Il pascolo da sempre costituisce un fattore importante per molti allevamenti dei ruminanti in grado di garantire ottime produzioni, soprattutto di tipo qualitativo, e di valorizzare determinati territori e razze animali.

Soprattutto per i piccoli ruminanti ancora oggi esso rappresenta un cardine indispensabile per poter rendere zootecnicamente sostenibili numerosi allevamenti.

Tuttavia il pascolo rappresenta anche un importante fattore predisponente a determinate noxae sanitarie, tra le quali vanno in primis annoverate le endoparassitosi, nei confronti delle quali gli allevatori devono per forza di cose fare i conti oggi più che mai. Appare evidente come la scelta di una tipologia di allevamento, quale quello estensivo, debba prioritariamente prendere in considerazione e valutare sotto l’aspetto economico, gestionale e produttivo anche quelli che sono i fattori sanitari con i quali fare i conti, quali appunto quelli legati alle endoparassitosi.

In questo ambito quindi è d’obbligo prendere in considerazione diverse parassitosi definibili “da pascolo” che possono riscontrarsi nei ruminanti, alcune delle quali a distribuzione cosmopolita ed omnipresenti, quali ad esempio le strongilosi gastro-intestinali (SGI), o che si possano riscontrare in ambienti particolari (es. la distomatosi epatica da Fasciola hepatica e Dicrocoelium dendriticum), le anoplocephalidosi da Moniezia spp., le strongilosi bronco-polmonari, ecc.).

Queste parassitosi sono in grado di determinare nei ruminanti al pascolo importanti ripercussioni negative delle produzioni, che vanno dalla riduzione significativa dei tassi di fertilità (spesso purtroppo scarsamente valutata e/o presa in debita considerazione), al dimagramento e riduzione degli incrementi ponderali, alle riduzioni importanti delle produzioni di latte (sino al 23-25% negli ovini) e di lana (dal 20 sino al 40% a seconda del tipo di ovino allevato).

Tutto questo può avvenire nei ruminanti al pascolo generalmente con estrema discrezione, in assenza di una sintomatologia clinica conclamata, fatto questo che non comporta solitamente grave allarmismo da parte dell’allevatore il quale tende talvolta a sottovalutare il problema. Più raramente invece possiamo assistere anche importanti episodi di moria che possono coinvolgere, soprattutto nelle quote di rimonta, i piccoli ruminanti e vitelli (es: nematodirosi, ostertagiosi, emoncosi, ecc.).

Il pascolo peraltro “facilita” anche, soprattutto in certi distretti in cui è praticato in modo diffuso l’allevamento dell’ovino da latte, importanti parassitosi di interesse zoonosico, quali ad esempio l’echinococcosi cistica (EC) e/o la cenurosi cerebro-spinale.

Si tratta in questo caso di parassitosi ritenute dagli allevatori talvolta come “mali” nei confronti delle quali non si può fare molto in quanto da loro ritenute “sempre esistite”. Tali zoonosi persistono anche grazie al numero molto elevato dei loro ospiti definitivi, costituiti dai cani presenti in questi allevamenti in numero talora sproporzionato (sino a 10 per allevamenti di 100 ovini). Questi spesso in certe realtà sono ancora non anagrafati e scarsamente gestiti razionalmente sotto l’aspetto sanitario. Questa situazione, insieme ad altri fattori sociali (uso diffuso della macellazione domiciliare non controllata), economici-strutturali (scarso valore commerciale della carne ovina a fine carriera e riduzione importante delle strutture di macellazione e quindi loro “allontanamento” dagli allevamenti) e non ultimo di una non ancora completa/diffusa informazione sanitaria, rendono ancora attuali in questi contesti tali parassitosi.

Proprio per la loro diffusa presenza in questo tipo di allevamenti l’allevatore, e purtroppo anche gli addetti al settore, tendono a sottovalutarle, nonostante i danni da esse arrecate, forse perché anche scarsamente quantizzabili direttamente. Da non sottovalutare, inoltre, le loro ripercussioni anche sulla salute dell’uomo. In Sardegna, ad esempio, in cui l’EC si riscontra in circa il 60% degli ovini allevati al pascolo, questa metacestodosi si registra con un’incidenza annuale media sino a 6,49/100.000 abitanti!

