aggiornamento sulle tecniche di alimentazione del gregge e gestione del latte. Il fratello Gianni invece si occupa di comunicare tutto quello che riguarda l’azienda. Al momento, stanno ultimando il laboratorio con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento ufficiale per il bollino CE da parte delle autorità sanitarie nel 2021.

Nel frattempo, i formaggi di Gerolamo hanno partecipato a diversi concorsi, sia regionali che nazionali, portando a casa qualche soddisfazione: già vincitore nel 2019 per formaggi di qualità al Sardinia Food Awards, il suo Casu de Oro è arrivato tra i dieci semifinalisti per la categoria formaggio aromatizzato agli Italian Cheese Awards 2020 (le finali sono state rimandate causa Covid-19). Va detto che Gerolamo arriva come semifinalista in questo concorso tra altri nomi noti del palcoscenico lattiero-caseario (Latteria Perenzin e De’ Magi, per citarne due). Oltre ad allevare pecore, l’azienda coltiva anche zafferano, una produzione delicatissima e di pregio.

La storia di un formaggio comincia dall’origine del latte che viene impiegato: questo è uno dei principi cardine del Caseifitziu Agrìculu Mandrolisai. La storia del latte delle pecore dell’azienda comincia sui pascoli, che arricchiscono in essenze vegetali e nutrienti importanti questa preziosa materia prima. I pascoli dell’azienda si trovano in una regione integra ed affascinante dal punto di vista paesaggistico, iscritta nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici. Quello che offre la natura alle pecore di Gerolamo e Gianni è un insieme di erbe spontanee ed arbusti che varia a seconda della stagione, in continua evoluzione. Un secondo principio cardine è lavorare il latte esclusivamente a mano, con la consapevolezza delle pratiche tradizionali in abbinamento agli accorgimenti tecnici che innovazione e formazione possono offrire. Per avere un buon formaggio serve quindi un buon latte crudo di partenza: le pecore vengono dunque tenute sane e pulite nel miglior modo possibile, coccolate con pascoli naturali e autoctoni. I fermenti, autoprodotti nel laboratorio (sugli innesti, ecco un bellissimo articolo di Irene Piazza), danno quella biodiversità e quel complesso di fermentazioni unico del latte crudo da pascolo. Una cosa alla quale si dà rilievo in caseificio è la stagionatura, in particolare l’uso del legno assume molta importanza nel regolare gli scambi tra formaggio e l’ambiente a diretto contatto con la superficie del formaggio, dove una microflora naturale può crescere ed arricchire ancora di più questo prezioso prodotto. Su questo Gerolamo non ha dubbi: “Ogni passaggio è contraddistinto dalla consapevolezza di dover ottenere un prodotto eccellente”.

Gerolamo ci ha spiegato nel dettaglio quali sono gli accorgimenti adottati: “Lavoriamo il latte seguendo le pratiche tipiche da sempre a noi note: non abbiamo fatto modifiche sulle ricette ma abbiamo migliorato il controllo dell’acidificazione, la rottura della cagliata ed il monitoraggio dell’acidità. Produciamo piccole quantità di formaggio, tra cui quello insegnatomi da mio padre, su casu sardu, che è una lavorazione a latte crudo, pasta cruda, di stagionatura minima 5/6 mesi. Non lo proponiamo prima di questo periodo perché la sua maturazione è piuttosto lenta ed è condotta in cantine abbastanza fresche ed interrate. Abbiamo un prodotto a pasta semicotta, casu cottu, simile al pecorino sardo. La cagliata viene rotta a medie dimensioni e portata a 42 °C in agitazione, il risultato è una pasta morbida che già a 1/2 mesi di stagionatura presenta un sapore deciso. È un formaggio da media stagionatura”. Gerolamo sembra molto orgoglioso del lavoro fatto fino ad ora, ed è determinato a continuare il suo percorso di formazione e miglioramento. Oltre ai due formaggi citati, ce ne sono altri che vale la pena nominare: c’è il su cagiau (come lo chiamano in Mandrolisai, anche detto altrimenti casu agedu o frue), un prodotto a coagulazione acido-presamica peculiare. Il latte viene scaldato leggermente ed addizionato del sieroinnesto della lavorazione del giorno precedente; la dose di caglio è minima, il che determina una coagulazione lenta ed acida. Una volta pronta (circa 4 ore dopo l’aggiunta di siero e caglio), la cagliata viene tagliata prima a fette, poi cubi e lasciata sotto siero. I cubi di su cagiau possono essere consumati il giorno successivo. “E’ da sempre la colazione del pastore”, ci dice Gerolamo, “un toccasana per l’equilibrio della flora intestinale grazie ai suoi fermenti lattici autoctoni vivi”. Il suo sapore ricorda molto lo yogurt ed è un prodotto da consumare fresco.

