Giovanni Ballarini coglie, con una Fake news sulla spalmabilità del burro, l’occasione per raccontarci la composizione degli acidi grassi nel latte vaccino.

Buttergate, fake news del burro non più spalmabile

Recentemente in Canada ci si è lamentati del fatto che il burro non si scioglie più a temperatura ambiente, ma ha bisogno di temperature più alte. Si è dato così avvio sui social network ad un dibattito sul falso problema della spalmabilità del burro. 

La fusione del burro a temperatura ambiente, e quindi una sua buona spalmabilità, è fondamentale per apprezzare questo alimento nel momento in cui lo portiamo alla bocca. Inoltre, un cambiamento nella temperatura necessaria alla fusione fa sorgere il dubbio di adulterazioni e sofisticazioni nella sua produzione, iniziando dall’alimentazione degli animali. Si sono infatti sospettate diete per le mucche da latte contenenti olio di palma, olio non più gradito ad una parte dei consumatori. Alcune persone hanno ritenuto di essere state imbrogliate perché questo olio, uscito dalla porta della loro alimentazione, sarebbe rientrato dalla finestra con il burro fasullo, che non si scioglie più a temperatura ambiente. Da qui il cosiddetto “buttergate” o scandalo del burro non più spalmabile, uno scandalo che si è rivelato una bufala, soprattutto per quanto riguarda il ruolo dell’olio di palma, ma che ci dà la possibilità di conoscere come si formano i grassi del burro.

Punto di fusione e spalmabilità del burro

Il punto di fusione del grasso del latte è in media compreso tra 32 e i 39°C mentre il punto di solidificazione è compreso tra 20 e 24°C. I punti di fusione e solidificazione variano notevolmente in funzione dell’alimentazione degli animali da latte, e sono anche influenzati dagli acidi grassi insaturi apportati con la dieta delle bovine, determinando la spalmabilità della crema e del burro. La variabilità dei punti di fusione e di solidificazione dipende dal fatto che il grasso del latte è una miscela di trigliceridi a diverso peso molecolare e grado d’insaturazione, ed il punto di fusione dei trigliceridi è, con buona approssimazione, collegato a quello dei principali acidi grassi che li compongono. L’acido palmitico e l’acido stearico innalzano il punto di fusione, mentre gli acidi grassi monoinsaturi, polinsaturi e quelli a corta catena lo abbassano. La dieta degli animali è importante, ma la mammella, attraverso l’azione dell’enzima SCD, riesce a modulare la fluidità riducendo la quantità di acido stearico e innalzando quella dell’oleico, ed in generale si ritiene che l’impiego di lipidi insaturi nella dieta riduca il punto di fusione e di solidificazione, rendendo più spalmabile il burro.

Grassi nell’alimentazione dei ruminanti

La digestione ed il metabolismo dei grassi differiscono nelle diverse specie animali, ed in particolare tra ruminanti e non ruminanti. Negli animali non ruminanti la digeribilità intestinale di grassi assorbiti nell’intestino dipende largamente dal tipo di grassi presenti nella loro dieta. Nei ruminanti, invece, prima dell’assorbimento intestinale, i grassi alimentari sono idrogenati nel rumine e per questo gli acidi grassi assorbiti, in diversa misura, sono più saturi rispetto a quelli presenti nella razione alimentare. Nell’alimentazione dei ruminanti al pascolo limitata è la presenza di grassi mentre nei ruminanti allevati l’aggiunta di grassi della dieta diminuisce le proteine del latte e ha effetti variabili sul grasso del latte, a seconda del tipo di grassi somministrati e del microbiota ruminale. Importante è anche la forma nella quale i grassi alimentari sono presentati, e in particolare se sono incapsulati in modo tale da superare il rumine e le sue fermentazioni (cosiddetti grassi by-pass). In questo caso l’effetto dei grassi della dieta diviene più simile a quello che avviene negli animali non ruminanti.

