La mastite della bovina da latte: un problema tutt’altro che risolto”: con questo titolo, il 17 gennaio 2019, abbiamo pubblicato un articolo in cui, con dati alla mano, abbiamo dimostrato che il problema delle mastiti sub-cliniche della bovina da latte in Italia è ben lungi dall’essere stato risolto. Non ho potuto riportare i dati sulla prevalenza della mastite clinica perché nel nostro paese questa patologia non viene sistematicamente monitorata. La mastite, sia essa clinica o sub-clinica, è una patologia ad alto impatto economico perché aumenta il tasso d’eliminazione degli animali, deprezza molto la qualità del latte e la sua attitudine casearia, comporta un calo di produttività e causa un maggiore impiego di antibiotici, con un aumento del rischio del gravissimo fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Per dovere aletico dobbiamo dire che le terapie contro le mastiti della bovina da latte poco contribuiscono in realtà all’antibiotico-resistenza. Il consumo di pomate antibiotiche endomammarie per curare le mastiti delle bovine da latte rappresenta infatti meno dello 0.5% del consumo totale di antibiotici negli animali da reddito allevati in Europa (EU31; questo secondo il 9° rapporto ESVAC della European Medicines Agency pubblicato il 15 Ottobre 2019 e che fa riferimento al 2017). Nonostante questi dati “confortanti” si sta affermando, e giustamente, anche in sede legislativa, la necessità di abbandonare le pratiche metafilattiche in allevamento come la somministrazione sistematica di antibiotici alla messa in asciutta (BDCT), preferendo invece la terapia selettiva in asciutta (SDCT), ossia la somministrazione di antibiotici solo alle bovine che hanno la mammella infetta o che hanno avuto mastiti cliniche o sub-cliniche nella lattazione che si sta chiudendo.

Una sottovalutazione del problema mastite e un’adozione “superficiale” della SDCT possono però portare ad una recrudescenza di questa grave patologia. Nell’allevamento dei così detti “food animal”, ossia degli animali che producono cibo per l’uomo, è la profilassi ad avere un futuro. La profilassi può essere classificata come diretta e indiretta. In quest’ultimo raggruppamento troviamo le norme di base d’igiene come l’uso dell’acqua potabile, la lotta ad insetti come le mosche in quanto potenziali vettori biologici di patogeni, la regolamentazione dell’ingresso di estranei e la recinzione degli allevamenti per evitare la circolazione degli animali selvatici. In questi ultimi mesi, tutti noi stiamo sperimentando alcuni aspetti della profilassi indiretta, come ad esempio il lavarsi per bene le mani e il distanziamento sociale. Alla profilassi diretta appartengono tutte quelle misure specifiche che vengono adottate per contrastare uno specifico patogeno o raggruppamenti di patogeni. Sulle pagine di Ruminantia abbiamo spesso parlato di “compost barn”. Questa tipologia d’allevamento contrasta in maniera efficace la presenza di batteri anaerobi come quelli del genere Treponema, quasi sempre coinvolti nella dermatite digitale, proprio per l’insufflazione d’aria, e quindi di ossigeno, che viene giornalmente fatta nella lettiera permanente. Altro esempio importante di profilassi diretta è la vaccinazione.

Entrando nello specifico degli obiettivi di questo articolo, oggi è possibile ricorrere con efficacia alla profilassi vaccinale nei confronti di alcuni patogeni della mammella, come l’Escherichia coli, lo Staphylococcus aureus e lo Streptococcus uberis. Per quanto riguarda invece la profilassi indiretta, molte e note sono le norme igieniche da adottare per evitare che batteri e alghe come la Prototheca possano entrare nella mammella e causare mastite.

Molto affascinante e promettente è il ruolo che la nutrizione clinica e una certa gestione degli animali possono avere nell’aiutare i complessi e articolati sistemi difensivi della mammella. Per approfondire questo argomento è necessario fare una breve panoramica. A “comandare” la chiusura e l’apertura del capezzolo c’è una muscolatura liscia. Ci sono momenti del ciclo produttivo della bovina, ad esempio il periparto, in cui malattie metaboliche, come la sindrome ipocalcemica e ipomagnesiemica e l’edema mammario patologico, possono alterare la funzionalità dello sfintere del capezzolo rendendo quindi agevole per i microrganismi il penetrare nella mammella dall’esterno. La prevenzione di queste due malattie metaboliche, causate da squilibri del metabolismo dei macrominerali, aiuta in maniera evidente a limitare le nuove infezioni mammarie nel periparto e quindi le mastiti d’inizio lattazione. La concentrazione di calcio ematica nel periparto è in genere molto bassa a causa della produzione del colostro e del latte dopo il parto. L’ipocalcemia, anche subclinica, comporta un’inevitabile riduzione della concentrazione di calcio ionizzato (Ca2+) nelle cellule del sistema immunitario, riducendone la funzionalità. Per queste due ragioni, per rafforzare sia la funzionalità dello sfintere del capezzolo che il sistema immunitario innato o cellulo-mediato, va verificata la calcemia nel periparto e fino alle 2-3 settimane successive. Il canale del capezzolo è rivestito da una cheratina che ha una consistenza cerosa, prodotta da un epitelio squamoso stratificato presente nel canale stesso. La cheratina rappresenta una barriera fisica alla penetrazione dei germi ma al suo interno ci sono anche molecole ad attività antimicrobica, come l’acido miristico, l’acido palmitoleico e l’acido linoleico. Le proteine cationiche della cheratina possono legarsi elettrostaticamente ai microrganismi rendendoli più sensibili alla pressione osmotica.  La nutrizione clinica, allo stato attuale delle conoscenze, non può intervenire significativamente sulla quantità e la funzionalità della cheratina ma può aiutare i principali sistemi difensivi della mammella presenti nel latte dalla cisterna del capezzolo fino agli alveoli mammari.

Questi sistemi difensivi possono essere classificati in due macro-raggruppamenti.

Nel primo, quello delle “difese solubili”, troviamo gli anticorpi o immunoglobuline (IgG1, IgG2, IgA e IgM) prodotti dai linfociti B in risposta a specifici antigeni riconosciuti, anche definiti come sistema immunitario umorale, diverso da quello innato di cui parleremo successivamente. Oltre agli anticorpi, appartengono alle difese solubili anche la lattoferrina, il complemento, il lisozima, l’enzima lattoperossidasi e le citochine. La lattoferrina è una proteina prodotta dalle cellule epiteliali mammarie e dai leucociti che lega il ferro libero (ioni) nel latte prevenendo la crescita dei batteri che ne hanno bisogno, come l’Echerichia coli e la Klebsiella pneumoniae. Al sistema del complemento appartengono proteine presenti nel latte e nel siero che possono avere un impatto importante sia sull’immunità acquisita che su quella innata, e che vengono sintetizzate dagli epatociti, dai monociti e dai macrofagi. Queste proteine intervengono nella lisi dei batteri, sull’opsonizzazione e sull’attrazione dei fagociti. Il lisozima è un’importante proteina del latte ad azione battericida. La lattoperossidasi è invece un enzima che, in presenza di tiocianato e perossido d’idrogeno, esercita un’azione battericida sui Gram-negativi e sui Gram-positivi. Lo Streptococcus uberis, in particolare, è molto sensibile a questo enzima. Al gruppo delle citochine appartengono le interleuchine, i fattori di stimolazione delle colonie (CSF), gli interferoni (IFN) e i fattori di necrosi tumorale (TNF). Le citochine hanno notevoli capacità immunomodulanti.

Concentrazione media dei fattori antibatterici nel latte in mammelle sane e in mammelle ammalate
Fattore (mg/L)Mammella sana
(SCC < 300.000/ml)
Mammella ammalata
(SCC > 500.000/ml)
Lattoferrina130,0256,0
Lattoperossidasi14,818,3
Lisozima0,10,4
Immunoglobuline11002900
IgG17001700
IgG2100450
IgM120350
IgA100250

La nutrizione clinica e un certo management degli animali hanno effetti parziali sulle difese solubili, ad eccezione delle immunoglobuline, attraverso l’azione sui linfociti B. Molto ampia è invece la loro possibilità di stimolare il sistema immunitario innato o cellulo-mediato, secondo importante macro-raggruppamento dei sistemi difensivi a cui appartengono i macrofagi, i neutrofili, i linfociti B e T e le cellule natural killer. I macrofagi sono le cellule più presenti nel latte di una mammella sana ed esercitano un’importante e costante azione di ricognizione, fagocitando sostanze estranee e microrganismi e distruggendoli tramite la produzione di molecole ossigeno reattive (ROS) con un meccanismo che mal traducendolo dall’inglese è chiamato “scoppio respiratorio” (respiratory burst). I macrofagi, inoltre, attraverso la produzione di sostanze ad attività chemiotattica, richiamano i neutrofili dal sangue in caso di imponente attacco microbico. Anche se correttamente chiamati dalle molecole ad azione chemiotattica prodotte dai macrofagi, i neutrofili possono incontrare un’importante difficoltà ad attraversare l’endotelio dei vasi ed entrare negli alveoli mammari. Importante è il ruolo delle selectine, proteine di adesione che mediano il processo di adesione dei leucociti alle pareti endoteliali agevolando così il loro passaggio nei tessuti che richiedono il loro intervento. Esiste in commercio un additivo che aiuta questo passaggio. I neutrofili sono presenti nel latte mastitico in grande quantità, per fagocitare e distruggere i patogeni con un meccanismo molto simile a quello dei macrofagi. Di linfociti ne esistono due tipologie: i linfociti B, che hanno la funzione di produrre anticorpi, e quindi elementi importanti dell’immunità umorale o acquisita; e i linfociti T, che hanno funzioni molto più complesse.

