L’ultimo DPCM dell’11 Marzo 2020 ha introdotto su tutto il territorio nazionale ulteriori misure restrittive alla circolazione delle persone per contenere i rischi di contagio da SARS-CoV-2. Ad oggi quindi ristoranti e bar, e più in generale il canale distributivo “Ho.Re.Ca”, sono congelati, per cui era prevedibile ed è plausibile una diminuzione della domanda dei prodotti del latte da parte loro. Non sappiamo se per questa tipologia di prodotti ci sia stato un aumento della richiesta, e quindi una compensazione, da parte della GDO. Sta di fatto che molti operatori dell’industria lattiero-casearia hanno inviato lettere agli allevatori chiedendo o intimando una riduzione della quantità di latte consegnato.

Ridurre la quantità di latte che una stalla di bovine consegna è fattibile (anche senza rischi) mentre ridurre la produzione delle singole bovine, oltre ad essere tecnicamente complesso, comporta rischi gravi per la salute degli animali e per la loro fertilità, soprattutto se sono di razza frisona e di alto potenziale genetico.

I primi 6 mesi dell’anno sono notoriamente i mesi del tanto latte. Coincidono infatti con un THI favorevole, mai come quest’anno, e con un fotoperiodo ideale per la produzione e la fertilità, sia per il rapporto ore diurne/ore notturne che perché si passa dai giorni corti del solstizio d’inverno (22 Dicembre 2019) ai giorni lunghi del solstizio d’estate (20 Giugno 2020).

Ridurre il latte prodotto da una stalla di bovine è semplice. Basta aumentare il tasso di rimonta che era stato programmato, eliminando le bovine con problemi sanitari come zoppie, mastiti croniche e scarsa fertilità. Inoltre, si possono asciugare prima rispetto ai consueti 45-60 giorni, avendo cura però di predisporre diete adeguate e in genere diverse da quelle tipiche dell’asciutta perché è elevato il rischio di dimagrimenti o ingrassamenti eccessivi.

Diverso è invece il ridurre la produzione delle bovine in lattazione. Nell’immaginario collettivo, soprattutto dei “non addetti ai lavori”, persiste l’idea che basti ridurre la concentrazione nutritiva della razione, ed in particolare energia, proteine, amidi, e grassi, per ridurre la produzione di latte. Nel passato si facevano le razioni concordando con l’allevatore quale fosse il livello produttivo desiderato. Si operava un po’ come avviene guidando un auto: più si spinge sull’acceleratore e maggiore sarà il flusso di carburante al motore e la velocità ottenibile. Infatti il termine “spingere” è ancora utilizzato negli allevamenti, anche se molto meno di prima. La selezione genetica, soprattutto della razza frisona, ha reso la produzione di latte, almeno nelle bovine non gravide, prioritaria rispetto a molte altre funzioni metaboliche. Di converso, nelle bovine adulte gravide diventa prioritario l’utero gravido e la ricostruzione delle riserve lipidiche (ossia il grasso corporeo). Nelle altre razze da latte questa priorità della mammella è meno esasperata. Le bovine nelle prime settimane di lattazione e non gravide, che si trovano quindi nel momento in cui la produzione è massima, vivono una condizione di deficit cronico di energia e proteina (NEBAL e NPB). Questo status, purtroppo para-fisiologico, è la causa principale dell’ipofertilità, della non piena efficienza del sistema immunitario, della ridotta crescita delle primipare e quindi della ridotta longevità funzionale delle bovine. Ridurre la concentrazione nutritiva delle diete delle bovine “fresche” e non gravide e delle primipare poco incide sulla loro produzione di latte ma può avere effetti devastanti sul loro NEBAL e NPB. Si è molto diffusa in Italia la pratica delle sincronizzazioni ormonali finalizzate a fecondazioni artificiali ad un tempo stabilito (TAI) per ridurre l’intervallo tra il parto e il concepimento a prescindere dagli errori fatti dalla selezione genetica sui caratteri funzionali, dalla non efficiente rilevazione dei calori e del giusto momento per fecondare e da una scarsa attenzione alla nutrizione. Una riduzione della concentrazione nutritiva delle diete per bovine “fresche” e non gravide si rifletterà inevitabilmente e negativamente anche sul tasso di concepimento delle TAI.

Le bovine in lattazione ormai gravide utilizzeranno la seconda metà della lattazione per ripristinare le loro riserve lipidiche e nutrire adeguatamente il feto. Le primipare inoltre approfitteranno della ridotta produzione indotta dalla gravidanza per crescere, condizione altamente correlata alla loro longevità funzionale. Un ridotto apporto nutritivo alle bovine non gravide può compromettere questi aspetti metabolici.

Una riduzione programmata della produzione di latte individuale è pertanto una pratica molto rischiosa, seppur fattibile, ma necessita di conoscenze nutrizionali molto avanzate, di livelli di controllo degli animali molto evoluti, della possibilità di dividere in molti gruppi le bovine in lattazione oppure del disporre di auto-alimentatori o robot di mungitura.

Molto chiaro deve essere a tutti, senza se e senza ma, che non esiste ormai più, e da molti anni, una relazione diretta tra concentrazione nutritiva delle diete delle bovine in lattazione e produzione di latte. Questo almeno nelle principali razze da latte a unica attitudine.

Concetti come “spingere” o fare le razioni in funzione della produzione media desiderata devono essere rapidamente archiviati, insieme al grammofono e alle TV con il tubo catodico, per non generare confusioni ed equivoci soprattutto con l’industria del latte e i politici.