A livello del rumine i grassi sono trasformati dalla microflora per cui la quantità e la composizione del grasso che arriva nell’intestino, dove è assorbito, sono diverse da quelle presenti nella dieta. Inoltre, i grassi hanno effetti negativi sull’attività ruminale, principalmente sulla degradazione dei carboidrati, per cui vi sono anche influenze sulla produzione di proteine da parte del microbiota ruminale e, di riflesso, sulla nutrizione dell’animale e sulle sue produzioni (carne e latte). A livello ruminale la flora microbica interviene in complessi processi di lipolisi, idrogenazione, sintesi e incorporazione degli acidi grassi nella flora microbica stessa. I lipidi alimentari sono ampiamente idrolizzati nel rumine da parte di enzimi di diverse classi di batteri e protozoi, con la formazione di acidi grassi liberi, sui quali avvengono processi d’idrogenazione e isomerizzazione i cui prodotti finali sono diversi (i principali sono l’acido stearico e l’acido trans-vaccenico). La microflora batterica ruminale da parte sua è in grado di sintetizzare un’ampia varietà di acidi grassi, e quelli con gli atomi 15 e 17 C sono i più caratteristici, come l’isobutirrato e l’isovalerato. Sempre dalla microflora ruminale i grassi alimentari divengono lipidi strutturali, e sono esterificati come fosfolipidi ed esteri dello sterolo. Vengono anche accumulati in goccioline, particolarmente ricche di acido linoleico che sfugge all’idrogenazione e arriva nell’intestino dove è assorbito.

Grassi alimentari e grassi del latte

La maggior parte dei lipidi presenti negli alimenti dei ruminanti è costituita da trigliceridi insaturi a lunga catena, che sono idrolizzati nel rumine dove il glicerolo è utilizzato come fonte di energia. Al contrario, gli acidi grassi sono idrogenati da parte di numerosi ceppi batterici, in particolare dai cellulosolitici, generando acido stearico come prodotto finale. Il motivo per cui i batteri del rumine trasformano i grassi saturandoli, è dovuto al fatto che gli acidi grassi insaturi alterano la fluidità di membrana microbica, distruggono le proteine di trasporto e reagiscono con il magnesio e calcio batterico per formare dei saponi. I batteri cellulosolitici risentono particolarmente degli effetti negativi degli acidi grassi insaturi, e per questo il processo di bio-idrogenazione può essere considerato un meccanismo di difesa dei batteri, con la produzione finale dell’acido stearico. La produzione di acido rumenico (CLA – cis-9, trans-11) avviene molto velocemente da un gruppo di batteri di cui fanno parte i butirrivibrio, i clostridi e le spirochete, mentre la saturazione ad acido stearico (C18:0) avviene più lentamente da parte di diversi microorganismi. In conclusione, acidi grassi saturi, come quelli contenuti in buona parte nell’olio di palma, sono sicuramente prodotti a livello ruminale e sono qui naturalmente presenti.

Sintesi dei grassi del latte e del burro

Il 60% circa degli acidi grassi dei trigliceridi del latte deriva dal sangue, mentre la rimanente parte è prodotta nella mammella a partire dall’acetato e dal β-idrossibutirrato che provengono dalle fermentazioni del rumine. La mammella sintetizza completamente gli acidi grassi di lunghezza inferiore o uguale a 14 atomi di carbonio, e anche la metà dell’acido palmitico (16 atomi di carbonio). Nella mammella, diversamente dagli altri tessuti della bovina, l’acido palmitico non può essere allungato ad acido stearico ma può essere convertito ad acido oleico; è attraverso questo processo che la mammella riesce a modulare la fluidità del latte, e quindi la spalmabilità del burro.

Nella formazione del grasso del latte, e quindi del burro, il contributo dei lipidi di origine alimentare è variabile e dipende dalle caratteristiche della dieta. In generale, nelle alimentazioni basate su foraggi, cereali e farine d’estrazione, i lipidi sono in quantità comprese entro il 3-3,5% della sostanza secca, e anche quando si aggiungono alimenti ricchi di grassi questi si mantengono entro il 5,5- 6%. I grassi che derivano dall’assorbimento intestinale comprendono anche quelli sintetizzati dai microrganismi del rumine, o da questi modificati idrogenando gli acidi grassi insaturi degli alimenti.

