Farine a base di insetto nell’alimentazione dei ruminanti: effetti sulle fermentazioni ruminali in vitro e la bioidrogenazione dei lipidi, una nuova potenziale alternativa sostenibile alle tradizionali farine vegetali.

L’impatto ambientale negativo derivante dall’uso di farine di origine vegetale (quali la farina di estrazione di soia) nell’alimentazione dei ruminanti è oggetto di attenzione da parte del mondo accademico e tecnico di settore. Tali farine competono altresì per la gestione dei terreni agricoli e per l’acqua altrimenti destinati all’alimentazione umana, risultando tra gli attori principali della cosiddetta “food-feed competition”.

Le proteine derivanti dalle farine di insetto sono oggi considerate tra le fonti proteiche innovative più promettenti e sostenibili per l’alimentazione dei monogastrici, in quanto possono essere ricavate seguendo il principio “zero sprechi” del modello di Economia Circolare. Tuttavia, esistono pochissimi studi che analizzino gli effetti di un’alimentazione che includa tali farine nei ruminanti. Ciò è dovuto principalmente ai divieti imposti dalle normative vigenti. Infatti, in Europa l’utilizzo degli insetti nell’alimentazione degli animali da reddito è consentito esclusivamente nei settori dell’acquacoltura, dell’avicoltura e della suinicoltura (Commissione Europea, 2017; 2021), mentre è vietato nei ruminanti. Questo divieto è stato emesso per contenere la diffusione dell’Encefalite Spongiforme Bovina (più conosciuta come “malattia della mucca pazza”), comparsa in diversi paesi del mondo alla fine degli anni ’90 del secolo scorso a causa dell’utilizzo di proteine provenienti da scarti di macellazione che venivano trattate e trasformate per l’alimentazione bovina. Si tratta di una malattia incurabile e fatale, che colpisce il sistema nervoso e che può essere trasmessa all’uomo (Commissione Europea, 2001). La stessa restrizione legislativa si applica anche in altri paesi extra-europei, quali Stati Uniti, Canada, Argentina e Giappone. Tuttavia, la normativa che regola l’utilizzo degli insetti in sistemi di produzione del bestiame non è unanime a livello mondiale. Infatti, molti stati asiatici e africani non impongono limitazioni all’uso degli insetti nell’alimentazione dei ruminanti. Tenendo in considerazione che la popolazione mondiale è in fase di crescita, e che gran parte di questa crescita è prevista proprio nei paesi in cui non si applicano limitazioni all’uso delle farine di insetto nell’alimentazione dei ruminanti, la disponibilità di dati scientifici al riguardo appare indifferibile e di estrema importanza.

Il Dipartimento di Scienze Veterinarie e il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino, in collaborazione con l’INRAE (Institut National de Recherche pour l’Agriculture, l’Alimentation et l’Environnement – France), ha testato in vitro otto diverse specie di insetto (Acheta domesticus L.; Alphitobius diaperinus Panzer; Blatta lateralis Walker; Grylloides sigillatus Walker; Gryllus bimaculatus De Geer; Hermetia illucens L.; Musca domestica L. e Tenebrio molitor L.) come potenziali fonti proteiche e lipidiche nella nutrizione dei ruminanti. Le caratteristiche delle fermentazioni ruminali in vitro e della bioidrogenazione ruminale degli acidi grassi sono state misurate e confrontate con quelle di tre farine tradizionali a base vegetale (farina di soia, di girasole e di colza) e una farina a base animale (farina di pesce).

