I cibi ultraprocessati finiscono (ancora) “sotto processo”” questo il titolo di un articolo pubblicato qualche giorno fa sul sito di AIRC, dove vengono forniti recenti dati che confermano l’elevato rischio per la salute umana correlato al consumo di alimenti troppo lavorati.

Il consumo eccessivo di alimenti confezionati, pronti a cuocere, o con lungo tempo di conservazione, definiti “ultra-processati”, in quanto frutto di ripetute lavorazioni industriali, è confermato sempre più come fattore di rischio scatenante per diverse malattie croniche. Gli studi specifici che attualmente hanno valutato l’associazione tra assunzione di cibo ultra-elaborato e rischio di cancro del colon-retto sono ancora in numero limitato, ma quelli disponibili sembrano indicare delle correlazioni importanti, che si aggirano attorno al 30% di aumento dell’incidenza.

In questa analisi proposta da AIRC troviamo richiami a lavori scientifici internazionali, come quello pubblicato nell’agosto 2022 sulla rivista British Medical Journal, intitolato “Association of ultra-processed food consumption with colorectal cancer risk among men and women: results from three prospective US cohort studies“, in cui sono state prese in considerazione, attraverso la somministrazione di questionari, le abitudini alimentari di circa 300.000 persone per un periodo di 24-28 anni. I risultati ottenuti confermano che il consumo elevato di alimenti ultra-lavorati totali negli uomini, e di alcuni sottogruppi di alimenti ultra-lavorati negli uomini e nelle donne, è associato a un aumento del rischio di cancro del colon-retto. Sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio le potenziali caratteristiche degli alimenti ultra-lavorati che contribuiscono alla cancerogenesi del colon-retto, ma, nonostante i dati disponibili inizino ad essere davvero preoccupanti, negli Stati Uniti il consumo di questo tipo di alimenti è in continuo aumento, risultando circa il 57 per cento delle calorie consumate dagli adulti, derivante da questo tipo di prodotti.

Potremmo per un attimo pensare che tutto ciò sia per noi italiani un problema lontano e non riguardi il nostro Paese, rinomato per le buone abitudini alimentari legate alla “dieta mediterranea” variegata e ricca di prodotti freschi, ma non è così.

Scorrendo ancora l’articolo presentato da AIRC si parla anche della situazione italiana riportando uno studio condotto in Molise dal gruppo diretto da Licia Iacoviello presso il Dipartimento di epidemiologia e prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli (IS), dove i ricercatori sono giunti a conclusioni simili a quelle sopra riportate, dopo avere seguito per 12 anni oltre 22.000 persone che hanno partecipato al Progetto epidemiologico prospettico Moli-sani. Nell’ambito di questo progetto sono diverse sono le pubblicazioni relative alle evidenze raccolte, e tutte sembrano confermare questa tesi, come leggiamo ad esempio nell’articolo “Ultra-processed food consumption is associated with increased risk of all-cause and cardiovascular mortality in the Moli-sani Study” nel quale si evince che un’elevata percentuale di alimenti ultra-processati nella dieta è associata a un aumento del rischio di mortalità, e soprattutto di malattie cardiovascolari.

Dunque, dei risultati che dovrebbero far riflettere attentamente e servire da incentivo per limitare il consumo di certi prodotti, incoraggiando alimenti naturali o minimamente trasformati.

Per consultare l’articolo completo cliccare qui.

Fonte: AIRC