Per quanto riguarda l’aspetto economico, si stima che solo in Italia il costo annuale delle infestioni da elminti nei soli piccoli ruminanti ammonti a circa 30 milioni di € (attribuibili per circa la metà alle perdite di produzione e ai costi di trattamento), suddivisi tra ovini da latte (∼22,5 milioni di €), ovini da carne (>6 milioni di €) e caprini da latte (>2,5 milioni di €) (Charlier et al., 2020).

Nell’allevamento del bovino al pascolo non sono inoltre da sottovalutare gli importanti episodi di diarrea causati da un nematode, Oesophagostomum radiatum, che possono coinvolgere soprattutto i vitelli nella seconda stagione di pascolo, o ancora gli importanti episodi morbosi causati da nematodi della specie Ostertagia ostertagi, in grado di determinare abomasiti accompagnate da imponente diarrea fetida e acquosa, disidratazione, con importanti ripercussioni negative sugli incrementi ponderali.

Negli allevamenti dei ruminanti al pascolo, attualmente, quali sono le misure adottate, ad esempio, nei confronti degli omnipresenti SGI?

Le misure di controllo più appropriate e suggerite nei testi sacri della parassitologia prevedono diversi approcci trasversali che prendono in considerazione il pascolo, l’animale allevato e l’applicazione di adeguati protocolli profilattico-terapeutici. Sino ad oggi, tuttavia, l’approccio più adottato in generale era quello basato quasi esclusivamente sul trattamento antielmintico, spesso attuato in modo indiscriminato in termini di cronologia, scelta della molecola, modalità di somministrazione e soprattutto in assenza di un’analisi appropriata volta a stabilire la presenza quali-quantitativa delle endoparassitosi presenti.

Tutto questo purtroppo ha determinato a livello globale l’instaurarsi del fenomeno dell’antielminticoresistenza (AR) che sta guadagnando terreno in modo esponenziale e nei confronti della quale è necessario oggi più che mai adottare delle condotte atte ad arginarla, in quanto debellarla sarà ormai pressoché impossibile.

A farne le spese sono state già diverse aziende di ovini che hanno dovuto chiudere in quanto, a causa dell’AR, la gestione delle infestazioni da SGI non era più gestibile!

Haemonchus contortus in abomaso di ovino

Fenomeno questo che ormai ha preso piede purtroppo anche in Italia, in cui si è rilevata, nei piccoli ruminanti, una resistenza nei confronti del levamisolo, dei lattoni macrociclici e dei benzimidazoli.

Tutto questo comporta un nuovo approccio nel controllo delle SGI che preveda lo sviluppo sviluppo di azioni innovative per il controllo delle infestioni da elminti e della AR che devono essere adattate alle peculiarità di ogni contesto per essere implementate in modo efficace. Sotto questo aspetto appare quindi evidente che il tipo di allevamento estensivo al pascolo dei ruminanti potrebbe non rappresentare più quello più facile e meno impegnativo da gestire.

Infatti, un controllo razionale delle endoparassitosi oggi deve prevedere importanti accorgimenti relativamente alla gestione del pascolo, non solo in termini di carico animale, ma anche di strategie pascolative che tendono ad evitare, ad esempio, l’assunzione delle larve infestanti degli endoparassiti liberatesi dalle uova eliminate con le feci degli animali al pascolo, quali la costituzione di parcelle pascolative, che poi devono essere utilizzate a rotazione in modo che le stesse possano osservare un riposo di diverse settimane, periodo che può consentire la morte delle larve infestanti sul pascolo e la ricrescita dell’erba.

La ricrescita dell’erba è un altro importante fattore per il controllo dell’infestazione, in quanto le larve dei parassiti solitamente si riscontrano con maggior frequenza nelle parti basse degli steli dell’erba (2- 4 cm massimo). E’ evidente, quindi, che il pascolamento delle erbe sotto questo livello risulta un importante fattore di rischio per l’incremento dell’infestione.

Le larve della maggior parte dei parassiti si spostano sulle cime delle piante quando l’intensità della luce è bassa (all’alba, al tramonto e con il cielo coperto); pertanto, il pascolo dovrebbe essere evitato/limitato durante queste condizioni, condotta questa però non sempre di facile applicazione in condizioni “reali”. Altre precauzioni importanti, qualora fosse possibile applicarle, sarebbero quelle di far utilizzare in “promiscuità” i pascoli con specie animali diverse (es. cavalli, bovini, piccoli ruminanti), in quanto ogni specie animale ha i “suoi” parassiti e potrebbe quindi fungere da “spazzina” per i parassiti delle altre specie.

Anche il cosiddetto “pascolo in avanti” può rappresentare un’utile condotta gestionale, in quanto prima bisognerebbe far utilizzare le parcelle “pulite” da larve infestanti dagli animali più giovani e quindi meno recettivi ad esempio alle SGI e successivamente gli animali più anziani più resistenti. Non tutti i pascoli purtroppo si prestano ad un’adeguata lavorazione del terreno o ad una concimazione con sostanze che devitalizzano le larve perché inadatti a tale lavorazioni o per la non sostenibilità finanziaria di queste operazioni.

Il trattamento antiparassitario non deve essere più attuato in base a vecchie tradizioni tramandate da padre in figlio, su suggerimento dell’allevatore vicino o del venditore “ambulante” di turno, ma sull’implementazione degli schemi terapeutici che prevedano trattamenti mirati e trattamenti selettivi che possono essere attuati in base a diversi parametri, come il conteggio delle uova fecali dei parassiti, il grado di anemia nel caso di parassiti ematofagi (metodo FAMACHA©), la produzione di latte e il punteggio di condizione corporea (BCS) o dell’imbrattamento da diarrea (Diaorrea score) e il peso dell’animale.

Tali trattamenti selettivi hanno lo scopo di ridurre la pressione selettiva del farmaco nei confronti dei parassiti, in quanto verrebbero ad essere trattati solo gli animali più parassitati e quindi maggiormente eliminatori di uova che andrebbero ad infestare i pascoli. Inoltre, il “conservare” nell’ambito del gregge e/o della mandria degli animali non trattati che eliminano scarse quantità di uova andrebbe a costituire nel pascolo quella riserva di larve infestanti, la cosiddetta quota “refugia”, ancora sensibili al farmaco che competono con i ceppi di parassiti resistenti al farmaco.

Appare inoltre evidente che un trattamento attuato su basi selettive comporti anche un uso di quantità di farmaco inferiore, con conseguente minor dispendio economico e minori residui nelle produzioni.

Ulteriori studi, nazionali ed internazionali, stanno vagliando inoltre la possibilità di implementazione di strategie alternative nel controllo delle endoparassitosi degli animali al pascolo come l’uso di diversi composti bioattivi naturali o la selezione genetica per la resistenza e la resilienza alle infezioni da elminti.

Un ulteriore importante fattore che interviene nel modificare i parametri epidemiologici delle SGI è quello climatico, in quanto temperatura, umidità, piovosità, ecc., sono in grado di interferire in modo molto importante sulla vitalità e motilità delle larve infestanti nei pascoli.

Ad esempio, il periodo autunnale in generale può rappresentare il periodo più a rischio nei pascoli, in quanto l’interferenza tra questi fattori climatici può esaltare la vitalità delle larve che in un ambiente umido si muovono con più facilità raggiungendo l’apice degli steli d’erba, per cui gli animali al pascolo ne assumono quote notevolmente più elevate. Ricordiamo poi che un ulteriore importante fattore di controllo delle endoparassitosi è legato ad un’alimentazione razionale dal punto di vista quali-quantitativo, prendendo inoltre in considerazione anche un’eventuale integrazione proteica per migliorare le capacità degli animali di autodifendersi da questi patogeni.

Non vanno inoltre “dimenticate” nei ruminanti al pascolo altre importanti parassitosi che spesso si associano alle “omnipresenti” SGI, quali importanti e diffuse miasi da Oestrus ovis nei piccoli ruminanti e da Hypoderma spp. nei bovini, le infestioni da zecche e tutte le infezioni da microorganismi da esse veicolati (babesiosi, theileriosi, anaplasmosi, coxiellosi, tularemia, ecc.).

Appare quindi evidente come attualmente l’allevamento al pascolo dei ruminanti, per quanto assolutamente importante a secondo delle aree che si hanno a disposizione, potrebbe non rappresentare più un tipo di allevamento “facile” da gestire. Fenomeni importanti, quali ad esempio l’AR nei confronti delle più comuni endoparassiti, lo renderebbero infatti più impegnativo, e sicuramente non competitivo, se basato su basi gestionali ormai superate e non in linea con le attuali normative europee e nazionali.