Durante il periparto, le bovine da latte, ma anche gli altri ruminanti, si trovano in uno status “para-fisiologico” d’immunodepressione, che può però evolvere in uno stato patologico. Molte sono possono essere le ragioni: lo stress dei numerosi cambi di gruppo, il bilancio energetico e proteico negativo, l’aumento della concentrazione ematica dei corpi chetonici, lo stress ossidativo per carenza relativa di antiossidanti e il profondo riassetto ormonale, mettono infatti in difficoltà il sistema immunitario. Altri momenti critici per la bovina da latte sono le prime settimane di lattazione e la messa in asciutta. La frisona, in particolare, ha il suo picco produttivo intorno agli 80 giorni e in queste 11-12 settimane dopo il parto la sua capacità d’ingestione e la concentrazione energetica e proteica delle razioni difficilmente riescono a soddisfare i fabbisogni nutritivi. Il NEBAL e il NPB delle bovine di alto potenziale genetico inizia spesso nei giorni che precedono il parto, per protrarsi con diverse ampiezze quasi fino al picco di lattazione. Le malattie metaboliche che concentrano la loro prevalenza nella fase di transizione hanno un effetto negativo sul sistema immunitario. In particolare, i corpi chetonici, che caratterizzano la chetosi, esercitano un’azione negativa sulla fagocitosi e la chemiotassi dei neutrofili, e sulla produzione delle citochine (in particolare di TNF e IFN).

La produzione di latte delle bovine “fresche” e non gravide è una funzione metabolica primaria, almeno in razze come la frisona. Questo significa che in questa fase del ciclo produttivo le risorse nutritive, sia che derivino dagli alimenti che dagli stoccaggi corporei, vengono utilizzate prioritariamente dalla mammella per sintetizzare il latte. Funzioni metaboliche oggettivamente importanti come la crescita e la riproduzioni nelle bovine di alto potenziale genetico sono diventate secondarie, ossia “attivabili” solo se alla mammella avanzano nutrienti. Allo stato attuale delle conoscenze, non è ben chiaro se il sistema immunitario abbia la stessa priorità metabolica della mammella ma è ragionevole pensare che qualche carenza secondaria di nutrienti si possa verificare. La domanda energetica dei leucociti, ed in particolare dei linfociti, è piuttosto elevata e si traduce in un fabbisogno di glucosio e amminoacidi come la glutammina, impiegata preferenzialmente nella gluconeogenesi. La mammella è un forte competitor per il glucosio, in quanto lo utilizza per la sintesi del lattosio. È stato osservato che il NEBAL induce una sottoregolazione di geni importanti dei neutrofili, come quelli che presiedono la presentazione antigenica, lo “scoppio respiratorio” e le risposte proinfiammatorie (TNF-α, etc.). Il propionato, principalmente prodotto dalla fermentazione ruminale degli amidi, stimola il rilascio dei granuli dei neutrofili che contengono il lisozima e la lattoferrina, il rilascio del calcio, la chemiotassi e la produzione dell’anione superossido. Il propionato nei ruminanti contribuisce per oltre il 75% alla gluconeogenesi, ossia alla sintesi del glucosio che è il “combustibile” più importante per la produzione di energia (ATP). L’aumento della concentrazione di amido delle diete delle bovine da latte, nel periparto e nelle prime settimane di lattazione, per aumentare la produzione ruminale di acido propionico ha l’importante limitazione dell’acidosi ruminale. La somministrazione di additivi come il glicole propilenico o molecole come il monensin permette invece di aumentare l’apporto di propionati alle bovine fresche senza condizionare negativamente il pH ruminale. Il glucosio anche nelle cellule del sistema immunitario viene accumulato come glicogene e utilizzato in grande quantità per lo “scoppio respiratorio”. Nelle bovine da latte gli amminoacidi, specialmente quelli gluconeogenetici, hanno un’importanza fondamentale per il metabolismo energetico. In particolare, la glutammina viene mobilizzata in grandi quantità dal tessuto muscolare nelle fasi più critiche del bilancio energetico negativo, ed è trasformata in glutammato per essere poi utilizzata per la sintesi dell’urea, del glucosio e dell’ATP. A testimonianza di ciò, la costatazione che le bovine possono perdere oltre 15 kg di tessuto muscolare durante le prime due settimane di lattazione. Oltre alla glutammina, è importante anche l’arginina che sembra avere un ruolo chiave nello sviluppo dei linfociti B e nell’abilità di quelli T.

Molto più noto è il ruolo degli antiossidanti come la vitamina A, il beta-carotene, la vitamina E, lo zinco, il rame, il manganese e il selenio nel contrastare i gravi effetti collaterali ai tessuti mammari derivanti dallo stress ossidativo, ossia dallo squilibro di molecole ossidanti come i ROS, prodotti dai macrofagi e dai neutrofili durante lo “scoppio respiratorio”.

In conclusione, da questo articolo si evidenzia come una gestione del periparto finalizzata alla riduzione al minimo dello stress e un uso ottimale della nutrizione, sia di base che clinica, possano aiutare notevolmente la mammella a non ammalarsi. Il rafforzamento della biosicurezza e dell’igiene, e l’adozione della profilassi vaccinale e della nutrizione clinica possono contribuire in maniera sostanziale a ridurre la prevalenze delle mastiti sia cliniche che sub-cliniche e l’uso degli antibiotici.