Ad accompagnare questi prodotti, c’è anche la ricotta gentile (arrescottu), ottenuta senza aggiunta di additivi: una lavorazione lenta che consente di ottenere un prodotto molto cremoso. C’è poi la caciotta morbida (casu de orrostire), formaggio con circa un mese di maturazione e dalla pasta quasi cremosa, prodotta anche nelle varianti aromatizzate (e poco tipiche in Sardegna) con affinamenti in zafferano e mirto. In particolare, l’affinamento con mirto avviene in botti chiuse ed arricchisce, oltre che in profumi di macchia mediterranea, anche di una leggera ruvidezza legata al tannino del mirto. In questo caso, la produzione è piccola ed è su richiesta poiché i costi per sostenerla sono elevati. Gerolamo continua a parlarci dei suoi formaggi per arrivare all’ultimo, la caciotta allo zafferano, Casu de Oro: “Gianni produce lo zafferano, tutto biologico. La messa a dimora dei bulbi viene fatta ad agosto, e questi resteranno interrati per tre anni. La fioritura mediamente avviene nel mese di novembre e dura almeno due settimane durante le quali ogni giorno la mattina si raccolgono i fiori. Per un grammo di prodotto occorrono 150 fiori: ogni fiore contiene 3 stimmi, ed una forma di formaggio potrebbe contenere lo zafferano di 15 fiori…circa 40 o 50 stimmi in sostanza. Il procedimento per ottenere la caciotta è delicato: lo zafferano viene aggiunto al latte già caldo, dove si scioglie, viene condotta la cagliatura ed il coagulo è rotto in modo tale da avere un prodotto umido non troppo fresco: il risultato mostra ancora le fibre dello zafferano nella pasta.

Qualche riga sulle pecore dell’azienda di Gianni e Gerolamo: il gregge conta circa 150 capi di razza Sarda rustica. Gerolamo precisa che si tratta di pecore poco produttive in questo caso, selezionate in base alla rusticità data l’esigenza di avere animali idonei ai pascoli del Mandrolisai e in base all’istinto materno delle pecore. Queste pecore hanno una particolare attitudine alla ricerca delle essenze arbustive, soprattutto mirto, lentisco, corbezzolo solo per citarne alcuni. La produzione, non elevata, arriva al massimo a 1 litro di latte al giorno, ma è caratterizzata da una qualità molto elevata che dà ottime rese e prodotti dal profilo sensoriale molto alto. Gli animali sono allevati con metodo estensivo e rimangono in stalla solo quando ci sono agnellini; questi ultimi, allo stesso modo, rimangono all’interno della stalla finché non raggiungono l’autosufficienza.

Il cuore della Sardegna è ancora poco conosciuto, rispetto a quello che ha da raccontare. Sicuramente parlarne attraverso l’arte casearia, come fanno Gianni e Gerolamo, è una scelta che rende giustizia al fascino naturale ed unico di questa regione.

Per sapere di più sull’azienda, visita la pagina Facebook, dove troverai i contatti: @casumandrolisai