Il latte e i latticini in generale sono stati al centro dell’attenzione sin dai primi studi di scienza della nutrizione per l’impatto che potrebbero avere sulla salute umana.

La storia del consumo del latte è un lungo viaggio iniziato tra i nostri antenati circa 5.000 anni fa, quando le popolazioni nomadi non avevano la capacità di digerire il lattosio (uno zucchero presente nei latticini) a causa della perdita della lattasi (l’enzima responsabile della sua digestione) che si verificava una volta raggiunta l’età adulta (Swallow 2003). Tuttavia, con il passare delle generazioni, il latte e i suoi derivati sono diventati una delle fonti principali di nutrienti della dieta; gli esseri umani hanno quindi sviluppato la capacità di digerire il lattosio per tutta la durata della loro vita, che gli ha consentito di consumare il latte senza particolari fastidi o senza una sintomatologia invalidante ( Forsgård 2019). Tale cambiamento è avvenuto grazie ad una mutazione genetica del DNA che coinvolge il gene MCM6 che consente di mantenere attivo il gene LCT (che fornisce le informazioni per la sintesi della lattasi) anche dopo l’interruzione dell’allattamento al seno (Deng et al. 2015). Per queste popolazioni il consumo di latte ha garantito, se non un progresso evolutivo, almeno una migliore possibilità di sopravvivenza, grazie alla disponibilità di un alimento nutriente tra le persone che allevavano bestiame (Montgomery et al. 2007). Inoltre, secondo altre ipotesi esplorate, il consumo di latte potrebbe anche aver fornito gli anticorpi per la protezione contro alcune infezioni (es. antrace e criptosporidiosi) (Ingram et al. 2009).

Qualunque sia stata la ragione, latte e latticini vengono ad oggi comunemente consumati in diverse parti del globo e rappresentano un elemento importante della dieta quotidiana. Nel corso dei secoli il consumo di latte si è gradualmente diffuso a livello globale, mentre i dubbi sulla sua sicurezza in relazione alla salute umana sono insorti soltanto negli ultimi anni (Lordan et al. 2018). La maggior parte delle preoccupazioni riguarda il contenuto di acidi grassi saturi presenti nel latte (e nei latticini): queste molecole sono state messe in correlazione con l’aumento del rischio di patologie cardiovascolari, arrivando alla conclusione che gli alimenti ricchi di questi acidi grassi potrebbero, a loro volta, essere ritenuti responsabili dell’insorgenza di questi effetti avversi (Markey et al. 2014). Il latte intero (specialmente quello bovino che rappresenta la tipologia più consumata) può contenere fino al 4% di grassi per 100 ml (più della metà di acidi grassi saturi), un quantitativo considerato “eccessivo” dalla maggior parte delle organizzazioni scientifiche e delle linee guida dietetiche; di conseguenza, ha preso campo la raccomandazione che invita a consumare latticini “a basso contenuto di grassi” (1%) o senza grassi (scremati) e, ad oggi, questo è ancora un consiglio comune (Weaver 2014).

Tuttavia, meta-analisi di studi di coorte sull’assunzione di grassi saturi non hanno mostrato un aumento significativo del rischio cardiovascolare (Siri-Tarino et al. 2010; de Souza et al. 2015), mentre un altro studio ha mostrato che la sostituzione dell’energia proveniente dai grassi saturi con quella proveniente dagli acidi grassi polinsaturi o dai carboidrati (cereali integrali) potrebbe far diminuire il rischio di eventi cardiovascolari associati, mentre gli effetti di una sostituzione con grassi monoinsaturi non sono ancora chiari (Hooper et al. 2020). Nonostante persistano le preoccupazioni riguardanti le malattie cardiovascolari, la nostra recente review “ombrello” delle prove ottenute da studi di coorte suggerisce altro, non mettendo in evidenza alcun impatto negativo sostanziale per quanto riguarda le malattie cardiovascolari e, al contrario, facendo emergere una convincente e possibile associazione inversa con il rischio di ipertensione e di malattie cardiovascolari, rispettivamente (Godos et al. 2020).

Potrebbero esserci diverse spiegazioni per i risultati osservati.

