Antichi formaggi in una valle svizzera
Pane fresco, vino vecchio, moglie giovane e formaggio stagionato recita uno dei tanti proverbi sui formaggi; ma quanto lunga deve essere la stagionatura? Certamente non come quella di centocinquanta anni di un formaggio conservato, assieme ad altri, a Grimentz, frazione del comune svizzero di Anniviers. Ci troviamo nel Canton Vallese (distretto di Sierre) che per la sua particolare bellezza architettonica, la sua storia e la posizione privilegiata fa parte dal 2016 dei borghi più belli della Svizzera, e dove si trova anche la collezione di formaggi lasciati invecchiare per una strana consuetudine. La collezione di vecchissimi formaggi di Grimentz conta settantadue forme e potrebbe essere la più datata del mondo, come ritiene Jean-Jacques Zufferey, depositario della collezione ereditata dalla sua famiglia e capo dell’ufficio cantonale dell’economia animale. La longevità dei formaggi a pasta dura è nota; si conoscono forme di Parmigiano Reggiano che raggiungono anche i dieci anni ma perché questi formaggi, uno dei quali risalente al 1875, non sono mai stati mangiati? La risposta a questo interrogativo è stata data dall’antropologa svizzera Yvonne Preiswerk (1937 – 1999), che per la prima volta arriva a collegare questi formaggi centenari a rituali funebri che ricordano quelli dell’antico Egitto.
Formaggi e riti funebri
Nella Val d’Anniviers, tra le più alte vette delle Alpi svizzere che isolano valli e villaggi, fino a poco tempo fa vi erano tradizioni uniche e tra queste un tipo speciale di cattolicesimo di montagna (Yvonne Preiswerk – Death, the Priest, the Woman and the Cow: Chronicle of Research in the Village – 1992) con caratteri ereditati da pratiche pagane, che sono state ritenute derivare dagli Unni, e con rituali che coinvolgevano morte e formaggio. In questi ambienti alpini le stagioni calde sono brevi e gli inverni sono lunghi. Per sopravvivere gli abitanti devono conservare cibo, allevando bovini adattati al teritorio, portandoli al pascolo in estate e trasformando l’abbondante latte estivo in grandi forme di formaggio che nell’aria secca e fredda di montagna maturano lentamente, anche per anni. Secondo l’antropologa Yvonne Preiswerk in queste condizioni i latticini assumono significati e funzioni diverse nelle valli delle Alpi, secondo una cultura incentrata sui bovini, che attraversa tutti i momenti, gli oggetti e gli eventi del contadino di montagna, e che si manifesta anche in elaborati funerali che si compiono nella casa del defunto. Dopo una morte, le campane delle vacche del defunto sono rimosse in modo che gli animali possano piangere, il defunto è vestito anche con robusti stivali, poiché si crede che i fantasmi vagano per i ghiacciai dopo il tramonto, e nella bara si mettono una bottiglia di vino, pane e formaggio. Gli stessi alimenti fanno parte di un pasto funerario che serve a ricostruire la comunità dopo la scomparsa di un suo componente. Per questo pasto funebre è necessario avere un grande formaggio speciale, alimento fondamentale e identitario. Questo richiede una pianificazione anticipata e ogni persona di un certo rilievo per tempo provvede ad avere una forma di formaggio da servire al proprio funerale mettendone una parte nella bara e a conservare il restante per mangiarlo durante il banchetto funebre con il vin des glaciers, il vino locale.
Riduzione e scomparsa dei riti tradizionali
Durante il XX secolo le popolazioni alpine si modernizzano, scompaiono l’economia e i riti di sussistenza e funerari. Nella bara non si mettono più alimenti, i funerali non si svolgono più nelle case e soprattutto scompare il pranzo o la cena funebre. In questo modo in molte cantine della vallata rimangono forme di formaggio destinate ai funerali ma mai usate. Ora sono state raccolte da Jean-Jacques Zufferey in una sua collezione privata. La decisione di raccoglierli in una collezione avviene quando anche la sua famiglia abbandona gli antichi riti funerari e nel 1944 alla morte di sua nonna si scoprono due vecchie forme di formaggio che non furono usate. Invece di mangiare i formaggi con anno di produzione del 1870, il padre di Zufferey decide di conservarli, e negli anni successivi la famiglia ha aggiunto forme di volta in volta, costruendo una collezione testimone di una tradizione scomparsa e che contiene quelle che potrebbero essere alcune delle più antiche forme di formaggio del mondo.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.