L’ 8 e 9 giugno 2024 i cittadini europei sono chiamati a rinnovare i parlamentari che li rappresenteranno nella UE.
L’Italia è uno dei sei Paesi europei che la fondarono e ha il diritto di esprimere il 10.7% dei parlamentari su un totale di 705. Davanti a noi solo la Germania e la Francia.
Ruminantia ha dedicato a queste elezioni un articolo dal titolo “Non perdiamo questa occasione per contare qualcosa in Europa”.
Per scegliere le persone giuste a cui delegare il presente e il futuro dell’agricoltura e della zootecnia bisogna conoscerle per usufruire a fondo della grande opportunità offerta dal poter votare direttamente una lista ed esprimere una o più preferenze.
Pensiamo di fare il nostro dovere dando la possibilità a voi lettori di conoscere meglio i candidati che, o per contatto diretto o perché ci hanno interpellato, si sono candidati alle elezioni europee.
Oggi intervistiamo Danilo Oscar Lancini, eurodeputato uscente, che si presenta nella lista della LEGA, Circoscrizione Nord-Ovest (Lombardia, Piemonte, Val d’Aosta, Liguria).
Prima di iniziare la nostra breve intervista ci parli di lei.
Sono Danilo Oscar Lancini, bresciano, classe 1965; ho maturato la passione per la politica dall’amore per la mia terra, la Franciacorta, della quale porto la voce al Parlamento europeo dal 2018, ovvero già dalla scorsa legislatura. Sono di Adro, provincia di Brescia, comune al quale sono legato non solo per la mia esperienza umana e professionale, ma anche politica: sono stato infatti il Sindaco di questo comune per due mandati, e ad oggi ricopro ancora l’incarico di Vice-Sindaco, incarico compatibile con gli impegni del Parlamento europeo. Da questa parte d’Italia così operosa e legata alla terra ed alle nostre eccellenze (non solo il vino, ben noto, ma anche meccanica, metallurgia, industria, servizi…) ho tratto e traggo la mia ispirazione ad impegnarmi per i cittadini e la cosa pubblica. Sono Deputato europeo dal 2018, cioè dalla scorsa legislatura, quando “ereditai” la posizione dal Segretario della Lega Matteo Salvini, dimessosi perchè eletto al Parlamento nazionale. Attualmente sono membro delle commissioni parlamentari “ambiente e sanità pubblica” e “commercio internazionale”: due temi ormai sulla bocca di tutti, e ben presenti anche nel dibattito quotidiano. Mi onoro di rappresentare l’Italia e la mia Brescia in queste commissioni così cruciali per il futuro del nostro ambiente e della nostra economia.
Quali sono, secondo Lei, le criticità nella UE relativamente all’agroalimentare e nello specifico all’agricoltura e la zootecnia?
Questa domanda, purtroppo, va al cuore del problema europeo; e dico “purtroppo” perchè dalla mie parti, e non solo in Franciacorta, l’agricoltura e la zootecnia significano rispetto, attenzione alla natura e tutela delle produzioni locali. Logico, scontato ed evidente, diremmo noi: ma “sbagliato” a Bruxelles, dove una recente normativa (“IED”, ovvero “direttiva emissioni industriali”) voleva parificare le emissioni di bovini, suini ed avicoli a quelle, appunto, industriali. Come se l’agricoltura inquinasse come le industrie! Un approccio che, per riprendere la domanda, non solo definirei “critico”, ma proprio illogico. Come si può far passare l’idea che l’agricoltura, o la zootecnia, siano “contro” la natura? Per noi è un controsenso, ma se leggete i lunghi negoziati della direttiva IED ed i vari interventi (sono pubblici, sul sito del Parlamento) potrete chiaramente vedere chi voleva invece spingere per avere un approccio restrittivo e penalizzante per i nostri contadini ed allevatori. Io, che sono stato uno dei relatori ombra di questa direttiva, mi sono opposto fin da subito a questo approccio illogico, e ho difeso le istanze di chi, giustamente secondo me, pensa sia un’assurdità assimilare allevamenti e produzione industriale. In definitiva, questa penso sia stata una delle più recenti (e più pericolose) criticità che ho rilevato in questo mandato parlamentare.