Per prima cosa, l’intero processo di formazione della placca è stato recentemente rivisto, sottolineando che la migrazione del colesterolo LDL (lipoproteine a bassa densità) nella parete arteriosa (intima) è accompagnata dalla sua ossidazione e dall’instaurarsi dell’infiammazione, che sono tutti passaggi cruciali per dare il via alla cascata di eventi che portano allo sviluppo dell’aterosclerosi (Galkina e Ley 2009). Pertanto, la sola assunzione di acidi grassi saturi potrebbe non essere un fattore di rischio sufficientemente capace di far aumentare il colesterolo LDL né di far scatenare l’intero processo aterosclerotico. I latticini contengono lipidi (compresi acidi grassi a catena ramificata) con attività antinfiammatoria, come dimostrato in vari studi in vitro (Taormina et al. 2020). Questa ipotesi è stata valutata grazie a prove ottenute da diversi studi d’intervento che evidenziano come i prodotti lattiero-caseari abbiano effetti neutri o positivi sui marker dell’infiammazione (compresi TNF-α, IL-6, IL-13, MCP-1 e VCAM 1) sia in individui sani che malati (Timon et al., 2020).

Come seconda cosa, va considerata la diversa composizione chimica degli acidi grassi saturi contenuti nel latte, caratterizzati da catene di carbonio più corte (da 4 a 24) rispetto a quelle contenute in altri alimenti ricchi di grassi saturi (come la carne) (Astrup et al. 2020): studi in vitro e in vivo hanno dimostrato che gli acidi grassi a corta e media catena possono avere un’attività biologica diversa da quelli a lunga catena, essendo i primi associati ad un effetto positivo sui fattori di rischio cardiovascolare (compresi, tra gli altri, il miglioramento della tolleranza al glucosio e della sensibilità all’insulina, la diminuzione dei livelli di lipidi nel sangue, l’attenuazione dell’aumento di peso e della formazione di adiposità) (Unger et al.2019).

Come terza cosa, le proteine del siero di latte possono esercitare effetti positivi sui fattori di rischio cardiovascolare, tra cui effetti anti-obesità (aumentando la termogenesi e mantenendo la massa magra), possono migliorare i livelli di glucosio e la risposta insulinica, promuovere l’abbassamento della pressione sanguigna e ridurre la rigidità arteriosa, nonché migliorare il profilo lipidico (Pana et al. 2020). È stato suggerito che questi effetti possano essere mediati, almeno in parte, da aminoacidi a catena ramificata (Bjørnshave e Hermansen 2014). Sono stati proposti altri potenziali meccanismi che coinvolgono oligopeptidi derivati dalle proteine del latte, che si sono dimostrati potenzialmente utili per la protezione a livello cardiovascolare (Punia et al. 2020). Da un punto di vista clinico, nonostante le prove ottenute da studi d’intervento a breve termine evidenziassero benefici per la funzionalità vascolare (indipendentemente dalla pressione sanguigna) e un miglioramento dell’omeostasi glicemica, gli studi a lungo termine apparivano spesso inconcludenti, infatti alcuni mostravano l’esistenza di benefici mentre altri indicavano una mancanza di miglioramento a livello di funzionalità vascolare (Fekete et al. 2016).

Come quarta cosa, i prodotti lattiero-caseari sono una fonte alimentare di calcio e vitamina D. Da un punto di vista meccanicistico, i recettori della vitamina D si trovano nelle cellule del cuore e, durante studi sperimentali, sono stati riscontrati numerosi effetti, come la diminuzione dell’infiammazione a livello cardiaco, dello stress ossidativo, dei cambiamenti energetici metabolici, l’ipertrofia cardiaca, le alterazioni dell’auricola sinistra e del ventricolo sinistro del cuore (con fibrosi e apoptosi) e la disfunzione sistolica (Rai e Agrawal 2017). È stato visto che l’integrazione di calcio influisce potenzialmente sulla mortalità cardiovascolare e sulla mortalità per tutte le cause (tra le donne, ma non tra gli uomini) (Pana et al. 2020), ed insieme alla vitamina D può andare modulare la pressione sanguigna (Morvaridzadeh et al. 2020). Nonostante una recente meta-analisi sull’integrazione con vitamina D per prevenire patologie cardiovascolari abbia prodotto risultati nulli (Barbarawi et al.2019), è importante sottolineare che questi risultati potrebbero non essere applicabili al latte e ai latticini in generale che vengono definiti con il termine “matrice dei latticini”, che comprende l’intero insieme di componenti che possono andare ad esercitare un effetto sinergico sulla salute umana (Thorning et al. 2017). Risultati simili degni di nota sono stati riscontrati durante una meta-analisi sull’integrazione di calcio, che suggeriva come i latticini (senza distinzione di percentuale di grasso) aiutassero nel ridurre la massa grassa e l’IMC, cosa che gli integratori di calcio potrebbero non fare (Hong et al.2020).

Come quinta cosa, è stato riportato che il consumo di latte e di prodotti lattiero-caseari influisce sul microbiota intestinale, con effetti positivi su generi ritenuti benefici (come Lactobacillus e Bifidobacterium) e con l’inibizione di ceppi patogeni (come Bacteroides fragilis) (Aslam et al. 2020). È stato appurato che il microbiota intestinale svolge un ruolo nell’infiammazione cronica sistemica, che viene ritenuta un fattore chiave per il rischio cardiovascolare (Salvucci 2019). Le componenti presenti nel latte e nei latticini (compresa la vitamina D) sono state prese in considerazione per la loro potenziale capacità di modulare il microbiota intestinale (Jiang et al. 2020).

Indipendentemente dal meccanismo proposto, latte e latticini possono giocare un ruolo importante nel contrastare la carenza globale di vitamina D e calcio (Balk et al.2017; Amrein et al.2020), che rappresenta una potenziale minaccia per la salute pubblica in tutto il Mondo (Palacios e Gonzalez 2014). Nel presente numero queste preoccupazioni sono state discusse in due studi nei quali gli autori hanno proposto le potenziali soluzioni per superare queste carenze a livello globale utilizzando i prodotti lattiero-caseari. Uno studio condotto da Weir e colleghi (Weir et al. 2020) analizzava il contenuto di vitamina D nel latte bovino prodotto in Irlanda del Nord e mirava a stimare, utilizzando un modello teorico, se l’arricchimento del latte con tale vitamina potesse aiutare a soddisfare la dose giornaliera raccomandata per questa vitamina nel Regno Unito. Sulla base dei risultati ottenuti, gli autori hanno suggerito che l’arricchimento del latte bovino prodotto nel Regno Unito con vitamina D potrebbe essere una strategia nutrizionale efficace per aumentarne l’assunzione da parte del consumatore, aiutandolo a raggiungere la sua assunzione giornaliera raccomandata. Nello stesso numero, Plante et al. (2020) miravano a stabilire un modello statico di digestione in vitro che tenesse in considerazione i cambiamenti fisiologici associati all’invecchiamento e la bioattività di diverse tipologie di formaggio. I dati di questo studio suggeriscono che nonostante i cambiamenti nell’apparato digerente che si verificano nei soggetti più anziani, il formaggio ha del potenziale come alimento funzionale per questa categoria principalmente attraverso un’elevata capacità antiossidante e di inibizione della α-glucosidasi e grazie a proprietà inibenti la lipasi, con alcune tipologie di formaggio che forse sono più benefiche di altre. Recentemente uno studio del gruppo Global Burden of Disease Dietary ha sottolineato il grave impatto che un’assunzione sub-ottimale di calcio e di latte potrebbe avere sugli anni di vita persi a causa di una patologia per quanto riguarda il rischio di cancro del colon-retto (GBD 2017 Diet Collaborators 2019); tuttavia, non è stato valutato nessun impatto (negativo o positivo) per quanto riguardava il rischio di malattie cardiovascolari. Alla fine sono necessarie ulteriori prove per avvalorare l’esistenza di quest’ultima associazione all’interno della comunità scientifica e, ultimamente, anche tra la popolazione in generale. Il consumo di latticini viene promosso nel contesto di modelli dietetici sani come uno dei fattori chiave per l’apporto di nutrienti essenziali (Zupo et al. 2020). Comunque, le prove attualmente in nostro possesso suggeriscono che un consumo non ottimale di latte e latticini potrebbe pregiudicare l’importanza effettiva dell’introduzione di latticini nel contesto di una dieta sana.

 

Giuseppe Grosso (2021), Are there any concerns about dairy food consumption and cardiovascular health?, International Journal of Food Sciences and Nutrition, 72:4, 429-431, DOI:10.1080/09637486.2021.1921128

Link all’articolo: https://doi.org/10.1080/09637486.2021.1921128

Dichiarazione di trasparenza

Nessun potenziale conflitto di interessi è stato segnalato dall’autore.

 

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