L’8 e 9 giugno 2024 i cittadini europei saranno chiamati a rinnovare i parlamentari che li rappresenteranno nell’UE. L’Italia è uno dei sei Paesi europei che la fondarono e ha il diritto di esprimere il 10.7% dei parlamentari su un totale di 705. Davanti a noi solo la Germania e la Francia.
Ruminantia ha dedicato a queste elezioni un articolo dal titolo “Non perdiamo questa occasione per contare qualcosa in Europa”.
Per scegliere le persone giuste a cui delegare il presente e il futuro dell’agricoltura e della zootecnia bisogna conoscerle per usufruire a fondo della grande opportunità offerta dal poter votare direttamente una lista ed esprimere una o più preferenze.
Pensiamo di fare il nostro dovere dando la possibilità a voi lettori di conoscere meglio i candidati che, o per contatto diretto o perché ci hanno interpellato, si sono candidati alle elezioni europee.
Oggi intervistiamo Herbert Dorfmann, eurodeputato uscente, che si presenta nella lista Südtiroler Volkspartei – Circoscrizione Nord-Est (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna).
Prima di iniziare la nostra breve intervista ci parli di lei.
L’impegno politico e la passione per l’agricoltura sono da sempre una costante nel mio percorso. Sono cresciuto a Velturno, nella Valle Isarco, in Alto Adige. Mio papà aveva una piccola azienda viticola, alla quale io e gli altri membri della mia famiglia contribuivamo. Dopo la laurea in Scienze Agrarie a Piacenza, insegno presso l’Istituto Tecnico Agrario di Ora, lavoro come impiegato nella ripartizione agricoltura della Camera di commercio di Bolzano e dal 1997 al 2006 sono direttore del Südtiroler Bauernbund, l’unione dei coltivatori diretti sudtirolesi. Nel frattempo, ricopro vari incarichi nel mio partito, la Südtiroler Volkspartei. Sono prima responsabile per il mio paese e poi per tutta la Valle Isarco. Trascorro successivamente alcuni anni in giunta comunale a Velturno e nel 2005 divento sindaco. Nel 2009, poi, il mio partito mi offre la possibilità di candidarmi alle europee. Da allora, a Bruxelles e Strasburgo ho assistito alle enormi trasformazioni che hanno cambiato l’Unione europea e ho svolto il mio compito cercando soluzioni vicine ai cittadini. In campo agricolo, la mia priorità è sempre stata lavorare per un’agricoltura che abbia davvero futuro e continui a essere fonte di reddito e opportunità, soprattutto per le nuove generazioni. Dopo quindici anni, mi ricandido perché la voglia di fare è ancora tanta e vorrei poter continuare a dare il mio contributo nei prossimi cinque anni, che si annunciano cruciali per il destino della nostra Unione.
Quali sono, secondo Lei, le criticità nella UE relativamente all’agroalimentare e nello specifico all’agricoltura e la zootecnia?
Oggi la priorità è tutelare il reddito di chi fa agricoltura e zootecnia. Da anni le aziende agricole europee sono vittima di una crisi del reddito, che erode progressivamente il loro margine di guadagno. I prezzi di importanti prodotti agricoli, come i cereali, il latte e la carne, sono sostanzialmente stabili da decenni, mentre i costi stanno aumentando e nella filiera agroalimentare la fetta destinata al reddito agricolo diventa sempre più sottile. Intanto i prezzi nei supermercati non fanno che aumentare, così come i profitti della grande distribuzione.
Questa si è accaparrata una fetta sempre più importante degli introiti, facendo ricorso a pratiche commerciali a volte sleali. In tal modo, le materie prime agricole finiscono per non essere sufficientemente remunerate. Questo è profondamente ingiusto, nei confronti non solo degli agricoltori, ma anche dei consumatori.
Serve un intervento politico, innanzitutto della Commissione europea. Essa deve trovare un modo per ridurre il potere dei colossi della grande distribuzione e spingerli a stipulare contratti più favorevoli agli agricoltori e ai consumatori. Non basterà una legge ad hoc, ma ci vorrà un approccio coraggiosamente mirato a promuovere un mercato non solo libero ma anche equo.
Si può trovare un equilibrio tra sicurezza alimentare, ossia cibo sano e disponibile per tutti, e la sostenibilità ambientale, sociale ed economica?
Si deve. Da sempre l’Unione europea fa della sicurezza alimentare una sua priorità. Questo concetto è stato dato a lungo per scontato nel dibattito pubblico, ma è tornato a essere popolare in seguito alla pandemia e alla guerra in Ucraina. Ciò ci ha permesso in Parlamento europeo di rivedere le proposte più ideologiche della Commissione nel quadro del Green Deal. È infatti evidente che il cambiamento climatico esiste e costituisce una minaccia epocale. Urgono misure per ridurre le emissioni di CO2 a livello mondiale e, in tal senso, il Green Deal è una strategia fondamentale per conseguire questo scopo. Ma non tutte le proposte avanzate dalla Commissione andavano nella giusta direzione. L’agricoltura può giocare un ruolo decisivo in questa sfida, ma va messa in condizione di farlo. Vietare senza proporre alternative non può essere la soluzione.
La politica deve sostenere gli agricoltori, non solo perché sono tra i più colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale, ma anche e soprattutto perché essi sono attori di prim’ordine nella lotta a questo fenomeno. Vanno introdotte leggi capaci di sbloccare l’innovazione e vanno migliorate le politiche di finanziamento. Durante la scorsa legislatura, abbiamo imboccato questa strada, adottando ad esempio norme che faciliteranno lo sviluppo delle tecnologie di evoluzione assistita (TEA) e promuovendo tutto ciò che è agricoltura di precisione. Se rieletto, mi impegnerò a perseguire questo approccio.
Il Green Deal Europeo è da salvare così com’è o con aggiustamenti o è da buttare via?
Abbiamo apportato numerosi miglioramenti al Green Deal nella legislatura appena conclusasi, soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura.
Grazie alla spinta del Parlamento europeo, abbiamo escluso gli allevamenti dei bovini dalla nuova direttiva per ridurre le emissioni industriali. La continua accusa che la zootecnia contribuisca al cambiamento climatico, con emissioni di CO2 e di metano – che senz’altro ci sono – è una grossolana generalizzazione, per di più sbagliata in termini scientifici. Nell’Unione europea ci sono tantissimi prati stabili e pascoli, che non possono essere trasformati in terreni arativi e che sono tutelati dalla PAC. Queste superfici hanno bisogno di animali. Quindi, quando il carico di animali è adeguato alla superficie, non è un problema per il cambiamento climatico. Questo va detto anche ai consumatori, per evitare che passi l’argomento del mondo vegetariano e vegano, che sventola l’importante problema del riscaldamento globale per introdurre un’ideologia pericolosa e totalmente errata, ovvero che latte e carne creerebbero un danno al clima.
Siamo poi riusciti a rendere molto più realistici gli obiettivi della cosiddetta “legge sul ripristino della natura”, che spero che non entri mai in vigore, dato che sembra che manchi la maggioranza in Consiglio. Inoltre, la proposta di regolamento sui fitosanitari chimici è stata ritirata dalla Commissione dopo la bocciatura in Parlamento. In generale, da quando il Commissario al Green Deal, l’olandese Frans Timmermans, è tornato in patria, siamo riusciti a proporre un approccio molto meno ideologico su questi temi. È stato un vero cambio di rotta, che ha portato tra l’altro la Commissione a non presentare l’annunciata riforma sul miglioramento del benessere degli animali da allevamento.
Nel suo assetto attuale, il Green Deal costituisce a mio avviso un progetto equilibrato e ambizioso per far fronte alla più grande sfida che abbiamo davanti: la lotta al cambiamento climatico. Mentre l’assetto legislativo è stato definito durante la scorsa legislatura, negli anni a venire andranno trovate le risorse finanziarie per sostenere questa trasformazione, anche e soprattutto promuovendo l’innovazione, che è la chiave di volta per fare della transizione ecologica un successo economico. I negoziati sulla nuova PAC costituiranno in tal senso una partita decisiva per sostenere chi fa agricoltura e zootecnia in questa dinamica.