Formaggi romani di Marziale

Che gli antichi romani conoscessero e amassero i formaggi è indubbio, ma quali erano i preferiti nel periodo di massimo splendore della loro cucina imperiale del I secolo? Per rispondere a questo quesito, un aiuto ci viene da Marco Valerio Marziale (Marcus Valerius Martialis, nato in Spagna a Augusta Bilbilis il 1º marzo 38 o 41 d. C. e morto a Augusta Bilbilis nel 104 d. C.), autore di diversi epigrammi nei quali cita anche i formaggi e oggetto di un’attenta e approfondita indagine semantica da parte di Paola Caruso (Caruso P. – Marziale 13, 30-33. Caseus: da alimento barbarico a gradito cadeau in Xenia – In: Tra letteratura di consumo e consumi in letteratura: Xenia e Apophoreta di Marziale (a cura di A. Borgo) – Atti dei Seminari di Dipartimento. Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica “F. Arnaldi” dell’Università degli Studi di Napoli 2014). I sei formaggi citati da Marziale meritano una rapida attenzione e alcune considerazioni dopo una breve premessa.

Formaggi rustici

Come fa notare Paola Caruso, i Romani avevano un certo pudore nell’inserire in un testo letterario le parole che si riferivano al cibo, e un alimento come il caseus poco si prestava a divenire oggetto di poesia anche perché, a quanto pare, non era presente sulle mense dei ricchi, mentre lo si trovava in quelle del popolo, tra cui quella di Marziale.

Non ci si deve stupire il fatto che il formaggio sia assente nella cena di Trimalcione e che manchi quasi del tutto anche dal ricettario di Apicio, perché pare che il caseus trovasse più applicazioni in medicina che in cucina. Catone lo nomina quindici volte, soprattutto come ingrediente di ricette campagnole o per la sua lavorazione. Varrone ne spiega invece l’etimologia. Tra i poeti latini la parola caseus ricorre un numero molto piccolo di volte: quattro volte in Plauto, nove in Marziale e una volta nelle Bucoliche di Virgilio. In un contesto agreste il caseus è citato da Tibullo e naturalmente è ingrediente presente nello pseudo-virgiliano Moretum. Essendo un cibo frugale, semplice e in un contesto di barbarie e di inciviltà, il formaggio ha il suo campione in Polifemo, il Ciclope, pastore e casaro del tutto diverso da un uomo mangiatore di pane. In un contesto pastorale ed arcaico, i luoghi di Ovidio (Fasti 4) in cui è nominato il caseus sono quelli dei ludi Megalenses della Magna Mater e nella celebrazione dei Palilia. Stazio inserisce il caseus in una lista di cibi all’interno di un componimento scherzoso delle Silvae.

I Romani collegano i formaggi ad ambienti agresti di nomadi e di barbari in cui l’agricoltura è assente. Cesare e Tacito descrivono i Germani e i popoli briganti (in genere pastori e razziatori), i Liguri duri atque agrestes e i Sanniti montani atque agrestes, due dei popoli citati da Plinio, non a caso come produttori del formaggio apprezzato a Roma. La rudezza dell’alimentazione a base di caseus è testimoniata nell’Historia Augusta dalla notizia che Adriano volentieri mangiava il rancio militare, consistente in lardo, formaggio e posca, il vino acidulo dei soldati. Ancora la Historia Augusta attesta il grande consumo, la varietà e l’appetibilità del formaggio, che si rivela addirittura letale per l’imperatore Antonino Pio, il quale morì dopo averne fatto indigestione.

Formaggi sulla tavola romana

I popoli montani presenti in Italia hanno un carattere simile a quello dei Germani e dei Galli barbari, con costumi che i Romani giudicavano  bellicosi e contraddistinti da violenza e furti (latrocinium), interpretati come conseguenza dell’asprezza del clima e della povertà dei suoli. Pastorizia, rudezza e ambiente montano costituiscono di conseguenza associazioni naturali. Si comprende quindi perché i fornitori di formaggio di Roma imperiale nominati da Plinio e da Marziale fossero popoli montani: gli Etruschi di Luni, i Vestini delle montagne d’Abruzzo e i Trebulani. In questa geografia gastronomica dei formaggi va aggiunto il graveolente formaggio di Tolosa e quello di Sarsina. Nelle occorrenze diverse da quelle contenute nella raccolta di Xenia, il caseus è sempre connesso a contesti poveri o è nominato nelle opere letterarie latine in contesti umili o scherzosi e da poeti, come Plauto e Marziale, che utilizzano un linguaggio disinvolto o addirittura trasgressivo.

Le più importanti citazioni che Marziale fa di formaggi sono negli epigrammi di Xenia (I doni per gli ospiti) nei quali i prodotti alimentari sono presentati in un’ordinata esposizione con un preciso modello di riferimento. I bigliettini poetici che accompagnano le vivande procedono di pari passo con le portate di un convito: dagli stuzzichini della gustatio e degli ientacula si passa poi alle portate importanti dei fercula e alle secundae mensae. I formaggi (casei) fanno parte degli antipasti (gustatio) e sono collocati dopo i legumina e gli holera e prima delle portate importanti, ma possono anche servire come prandia destinati agli schiavi o al posto della carne e prima delle uova, che tradizionalmente aprivano il banchetto. Quali siano le preferenze gastronomiche dei romani del primo secolo dell’era corrente lo dice il poeta Marco Valerio Marziale nel menù con il quale invita a cena Giulio Ceriale (Cenabis belle, Iuli Cerialis, apud me…. Liber undecimus, LII), nel quale gli dice quanto segue: “Per prima cosa, per stuzzicare lo stomaco, ti sarà servita la lattuga, insieme ai filetti tagliati di porro; poi un tonno conservato, più grande di uno sgombro, ricoperto da uova accompagnate da foglie di ruta; non mancheranno uova cotte sotto uno strato di cenere. Né il formaggio rappreso nei forni del Velabro, né le olive che hanno conosciuto il freddo del Piceno. Basta per l’antipasto. Vuoi sapere il resto? Mentirò per farti venire: pesci, molluschi, tette di scrofa, uccelli grassi di cortile e di palude, che Stella serve soltanto nelle occasioni particolari”.

Quattro sono i tipi di caseus considerati da Marziale negli Xenia che comprendono le principali tipologie di formaggi italici: il formaggio forse bovino in grandi forme di Luni, il pecorino abruzzese forte e nutriente, il caprino affumicato a Roma, nella zona del Velabro, e il formaggio di Trebula, migliore se riscaldato sulla brace o con l’acqua calda. L’ordine di presentazione sembra ricalcare quello delle specie che producono il formaggio (bubuli, ovilli, caprini) con l’aggiunta dei casei Trebulani che potrebbero essere formaggi a pasta filata. Nel libro XII degli epigrammi e in diversi contesti Marziale cita anche i formaggi di Tolosa e di Sarsina.

Formaggio di Luni

Liber XIII XENIA – XXX – Caseus Lunensis.

Caseus Etruscae signatus imagine Lunae

Praestabit pueris prandia mille tuis.

Il formaggio di Luni – Il formaggio segnato dal marchio della etrusca Luni/Fornirà mille pranzi ai tuoi schiavetti. Un formaggio con forme enormi che arrivano a Roma via mare con la denominazione del porto nel quale sono state imbarcate, ovvero Luni, al confine fra Liguria ed Etruria, e che può servire per una colazione di lavoro. Resta il dubbio sul fatto che fosse un formaggio di latte ovicaprino o bovino, come può far supporre la dimensione delle forme. Inoltre, non sappiamo se questo formaggio fosse prodotto nei territori vicini al porto d’imbarco o piuttosto in una più ampia area che potrebbe arrivare alla pianura padana facilmente raggiungibile attraverso alcuni passi appenninici. In quest’ultimo caso il formaggio segnato con l’immagine della Luna etrusca, è una specie di moderna DOP.

Formaggio di pecora dei Vestini

Liber XIII XENIA – XXXI – Caseus Vestinus.

Si sine carne voles ientacula sumere frugi,

Haec tibi Vestino de grege massa venit.

Il formaggio dei Vestini – Se vorrai fare una colazione leggera senza carne, /ecco il formaggio che viene dalle pecore vestine. Il formaggio prodotto dai Vestini richiama il carattere di una popolazione italica forte e rude, gente di montagna di origine osco-sabella, antico popolo italico che occupa la regione attorno al Gran Sasso, toccando il Mare Adriatico per il breve tratto di costa tra le foci dei fiumi Pescara e Saline. I Vestini sono famosi per la loro abilità nel combattimento e basano la propria economia sull’agricoltura, ma soprattutto sulla pastorizia e sul commercio. Interessante è il suggerimento che al posto della carne per gli spuntini veloci (ientacula) si possono usare bocconcini ugualmente nutrienti di pecorino abruzzese.

Formaggio affumicato

Liber XIII XENIA – XXXII – Caseus fumosus.

Non quemcumque focum nec fumum caseus omnem

Sed Velabrensem qui bibit, ille sapit.

Il formaggio affumicato – Non sa di qualunque fumo, di qualunque fuoco/ Il formaggio che ha bevuto la fiamma del Velabro. La tipicità non sta tanto nel formaggio, quanto nell’affumicatura che è eseguita in un particolare luogo, il Velabro (Velabrum), un’area pianeggiante di Roma, situata tra il fiume Tevere e il Foro Romano, tra i colli del Campidoglio e del Palatino, contigua al Foro Boario e al vicus Tuscus (borgo etrusco o via etrusca). Un luogo, il Velabro, dal nome incerto che può essere riportato alla ventilazione del grano, o da vehere (trasportare) o velaturam facere (traghettare) poiché in caso di straripamento del fiume quel luogo doveva essere attraversato con le barche, o anche dall’uso di coprire con vele il percorso del corteo trionfale, che comprendeva anche il Velabro. Nell’area sono presenti attività commerciali e produttive soprattutto alimentari e tra queste anche l’affumicatura dei formaggi, pratica che ne assicura una migliore conservazione e l’acquisizione di aromi particolari, anche in relazione al tipo di legno usato. Quali tipi di formaggi e di quale origine? Forse diverse, ma qui è più importante la loro lavorazione con affumicatura.

Formaggi trebulani

Liber XIII XENIA – XXXIII – Casei Trebulani.

Trebula nos genuit; commendat gratia duplex,

Sive levi flamma sive domamur aqua.

I formaggi trebulani – Trebula ci ha visti nascere: doppio piacere che diamo, / sia cotti a fuoco lento sia conservati nell’acqua. A quale Trebula Marziale si riferisce? Dalle attuali conoscenze archeologiche il nome Trebula, diffuso in area italica, si può riferire a siti del Lazio (Trebula Mutuesca nei pressi di Monteleone Sabino e Trebula Suffenas sita a sud-est di Tivoli), della Campania (Trebula Balliensis, odierna Treglia, frazione del Comune di Pontelatone, in provincia di Caserta) e in Abruzzo (Trebula nel comune di Quadri). La conservazione in acqua e la cottura a fuoco lento è un indizio per identificare l’origine del formaggio di Marziale, perché potrebbe indicare un formaggio a pasta filata che diventa più gradevole al palato se fatto ammorbidire sulla brace o in acqua calda, come già rileva Columella. Ancora oggi i formaggi a pasta filata come caciocavallo, provola e mozzarelle sono una produzione tipica nell’agro Casertano. In questo caso si tratterebbe di un formaggio proveniente da Trebula Balliensis che, durante la seconda guerra punica aveva preso le parti di Annibale insieme a Capua e ad altri centri campani, un formaggio quindi che avrebbe allietato Annibale nei suoi ozi e che poi avrebbe avuto ulteriore fortuna con l’arrivo delle bufale forse portate in Campania dai Longobardi.

Formaggio di Tolosa

Liber XII – XXXII – Casei Tolosatis.

Nec quadra deerat casei Tolosatis

E non mancava un quadrato formaggio di Tolosa. Tolosa fu la capitale dei Volci Tectosagi. Nel 280 a.C., alcuni Tectosagi parteciparono alla spedizione celtica nei Balcani. I Romani la conquistarono tra il 120 e il 100 a.C. dandole il nome di Tolosa. Nulla sappiamo di questi formaggi se non che avevano un’insolita forma quadrata, denominazione che nulla ha a che fare con il quartirolo, formaggio di produzione stagionale e così denominato perché prodotto alla fine dell’estate con il latte delle vacche nutrite con foraggi del quarto taglio. Quasi certamente i formaggi tolosani arrivavano a Roma via mare, come altri alimenti che concorrevano a nutrire una città che si stima avesse circa un milione di abitanti.

Formaggio di Sarsina

Liber I – XLIII

Rustica lactantes misit Sassina metas

I formaggi lattosi mandati da Sarsina contadina

Liber III – LVIII

Metamque lactis Sassinate de silva

La forma di latte che viene dalla foresta di Sarsina

Sarsina si trova sull’Appennino tosco-romagnolo ed ha un nome antico, probabilmente di origine umbra, come lo è la città stessa, le cui origini risalirebbero indietro nel tempo. E’ patria del grande commediografo romano Tito Maccio Plauto. Durante l’età imperiale, la cittadina ha una solida economia silvo-pastorale e rapporti commerciali con Roma e con il porto di Ravenna, testimoniati anche dalla presenza nei testi sepolcrali di riferimenti alla corporazione di muliones (mulattieri) che testimoniano il considerevole volume d’affari raggiunto dai trasporti, tra i quali possiamo considerare anche i formaggi delle attività silvo-pastorali, quindi di pecora (Sarsina contadina) o di capra (foresta di Sarsina).

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.