La classificazione del territorio nazionale in aree urbane e rurali prevede, per queste ultime, un’ulteriore suddivisione in grandi pianure ad agricoltura intensiva, aree collinari e prealpine ed infine zone montane. In Lombardia ad esempio, che è la Regione italiana a maggior vocazione e produzione agricola, ben il 50% dei territori agricoli rientra nella definizione di “area svantaggiata”, intendendo con questa dicitura zone disagiate e a basso impatto produttivo, localizzate preferenzialmente in collina e montagna.

Le produzioni lattiero-casearie rappresentano la principale fonte di reddito per le aziende localizzate in aree disagiate. Trattasi per lo più di piccole realtà, che mantengono una ridotta competitività anche a causa degli elevati costi di gestione e della limitata redditività delle produzioni ma che svolgono un ruolo insostituibile nel mantenimento del territorio, delle tradizioni e della cultura agricola di quei luoghi. Le aziende zootecniche, in particolare quelle a vocazione lattifera, sono caratterizzate dalle piccole dimensioni della mandria (10-15 capi), per lo più composta da bovini, da una scarsa meccanizzazione e da un’estrema parcellizzazione territoriale. Problematiche di natura logistica, che rendono difficile la loro integrazione in network a maggiore consistenza numerica, posizionandole in un contesto di mercato svantaggiato rispetto ad altre realtà produttive, si sommano alle intrinseche difficoltà climatiche e ambientali.

I minicaseifici aziendali rappresentano ormai da anni una soluzione consolidata per far fronte alla scarsa rimuneratività del latte prodotto nelle aree svantaggiate. Oggi risultano censiti circa 5000 caseifici aziendali, la maggior parte dei quali localizzati in aree collinari e montane, che trasformano il latte ivi prodotto, spesso di ottima qualità chimico-nutrizionale, in derivati (in massima parte formaggi ma anche latti fermentati e ricotta) ad elevato valore aggiunto che, sempre più spesso, vengono commercializzati in spacci aziendali, soprattutto se le strutture sono localizzate in zone turistiche. D’altra parte, un minicaseificio aziendale per essere remunerativo dovrebbe trasformare fra i 200 e 2000 litri di latte giornalieri. Molte delle aziende in aree svantaggiate hanno dimensioni ancora più piccole, con produzioni giornaliere di 60-200 litri, che renderebbero antieconomico l’investimento su un caseificio aziendale. Inoltre lo smaltimento dei reflui (siero o scotta), che in proporzione incide maggiormente sui costi rispetto a un’industria di trasformazione, è un problema anche per un minicaseificio aziendale. Normalmente il siero viene gestito come un rifiuto che, avendo un elevato fabbisogno biochimico di ossigeno (BOD), è costoso da rimuovere. Tipicamente, il siero di formaggio in Italia viene utilizzato per produrre ricotta, che “smaltisce” solo il 15% della quantità totale di siero di latte prodotto annualmente dall’industria casearia, o utilizzato per l’alimentazione animale. Anche la ricotta però genera un refluo, la “scotta”, anch’esso con un notevole carico inquinante.

Per rispondere a esigenze di risparmio energetico e idrico, facile trasportabilità, limitazione degli sprechi alimentari e nell’ottica di introdurre filiere autenticamente “corte”, il CREA ha sviluppato impianti alimentari su piccola scala, mobili, completi e flessibili, utili per aumentare le opportunità di mercato di piccole produzioni locali, minimizzando nel contempo i costi di produzione. Gli impianti mobili, destinati a piccole aziende agricole agroalimentari e a piccole cooperative di trasformazione, si caratterizzano per essere di limitate dimensioni, economici, facili da usare (e da riparare), compatti, polifunzionali, flessibili e alimentabili mediante energie rinnovabili. Nel settore lattiero-caseario questi impianti rappresentano dei veri e propri minicaseifici mobili, alimentati da biomasse o, volendo, anche da siero e scotta. Grazie alla loro agevole trasportabilità, sono particolarmente adatti a trasformare piccole quantità di latte (100-150 l) anche in più turni giornalieri e in località limitrofe. Le caratteristiche di questi impianti potrebbero consentire a più produttori, aggregati in piccole cooperative, o a diverse fattorie operanti in una ristretta area, di suddividere l’investimento iniziale, che si aggira sui 25-30.000 euro, incrementando la rimuneratività aziendale in aree svantaggiate. In una prossima nota verranno descritte in maggior dettaglio le caratteristiche tecniche di un minicaseificio mobile.