L’8 e 9 giugno 2024 i cittadini europei saranno chiamati a rinnovare i parlamentari che li rappresenteranno nell’UE. L’Italia è uno dei sei Paesi europei che la fondarono e ha il diritto di esprimere il 10,7% dei parlamentari su un totale di 705. Davanti a noi solo la Germania e la Francia.
Ruminantia ha dedicato a queste elezioni un articolo dal titolo “Non perdiamo questa occasione per contare qualcosa in Europa”.
Per scegliere le persone giuste a cui delegare il presente e il futuro dell’agricoltura e della zootecnia bisogna conoscerle, in modo da usufruire a fondo della grande opportunità offerta dal poter votare direttamente una lista ed esprimere una o più preferenze.
Pensiamo di fare il nostro dovere dando la possibilità a voi lettori di conoscere meglio i candidati che, o per contatto diretto o perché ci hanno interpellato, si sono candidati alle elezioni europee.
Oggi intervistiamo Caterina Avanza, candidata per Azione (partito di Carlo Calenda), nella circoscrizione Nord Ovest (Lombardia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta).
Prima di iniziare la nostra breve intervista ci parli di lei.
Bresciana, anno 1981. Molti anni di esperienza all’estero come manager in aziende private. Poi membro dello staff di Emmanuel Macron. Dal 2019 consigliera politica al Parlamento europeo per il gruppo Renew Europe dove seguo la commissione agricoltura e sviluppo rurale. Questi cinque anni di gavetta da tecnico mi hanno permesso di acquisire una conoscenza approfondita delle politiche agricole europee ma anche di come funziona la macchina istituzionale, di come si costruiscono le maggioranze, come si porta avanti un negoziato e come si vincono le battaglie!
Quali sono, secondo Lei, le criticità nell’UE relativamente all’agroalimentare e nello specifico all’agricoltura e alla zootecnia?
Mi permetta una premessa: l’agricoltura italiana, e in generale il settore agroalimentare, ha una grossa vocazione all’export quindi ha bisogno di più Europa, di più mercato comune, di più mercati in generale. La soluzione non è “più Italia, meno Europa”, penso che su questo gli agricoltori Britannici ne siano l’esempio vivente! La soluzione è un’Europa pragmatica, non ideologica, vicina alle imprese e una classe politica che sappia stare ai tavoli che contano in sede europea portando a casa i risultati.
Detto questo, penso che la principale criticità sia quella della coerenza fra le diverse politiche europee: come si può dire agli allevatori europei eliminate le gabbie per gli avicoli, gabbie che vengono acquistate in massa dall’Ucraina, e allo stesso tempo firmare un protocollo di libero scambio provvisorio e lasciare entrare in massa uova prodotte da galline in gabbia, che quindi arrivano sul nostro mercato a un prezzo stracciato che mette in ginocchio i nostri allevatori? Libero scambio sì, ma con la reciprocità e le clausole specchio, e soprattutto politiche ambientali che siano anche sostenibili economicamente e socialmente (cioè che garantiscano un reddito dignitoso all’agricoltore) perché altrimenti finiremo con il produrre sempre meno e importare sempre di più e il danno ambientale sarà maggiore, oltre ad aver distrutto un comparto che non è solo economico ma che è parte integrante della nostra identità.
Si può trovare un equilibrio tra sicurezza alimentare, ossia cibo sano e disponibile per tutti, e la sostenibilità ambientale, sociale e economica?
Stiamo andando sempre di più verso un modello di alimentazione a due velocità, che è quello che purtroppo hanno certi paesi come gli Stati Uniti: cibo di altissima qualità a prezzi elevati per chi se lo può permettere e alimentazione low cost di bassa qualità, principalmente importata, con standard ambientali quasi nulli, per le fasce di popolazione meno abbienti. L’obesità è del resto una malattia a forte determinismo sociale. Scongiurare le disuguaglianze in materia di alimentazione deve essere LA priorità. L’abbiamo inserito come uno dei punti cardini del nostro programma elettorale. Conciliare cibo sano a prezzi abbordabili, emettendo meno emissioni e garantendo competitività per le aziende è possibile solo se la politica saprà accompagnare il settore verso una strategia che deve essere quella dell’intensificazione sostenibile della nostra produzione agricola. Serve un grande investimento in materia di robotica, digitalizzazione, tecnologia e scienza in generale. Azione propone di consacrare le risorse del PNRR, che il Governo italiano non riuscirà a spendere entro il 2026, a industria 4.0 aprendola alla transizione ambientale così da dare alle aziende la possibilità di investire massicciamente in tecnologia, aumentando la produzione ma non l’impatto ambientale. Proponiamo inoltre un piano europeo per la zootecnia sostenibile e l’agricoltura di precisione finanziato attraverso le risorse proprie (come la CBAM la tassa carbonio alle frontiere e l’ETS) perché lo sforzo della transizione non può e non deve pesare sugli agricoltori o sui consumatori finali perché altrimenti non ci sarà nessuna transizione!
Il Green Deal europeo è da salvare così com’è o con aggiustamenti o è da buttare via?
Va rivisto completamente l’assetto, il metodo e anche la filosofia! L’obiettivo finale del Green Deal, cioè tendere alla neutralità carbonio entro il 2050 è necessario perché dobbiamo tentare di rallentare il riscaldamento climatico e quindi mitigare il cambio climatico del quale gli agricoltori sono le prime vittime. Ma gli obiettivi intermedi, e soprattutto il calendario della Farm to Fork, vanno totalmente rivisti perché sono stati costruiti con un metodo sbagliato, senza studi di impatto, né di fattibilità. Per esempio, la riduzione dei fitofarmaci dev’essere un obiettivo supportato da alternative che sono i biocontrolli e le nuove tecniche genomiche (TEA). Per omologare un biocontrollo nell’Ue servono 8 anni (18 mesi negli USA!), e le TEA ancora non sono autorizzate, l’orizzonte 2030 è quindi idiota! Serve tornare al buon senso. Allo stesso tempo alcuni testi contenuti nel Green deal andrebbero eliminati, penso a quello sul Nutriscore, mentre altri andrebbero accelerati come quello sul carbon farming che finalmente riconosce economicamente la capacità di stoccaggio della CO2 nel suolo. Un testo che gli agricoltori chiedono da anni. Quindi, sì a questo Green deal o no a questo Green deal tout court, sono entrambe sbagliate, serve entrare nel merito e fare una transizione che sia realistica, sostenibile economicamente e che non ci metta in situazione di svantaggio concorrenziale. Infine, nel dibattito sul Green Deal c’è sempre un grande essente che è l’adattamento al cambiamento climatico, perché siamo già in una fase di cambio climatico e ne subiamo già le conseguenze. Serve un piano europeo di adattamento al cambiamento climatico che abbia due pilastri: la risorsa idrica e la gestione dei rischi. Non si sta facendo abbastanza per la ristrutturazione della rete idrica (eppure i fondi del PNRR ci sono), per la costruzione di nuovi invasi e per le infrastrutture che dovrebbero permettere l’utilizzo delle acque reflue in agricoltura. E in secondo luogo, non si sta affrontando la questione delle assicurazioni: serve una riforma della media olimpica in sede europea/Organizzazione mondiale del commercio e bisogna lavorare per rendere il sistema assicurativo attrattivo e protettivo per le aziende e per le compagnie assicurative. Questi sono punti chiave se si vuole davvero lavorare per la costruzione di una sovranità alimentare in Italia e in Europa!