Si può trovare un equilibrio tra sicurezza alimentare, ossia cibo sano e disponibile per tutti, e la sostenibilità ambientale, sociale ed economica?
Sarebbe ovviamente il goal ideale, e sarebbe l’obiettivo a cui tendere nella nostra azione legislativa e politica. Ma, di nuovo, dico “sarebbe” perchè, capite bene, che se noi impediamo ad agricoltori e contadini di fare il loro lavoro perchè “inquinano” (e cito la direttiva IED di cui ho parlato prima) allora dobbiamo trovare chi ci fornisca il cibo: le importazioni dall’estero, da fuori Europa, dove non ci sono nemmeno i minimi standard sociali, ambientali e lavorativi che abbiamo noi? O dobbiamo imporre la carne sintetica per tutti? O, “ancora meglio”, le farine di insetti? Io purtroppo non ho la soluzione alla Vostra domanda; posso però dire che se allontaniamo i contadini dalla terra, tassiamo gli allevamenti come le fabbriche, demonizziamo il vino con il sistema c.d. “Nutriscore” (dare un punteggio da A a E agli alimenti, con A il migliore ed E il peggiore) mettendolo automaticamente in classe “F”, e non difendiamo le nostre produzioni (pensiamo al riso) dalla concorrenza extra europea, spesso sleale… allora non credo che potremo dare una risposta valida alla Vostra domanda. Anzi, non solo non risponderemo, ma colpiremo ancora di più la produzione agricola europea, che è un patrimonio ricchissimo di sapori, tradizioni ed è unico al mondo: e quella, secondo me, è la via migliore per bilanciare produzione di cibo salutare e sostenibilità. Invece l’approccio di Bruxelles, così “distruttivo”, secondo me non è la via da seguire se vogliamo migliorare la qualità del cibo sulle nostre tavole e se vogliamo garantire un futuro sano ai nostri figli.
Il Green Deal Europeo è da salvare così com’è o con aggiustamenti o è da buttare via?
A livello generale il Green Deal sembra un’ottima idea: a chi piace l’inquinamento? Chi non vuole scegliere opzioni più “verdi”? Sono in Parlamento dal 2018 e ho visitato migliaia – non esagero! – di imprese, fattorie, fabbriche e plessi produttivi: ed ebbene, mai, ripeto, mai, ho sentito in Italia ed in Europa di imprenditori o imprese che “vogliono” inquinare. E’ chiaro che ci siano settori più o meno sensibili alle politiche verdi; ma, credetemi, in Europa come abbiamo disponibili delle opzioni meno inquinanti o più sostenibili, queste sono sempre adottate dalle imprese, anche a costo di grandi sacrifici economici. Se invece nella sua attuazione, come sta avvenendo, il Green Deal deve diventare uno strumento che colpisce le nostre fabbriche, limita la competitività o, come dicevo prima, ci fa chiudere gli allevamenti, allora siamo fuori strada. Anzi, ci espone a più rischi. Per fare un esempio, non produciamo più plastica monouso in Italia e in Europa: allora ci toccherà importarla da paesi extra UE, per esempio come Cina o India. Con quali garanzie sanitarie, quali controlli? E quali tutele del lavoro, di donne, minori, sindacati? Usare il Green Deal come strumento che ci faccia deindustrializzare, o che comunque non favorisca l’economia è secondo me un grave errore; ed è un conto che potrebbe essere molto “salato” nei prossimi anni se non si inverte, e a breve, la tendenza. Vorrei vedere politiche “verdi” che puntino, oltre all’ambiente, alla sostenibilità sociale e lavorativa nella transizione; perchè se il “verde a tutti i costi” significa far morire imprese ed industrie, abbattere ricerca e sviluppo o limitare l’agricoltura, ecco che siamo finiti fuori strada. Ora, a giorni, la parola tornerà ai cittadini: speriamo che con il loro voto diano voce a chi invece vuole “rimetterci in carreggiata” invece che farci sbandare in nome dell’ideologia!