I risultati dell’analisi chimico-bromatologica hanno indicato un contenuto di proteina grezza delle farine di insetto (34 – 51 g/100 g di sostanza secca) comparabile a quello delle farine vegetali. Le fonti proteiche normalmente utilizzate nell’alimentazione dei ruminanti sono caratterizzate da un basso contenuto lipidico. Diversamente, gli insetti testati hanno presentato un contenuto di estratto etereo piuttosto alto (20 – 39 g/100 g di sostanza secca). Per quanto concerne i risultati relativi alla bioidrogenazione ruminale, è interessante notare come la maggior parte delle farine di insetto analizzate abbia mantenuto un buon livello di acidi grassi insaturi a livello ruminale a seguito dei processi di bioidrogenazione. In particolare, è risultato elevato il contenuto di acido linoleico (fino a 22.3 g/100 g di acidi grassi totali nel caso di A. domesticus), acido grasso essenziale noto per i suoi effetti benefici sulla salute umana. Questa caratteristica rende le farine di insetto potenzialmente adatte al fine di aumentare la densità energetica delle diete per ruminanti e/o per migliorare la qualità nutraceutica dei prodotti di origine animale derivati, quali latte, formaggi o carne. 

Elevati livelli di estratto etereo possono altresì determinare la parziale inibizione dei microorganismi ruminali responsabili della produzione di metano (uno dei gas maggiormente coinvolti nella produzione degli effetti serra), ma anche una diminuzione della digeribilità dei carboidrati. Infatti, dai risultati delle analisi delle fermentazioni in vitro, le farine di insetto hanno determinato una produzione totale di gas (1,48 – 2,42 mmol/g di sostanza secca), nonché di metano (0,24 – 0,52 mmol/g di sostanza secca), significativamente inferiore rispetto ai valori osservati con le farine vegetali (rispettivamente 3,5 – 5,4 e 0,65 – 1,16 mmol/g di sostanza secca). Gli autori di questo studio interpretano la riduzione della produzione totale di gas come una possibile conseguenza dell’elevato contenuto di estratto etereo e proteina grezza nelle farine di insetto testate; infatti, è noto che le proteine agiscono come tampone innalzando il livello del pH ruminale. Inoltre, quasi tutte le farine di insetto testate hanno determinato una produzione di ammoniaca all’interno del rumine inferiore rispetto alle farine convenzionali testate. Solitamente, la quantità di ammoniaca prodotta è legata al contenuto proteico dell’alimento analizzato; tuttavia, nonostante le farine di insetto abbiano mostrato buoni valori di proteina grezza, si è osservata una bassa degradazione a livello ruminale. Gli autori di questo studio hanno ipotizzato che questo risultato possa essere dovuto, in parte, alla presenza di una significativa porzione di proteine associate chimicamente alla chitina, un polisaccaride naturalmente presente nell’esoscheletro degli insetti e dei crostacei. Gli autori, inoltre, hanno ipotizzato che la presenza di chitina (5,1 – 7,8 g/100 g di sostanza secca) possa aver contribuito alla bassa digeribilità totale della sostanza organica misurata per le farine di insetto (0,24 – 0,50 g/g), essendo la stessa chitina, al pari della lignina, non degradabile dalla microflora ruminale. Una bassa digeribilità a livello ruminale potrebbe essere considerata vantaggiosa se associata a un’elevata digeribilità a livello intestinale, ma ulteriori studi si rendono necessari per valutare quest’ultimo aspetto. 

Le farine di insetto possono anche essere ottenute da insetti chimicamente o meccanicamente sgrassati. Tale processo riduce il contenuto di estratto etereo nelle farine di insetto, rendendo più facile la loro inclusione nelle razioni. Gli autori di questo studio stanno al momento valutando, in vitro, gli effetti sulle fermentazioni ruminali e la bioidrogenazione dei lipidi di farine di insetto degrassate.

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico, in cui è riportata tutta la letteratura citata: Renna M., Coppa M., Lussiana C., Le Morvan A., Gasco L., Maxin G. (2022). Full-fat insect meals in ruminant nutrition: in vitro rumen fermentation characteristics and lipid biohydrogenation. Journal of Animal Science and Biotechnology. https://doi.org/10.1186/s40104-022-00792-2.

Autori: Manuela Renna, Lara Rastello & Laura Gasco

Sotto la supervisione del Gruppo Editoriale ASPA – Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Antonio Gallo, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra.