L’8 e 9 giugno 2024 i cittadini europei saranno chiamati a rinnovare i parlamentari che li rappresenteranno nella UE.

L’Italia è uno dei sei Paesi europei che la fondarono e ha il diritto di esprimere il 10.7% dei parlamentari su un totale di 705. Davanti a noi solo la Germania e la Francia.

Ruminantia ha dedicato a queste elezioni un articolo dal titolo “Non perdiamo questa occasione per contare qualcosa in Europa”.

Per scegliere le persone giuste a cui delegare il presente e il futuro dell’agricoltura e della zootecnia bisogna conoscerle per usufruire a fondo della grande opportunità offerta dal poter votare direttamente una lista ed esprimere una o più preferenze.

Pensiamo di fare il nostro dovere dando la possibilità a voi lettori di conoscere meglio i candidati che, o per contatto diretto o perché ci hanno interpellato, si sono candidati alle elezioni europee.

Oggi intervistiamo Guglielmo Garagnani che si presenta nella lista di Fratelli d’Italia per la circoscrizione Nord-Orientale.

Prima di iniziare la nostra breve intervista ci parli di lei.

Agricoltore e imprenditore per storia e vocazione (ho avviato la mia prima azienda agricola a 24 anni), dal 1995 conduco insieme alla mia famiglia la Tenuta Ca’ Selvatica in Valsamoggia (BO) dove ho incontrato, fin da piccolo, il mondo dell’agricoltura tipica del territorio di confine tra le province di Bologna e Modena. Laureato in Scienze Agrarie all’Università di Bologna nel 1996 con il Prof. Sansavini, ho iniziato subito ad occuparmi del settore allevamento bovini da latte per il Parmigiano Reggiano nell’azienda di famiglia. Parallelamente ho gestito aziende frutticole con produzione di pere e drupacee e ho avuto, per alcuni anni, un’impresa dedicata alla coltivazione di piante officinali biologiche sull’Appennino modenese.

Da sempre sono in prima linea per la tutela dell’agricoltura e per la valorizzazione delle risorse del territorio: negli anni mi sono impegnato nel Consorzio Agrario di Bologna e Modena, nel Consorzio di Bonifica Reno Palata e nel Cda del Canale Emiliano Romagnolo. Dal 2009 al 2015 sono stato presidente regionale per l’Emilia-Romagna di Confagricoltura, prima di assumere la guida di Confagricoltura Bologna dal 2017 fino all’annuncio della candidatura alle elezioni europee, il 22 marzo 2024. Dal 2017 sono anche Vicepresidente del Consorzio Formaggio Parmigiano Reggiano di cui guido la Sezione di Bologna dal 2021. Dal 2020 guido anche l’Associazione Nazionale Bieticoltori (ANB) dopo essere stato vicepresidente di ABSI (Associazione Bieticolo-Saccarifera Italiana) dal 2012 al 2015, presidente di ANB Biogasdal 2011 al 2014 e Presidente di ANB Holding s.r.l. (la realtà che cura la costruzione di impianti a biogas per la produzione di energia elettrica a partire dalla polpa di barbabietola da zucchero nel tentativo di salvare tale coltivazione in Italia) dal 2018 al 2021.

Come tanti agricoltori, da anni sento che i miei campi e i miei magazzini sono sempre più percepiti come ospiti non graditi da un’Europa in cui non abbiamo voce. Una frustrazione e un’angoscia che hanno spinto tanti colleghi a scendere nelle piazze per protestare. Rispetto le manifestazioni ma credo che la soluzione sia portare in Parlamento Europeo le nostre istanze. Mi candido quindi alle elezioni europee per difendere gli interessi degli agricoltori italiani là dove oggi si prendono le decisioni che contano.

Ho accettato la proposta di Fratelli d’Italia perché è oggi il partito che si impegna più di tutti nel proteggere concretamente gli agricoltori italiani, lo testimonia il ruolo centrale del ministero dell’Agricoltura nell’azione di governo.

Da liberal-conservatore, trovo oggi in FDI un rappresentante degli ideali del partito liberale, un movimento plurale in cui è viva un’anima europeista, che ama la nostra casa comune ma che, proprio per questo, ne critica gli aspetti disfunzionali. Assieme ai colleghi di Fratelli d’Italia lavorerò affinché l’UE sia più vicina agli agricoltori e a tutti i cittadini italiani. Perché per essere europei dobbiamo essere in primo luogo, orgogliosamente, italiani.

Quali sono, secondo Lei, le criticità nella UE relativamente all’agroalimentare e nello specifico all’agricoltura e la zootecnia?

In Europa il nostro mondo ha due grandi nemici: l’ambientalismo ideologico a scollegato dalla realtà e una burocrazia sempre più onnipresente e oppressiva. Queste due storture ostacolano quotidianamente il nostro lavoro, lo rendono più complesso, più faticoso e, dato da non trascurare, spesso inutilmente più costoso.

Ma non solo. C’è un danno più sottile ma grave e pervasivo che ambientalismo e burocrazia hanno contribuito a creare: oggi l’opinione pubblica, purtroppo, vede troppo spesso il mondo allevatoriale come una galassia fatta di sfruttatori di animali, parassiti che vivono di sussidi, inquinatori che imputridiscono l’aria, l’acqua e la terra. Una visione ingiusta e totalmente sbagliata.

