Il Rosso e il Nero, titolo originale Le Rouge et le Noir, è un romanzo dello scrittore francese Stendhal e il simbolismo contenuto nei colori del titolo è un punto di partenza per comprenderne i significati multipli. Il rosso evoca il sangue del crimine, la passione, che si lega al nero del dolore e della morte. Il rosso è anche il colore della rivoluzione francese, presente nel tricolore e nel sangue versato sulla ghigliottina, mentre il nero è il colore delle tonache dei preti della restaurazione. Rosso e nero sono anche i colori del gioco d’azzardo e si trovano sulle carte da gioco e sui numeri della roulette. Un tempo vi erano formaggi con la crosta nera o rossa. Ma cosa significavano questi due colori?

Le croste del formaggio

La crosta è il rivestimento esterno di molti formaggi. Quelli freschissimi, ad esempio, ne sono sprovvisti. La crosta può avere diverse consistenze, spessore e colore e si distingue in artificiale e naturale. Esempio di crosta artificiale è la cera nera o rossa che ricopre qualche tipo di formaggio, mentre la crosta naturale è quella che si forma da sola durante la lavorazione del formaggio. Tipi particolari di crosta naturale sono la crosta che si forma nei formaggi grana durante il processo di salatura, la crosta fiorita e la crosta lavata.

I formaggi a crosta fiorita o crosta brinata, come il Brie, il Camembert, il Caprice des dieux o talune robiole italiane, sono sottoposti ad un trattamento con muffe del genere Penicillium che conferiscono alla crosta una consistenza soffice e una colorazione biancastra che ricorda un prato fiorito o uno strato di brina. Nei formaggi a crosta lavata o crosta rossa, come lo Chaumese il Rollot, la superficie è lavata con acqua salata, ma anche birra, brandy o altre soluzioni, e spazzolata per eliminare le muffe, lasciando crescere un particolare tipo di batteri che conferiscono alla crosta una colorazione rosso-marrone che incide sul sapore e sull’aroma del formaggio. Il formaggio DOP italiano a crosta lavata più famoso è il Taleggio.

Formaggio crosta nera

I formaggi a crosta nera si ottengono con sistemi tradizionali o con il carbone vegetale. Si tratta di un trattamento molto antico applicato ai formaggi a media e soprattutto lunga stagionatura e conservazione per contrastare l’azione di agenti parassitari quale le mosche e soprattutto gli acari (Tyrolichus casei e Acaus sirus o acaro della farina) che possono contaminare i formaggi stagionati e che con i loro gusci ed escrementi presenti nel formaggio possono causare irritazioni, dermatiti allergiche, intossicazioni intestinali, asma e allergie varie. Per impedire la crescita degli acari sono possibili diversi interventi, ma soprattutto il trattamento della superficie del formaggio con olio o prodotti chimici. Ha origini molto antiche il trattamento con olio o grassi di diversa origine (anche burro), con l’aggiunta di cenere e soprattutto di nerofumo o ossido di ferro ottenuti dai camini delle case o dalle officine dei fabbri ferrai e dei maniscalchi, a cui è dovuto il caratteristico colore nero della crosta del formaggio. Tra gli oli più usati nel passato vi era l’olio di lino, altamente essiccante e ossidativo, che conferisce rigidità a qualsiasi cosa venga applicato e che per questo è usato nella pittura ad olio. La stessa proprietà attira l’attenzione dei casari per avere formaggi con una pellicola protettiva che protegga la pasta interna. Un altro trattamento delle forme è la cappatura, ottenuta con argilla (terra d’ombra ocra), olio di vinaccioli e carbone di legna (detto nerofumo), che conferisce al formaggio il tipico colore scuro. La miscela di olio di lino, cenere e nerofumo è in auge nei secoli XVII – XVIII – XIX e arriva fino alla prima metà del XX secolo, quando cade in disuso a causa dello sviluppo di metodi di pulizia e di igiene più moderni per controllare gli acari durante l’invecchiamento del formaggio.

I formaggi grana hanno un’antica tradizione di crosta nera. Il Parmigiano Reggiano infatti fino alla metà degli anni 1960 aveva la crosta di questo colore e nel periodo invernale sulle forme era passata una polvere nera chiamata sara d’ombra, che era applicata prima da una parte, che veniva poi lasciata ammuffire, e poi dall’altra. Più la superficie ammuffiva e più era bella, poi, per finire, veniva passato l’olio di lino. L’operazione era ripetuta per tre volte nel corso dei ventiquattro mesi della stagionatura. Oltre a contrastare l’azione degli acari, il trattamento serviva a rallentare l’invecchiamento dl formaggio, lasciando intatte le proprietà organolettiche, attraverso la protezione dall’ossidazione delle parti grasse interne. Questa pratica è stata sospesa negli anni settanta del secolo scorso. Richiamandosi all’antica tradizione oggi alcune partite di pregio dei più importanti formaggi DOP, tra i quali Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Asiago, Provolone Val Padana, Pecorino Romano ecc., sono messe in commercio con la crosta nera ottenuta soprattutto con cere e coloranti ammessi dalla legge (ossido di ferro – E 172).

Anche i migliori pecorini toscani e sardi stagionati sono commercializzati con la crosta nera e sono diversamente chiamati dalle Aziende produttrici: Pecora Nera, Crosta Nera, Testa Nera, Riserva nera, Re Nero, ecc. La crosta di queste forme è trattata secondo l’usanza contadina, con cenere, con nero fumo, con pepe nero macinato, uniti ad olio d’oliva, oppure con moderni sistemi di una pellicola protettiva trattata con coloranti all’ossido di ferro (E 172). Questi trattamenti sono fatti per rendere la crosta impermeabile e per evitare che il formaggio asciughi troppo.

Formaggio crosta rossa

Più che di crosta rossa, fiorita o brinata, prodotta da una fermentazione microbica, per i formaggi margarinati bisogna parlare di rivestimento costituito da materiali diversi, come cere o paraffine che per legge devono essere colorate di rosso.

I formaggi margarinati sono prodotti con latte centrifugato al quale sono addizionati grassi estranei quali margarina, grasso di cocco, oleomargarina, ecc. Come già oltre un secolo fa ricorda Sartori A. (Formaggi margarinati – Società degli Agricoltori Italiani – Bollettino quindicinale Anno VII, 1902, Volume VII, pag. 529 – 534) questi formaggi sono ottenuti dalla caseificazione di latte magro centrifugato con aggiunta di un chilogrammo di margarina per ettolitro, secondo un procedimento ideato negli Stati Uniti d’America fin dal 1870, poi diffuso in Danimarca e Germania.  Questo formaggio arriva in Italia sin dal 1888 e inizia a essere prodotto a Codogno dalla ditta Antonio Zazzera, assumendo nel 1902 una grande diffusione. È in questo un periodo che in Italia ha grande successo la cucina del burro dalla cui produzione residua un latte scremato dal quale si ricavano formaggi di limitato valore calorico e di scarso pregio gastronomico, limiti e difetti che possono essere in parte rimediati con l’aggiunta di grassi quali le margarine (all’epoca d’origine animale) per ottenere formaggi di basso prezzo. I formaggi margarinati, che Sartori denomina formaggi artificiali, fanno illecita concorrenza ai formaggi prodotti con latte intero o semigrasso, senza alcuna aggiunta di grassi estranei al latte.

Per evitare pericolose confusioni il Regio decreto-legge 15 ottobre 1925, n. 2033 – Repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di uso agrario e di prodotti agrari (Convertito in legge con legge 18 marzo 1926, n. 582), all’Art. 83. statuisce che i formaggi margarinati debbano essere colorati esternamente e su tutta la loro superficie con la materia colorante detta “rosso Vittoria”. Questi formaggi, inoltre, devono essere fabbricati a pasta dura ed in forme del peso non superiore a 14 chilogrammi.

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.