Nella mammella la sintesi dei grassi è condizionata dagli acidi grassi disponibili. Una presenza nel sangue di acido acetico e butirrico derivati dalle fermentazioni ruminali comporta un’intensa sintesi mammaria di trigliceridi, mentre acidi grassi insaturi a lunga catena, che originano dagli alimenti o dai grassi organici di riserva, inibiscono le sintesi degli acidi grassi a corta catena. Di conseguenza, si comprende la difficoltà di aumentare la quantità di grasso nel latte attraverso l’aggiunta di grassi nell’alimentazione che, al più, possono essere usati come fonti di energia per la sintesi di una maggiore quantità di latte. La presenza di alcuni coniugati dell’acido linoleico agisce direttamente sull’attività enzimatica e, in questo senso, possono essere spiegate le diminuzioni della percentuale di grasso nel latte quando sono presenti intermedi del ciclo di bio-idrogenazione ruminale dei grassi insaturi. Importante per la quantità di grasso nel latte è invece la genetica degli animali, il periodo di lattazione ecc.

Grassi nel latte e spalmabilità del burro

Odiernamente si ritiene che per avere latte con grasso in quantità e di qualità ottimali la dieta degli animali debba basarsi su foraggi con un minimo del 40-50% di sostanza secca della razione, fibra neutro detersa superiore al 28-30% della sostanza secca, prudente uso di amido degradabile e limitando l’inclusione di acidi grassi insaturi (semi oleosi, sottoprodotti ricchi di lipidi ad elevato punto di insaturazione) entro l’1,5-2% della sostanza secca della razione. Negli ultimi decenni, l’uso del grasso nelle diete degli animali, e tra questi nei bovini da latte, è stato determinato dal loro effetto sulla produzione, in relazione ai criteri economici. Varie soluzioni sono state proposte per migliorarne l’utilizzo, tra cui la protezione dei lipidi al fine di limitare i disturbi della degradazione dei carboidrati, e considerando le richieste dei consumatori di trovare latte e burro contenenti Omega-3 e Acido Linoleico Coniugato.

Nell’alimentazione dei bovini da latte sono presenti limitate quantità di grassi, e tra questi è possibile trovare anche l’olio di palma, che contiene circa per metà acidi grassi saturi, quelli più fisiologici per il metabolismo ruminale. Presumibilmente ciò ha portato ad ipotizzare che potrebbe esserci un’associazione tra questo grasso e la consistenza del burro, dimenticando che il latte vaccino, come il latte materno umano, contiene acido palmitico, un grasso saturo, indipendentemente dal fatto che le mucche mangino alimenti a base di olio palma o meno.

Pseudonotizia del burro che non si spalma

Come detto prima, nel Québec canadese si è sparsa la notizia che il burro a temperatura ambiente è divenuto più duro e non spalmabile, attribuendo questa anomalia all’inserimento di olio di palma nella dieta delle vacche. Tuttavia, le ricerche dimostrano che nel Québec il profilo degli acidi grassi del latte di vacca non è cambiato e che il contenuto di acido palmitico del latte ha differenze inferiori all’1% in mandrie che nutrivano o non nutrivano grassi supplementari (33 contro 33,5 per cento).

Ancor più importante è che l’idea che il burro sia diventato più duro e meno spalmabile a temperatura ambiente, rispetto al passato, è presente solo in Canada e non in altri luoghi. Inoltre, i millantati cambiamenti di consistenza del burro non sono stati documentati da chiari ed incontrovertibili elementi analitici di durezza, temperature di punto di fusione e di solidificazione, ma solo su opinioni riferite e diffuse sulla linea del “si dice”, e neppure da valutazioni sensoriali basate su panel di assaggiatori correttamente eseguito.

Se vogliamo sapere se il burro è duro o più duro di una volta bisogna misurarlo, prova non è difficile da fare ma che in questo caso non è stata effettuata. Non resta da ritenere che il burro duro e non spalmabile del Canada provocato dall’olio di palma dato da mangiare alle vacche sia una pseudonotizia o, come si usa dire, un’ulteriore, nuova Fake News.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.