La madre di tutte le battaglie, quindi, è quella di demolire questa immagine – combattendo sia l’ambientalismo da salotto che la burocrazia – valorizzando l’impegno del nostro mondo, i grandi investimenti fatti sia per il benessere animale, che sta a cuore a noi allevatori per primi, sia per una gestione virtuosa dei reflui, raccontando i nostri percorsi di economia circolare per la creazione di energia pulita e per incentivare la fertilità del suolo. Questo è il primo pilastro per il recupero della competitività e la valorizzazione del grande lavoro del nostro mondo che non può e non deve essere più criminalizzato.

C’è poi tutto il tema della tutela delle nostre produzioni, delle nostre tipicità (incluse, naturalmente, le Indicazioni Geografiche) da parte di prodotti esteri realizzati senza la stessa cura, senza la stessa passione, senza le stesse regole, a cui sia affianca il tema dell’approvvigionamento delle materie prima per l’alimentazione del bestiame: oggi, non esistendo una disponibilità sufficiente in Italia per le necessità del nostro settore, siamo costretti ad approvvigionarci all’estero. Ma credo sia fondamentale invertire la tendenza e tornare a produrre in Italia mais, orzo e soia per garantire ai nostri capi d’allevamento un’alimentazione sana, corretta e controllata.

Si può trovare un equilibrio tra sicurezza alimentare, ossia cibo sano e disponibile per tutti, e la sostenibilità ambientale, sociale ed economica?

La risposta è sì, senza dubbio. Ma per poterlo fare serve lavorare sulla consapevolezza da parte di tutti, dal mondo produttivo ai consumatori, che sostenibilità non è un numero, un indicatore in tabella, un valore scollegato dalla realtà. Dobbiamo, e con questo mi riferisco anche al nostro mondo, lavorare affinché lungo tutta la filiera si sviluppi una corretta informazione: è questa la base per un’opinione pubblica informata e partecipe che sappia esercitare una pressione costante sulla politica affinché si muova nella direzione corretta.

Oggi il mondo agricolo e allevatoriale italiano produce già cibo sano, buono e di qualità e gli impegni sul fronte della sostenibilità sono già numerosi. Per andare avanti adesso servono due elementi chiave: la ricerca scientifica e il tempo.

Questi due fattori, messi insieme, permettono lo sviluppo di nuove tecnologie – penso anche all’intelligenza artificiale che ritengo possa aiutare anche il nostro settore – e la formazione di nuove professionalità che daranno vita a un nuovo, ulteriore, salto in avanti in direzione di una sostenibilità che guardi non solo all’ambiente ma anche alle persone, alla sopravvivenza delle imprese e al benessere dei territori. La ricerca richiede, però, investimenti importanti e qui la politica entra in campo in modo determinante per sostenere chi fa scelte virtuose: ecco perché è essenziale un’opinione pubblica informata che indirizzi la politica!

Dicevo, qualche riga sopra, che la sostenibilità non è semplicemente un numero: certo, possiamo misurare i kg di CO2 generati dai reflui zootecnici, o i grammi di antibiotico usati per i nostri animali. Ma la sostenibilità non può fermarsi lì: quando parliamo di sostenibilità dobbiamo andare oltre a certificati e bollini e guardando i nostri territori, il ruolo di presidio che agricoltori e allevatori rivestono, l’impatto positivo che hanno su territori, come la collina e la montagna, che rischierebbero l’abbandono. Le nostre attività, dove sono presenti, generano una filiera di valore che va raccontata, tutelata e sostenuta per il bene di territori e comunità!

 Il Green Deal Europeo è da salvare così com’è o con aggiustamenti o è da buttare via?

Il Green Deal non è da buttare ma, di sicuro, c’è molto da fare per cambiarlo e allinearlo alla realtà: gli obiettivi sono condivisibili da tutti, noi allevatori compresi. Ma sono da buttare senza dubbio i tempi completamente arbitrari che il Green Deal si è dato per il raggiungimento degli obiettivi e diversi altri parametri scollegati dalla realtà vissuta da chi produce, da chi alleva e da chi deve confrontarsi con il mercato reale dei prodotti agroalimentari. Va riconosciuto, tuttavia, il merito di aver permesso a tutto il nostro mondo di capire meglio ciò che pensa e quali sono valori e priorità di chi consuma i nostri prodotti: 15 anni fa non eravamo così consapevoli della forte esigenza, da parte dei cittadini, di sapere quanto ciò che comprano è buono anche per l’ambiente.

Ma se l’idea alla base può anche essere condivisibile, la sua applicazione, soprattutto per il mondo agricolo, è un flagello. Forse per l’industria il Green Deal è stato uno scossone utile, ma per il mondo agricolo, che se lo è ritrovato addosso senza un’adeguata valutazione degli impatti sul settore, è stato un vero disastro con impennate di costi fuori controllo e scarsi vantaggi reali per ambiente e consumatori.

Quindi, non buttiamolo via ma prepariamoci a una stagione di duro lavoro per cambiarlo radicalmente. Riuscire a modificare i parametri arbitrari e scollegati dalla realtà che lo caratterizzano: sarà una grande battaglia ma sarà mio impegno combatterla e vincerla a Bruxelles.