Giovanni Ballarini analizza l’attuale problematica del consumo eccessivo di sale nella dieta dei popoli industrializzati, e il tentativo di ridurlo attraverso un cambiamento tecnologico nella produzione di formaggi. 

Sale nei formaggi

Migliaia di anni fa la nostra specie ha iniziato ad addomesticare alcuni ruminanti dai quali otteneva il latte che trasformava in formaggi, alimenti scarsi ma preziosi, usati con parsimonia ed associati soprattutto ad alimenti vegetali, primo fra tutti il pane. In questi ultimi tempi i formaggi, anche attraverso la loro quasi infinita diversità di gusti e la loro grande duttilità, sono entrati in larga misura nella moderna alimentazione dei popoli industrializzati.

Da molto tempo alcuni tipi di questi prodotti, come altri alimenti di origine animale, sono lavorati e conservati con il sale, agente efficace per il mantenimento del cibo e salutare per un uomo che con un’intensa attività fisica ed una forte sudorazione ha bisogno di una reintegrazione di questo minerale. Il sale è un ottimo appetizzante e ben bilancia l’abbondanza di potassio di una passata alimentazione prevalentemente vegetariana. Il rischio maggiore in un lontano passato era la scarsità di sale e la sua necessità era tanto forte da portare all’utilizzo di questo componente alimentare come una moneta o un mezzo di pagamento (salario). Per la sua produzione si costruivano le saline o le miniere, e per il suo commercio si tracciavano vie e strade.

È soltanto in quest’ultimo periodo della storia dell’uomo che il sale è diventato abbondante, di basso, se non infimo, prezzo e disponibile per tutti, mentre calano i suoi fabbisogni nutrizionali in una popolazione sempre meno fisicamente attiva e nella quale si allunga la durata della vita. Per questo il rischio moderno non è più una dieta scarsa di sale ma eccedente, che soprattutto negli anziani aumenta taluni rischi sanitari. In questa mutata situazione, con un aumentato consumo di formaggi e, attraverso questi, anche di sale, è stata avanzata l’opportunità di produrre formaggi contenenti minori quantità di tale minerale.

Sale e salute

Il sale da cucina o cloruro di sodio (NaCl) è composto da ioni di sodio e di cloro. Questo elemento chimico è necessario per regolare il volume extracellulare e l’osmolarità plasmatica, la funzione muscolare e nervosa, l’assorbimento dei nutrienti, e per mantenere l’equilibrio acido-base nel corpo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il sodio necessario per mantenere le funzioni fisiologiche e biologiche nel corpo va  da 0,18 a 0,23 grammi/giorno; tuttavia, il consumo medio globale di sodio nelle popolazioni dei paesi industrializzati risulta essere di circa quattro grammi/giorno, di cui la principale fonte nella dieta sono gli alimenti conservati e/o trasformati. Considerando la quantità di Cloruro di Sodio, si ritiene che in condizioni normali un adulto abbia bisogno di circa 0,25 – 1,5 grammi di sale al giorno, quantità largamente superate dalla maggior parte delle popolazioni dei paesi industrializzati, arrivando fino ai diciotto (!!) grammi giornalieri. Diversi sono i dati riguardanti la dieta degli italiani, per la quale si parla di due categorie: una in media assume quasi dodici grammi di sale al giorno, cifra che supera di dieci volte le reali necessità; l’altra sembrerebbe aver ridotto il consumo medio di sale di circa il 12% negli ultimi dieci anni, passando da un’assunzione media giornaliera di 10,8 g negli uomini e 8,3 g nelle donne nel 2008-2012 a rispettivamente 9,5 g e 7,2 g nel 2018-2019.

Molte ricerche dimostrano che diete con un elevato apporto alimentare di sodio, nettamente superiore alle necessità metaboliche, e protratte nel tempo, sono collegate a problemi sanitari ed in particolare ad ipertensione arteriosa e, di conseguenza, a malattie cardiovascolari. Inoltre, una diminuzione di sodio nella dieta abbassa la pressione arteriosa sistolica e diastolica, l’incidenza dell’ipertensione, e l’incidenza di malattie cardiovascolari e di patologie cerebrali e renali correlate. Diete con elevate quantità di sale sono state associate anche all’insorgenza di cancro gastrico; per questo la riduzione del cloruro di sodio nella dieta può apportare miglioramenti alla salute individuale, nonché all’onere economico nazionale. Ad esempio, una riduzione dell’assunzione di sale nel Regno Unito da 9,5 a 8,6 grammi/giorno dal 2003/2004 al 2008 ha comportato un salvataggio stimato di seimila persone da decessi cardiovascolari per anno, con un risparmio di un miliardo e mezzo di dollari USA. Per questo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito come obiettivo globale, da conseguire entro il 2025, un decremento del 30% nel consumo di cloruro di sodio nella dieta.

Sale e sodio nei formaggi

Tra i vari latticini, i formaggi contengono il sodio che deriva dal latte e dall’aggiunta di sale da tavola usato nella loro produzione. Nelle varie tipologie di questo prodotto il sodio è presente in una quantità compresa tra i 40 e gli 800 milligrammi per cento grammi, raggiungendo e superando anche in taluni casi, ad esempio nei formaggi a media e lunga stagionatura, i 1.500 milligrammi per cento grammi. Il sodio viene aggiunto nella produzione dei formaggi stagionati durante la loro salagione a secco o tramite la salamoia, mentre l’elevato contenuto di sodio nel formaggio trasformato deriva dai sali emulsionanti a base di sodio utilizzati nella loro cottura. Nella seguente tabella è riportato il contenuto medio di sodio di alcuni tipi di formaggio.

CONTENUTO SALE DA CUCINA E SODIO IN ALCUNI FORMAGGI
(100 grammi di cloruro di sodio contengono 38,758 grammi di sodio)
Cloruro di sodio per ettoMilligrammi di sodio per etto
Oltre il 2,5% (fino a 6,5%)Pecorino 1800
Feta 1440
Formaggino 1000
Dal 2,5% 1,5%Taleggio 873
Provolone 860
Grana 700
Brie 700
Fontina 686
Camembert 650
Cheddar 610
Gorgonzola 600
Parmigiano 600
Caciotta toscana 514
Da 1,5% a 0,5%Pecorino siciliano 450
Emmenthal 450
Crescenza 350
Groviera 332
Formaggio cremoso spalmabile 330
Fiocchi di formaggio magro 290
Mozzarella di vacca 200
Inferiore a 0,5%Mascarpone 86
Ricotta di pecora 85
Ricotta di vacca 78

Formaggi a ridotto contenuto di sodio

Considerando che la riduzione del cloruro di sodio nella dieta può aiutare a migliorare la salute degli individui e il benessere sociale, e a ridurre la spesa sanitaria, diverse agenzie sanitarie mondiali indicano non solo di ridurre l’uso del sale in cucina ma anche quello nella lavorazione degli alimenti, tra cui anche i formaggi a maggior contenuto di sale, suggerendo di varare leggi e regolamenti che pongano un cambiamento in tali produzioni. Ricercatori, tecnici caseari e casari hanno quindi iniziato a cercare e a sviluppare interventi tecnologici per ridurre il contenuto di sodio, e quindi di sale, in diversi tipi di formaggio e per produrre formaggi a basso contenuto di sale in modo da poterli pubblicizzare come “formaggi salutistici” o almeno migliorare il loro profilo salutistico nelle diverse “etichette a semaforo” proposte e ancora in discussione. Senza entrare nei dettagli delle numerose ricerche eseguite e di quelle ancora in corso, si può constatare che un decremento del contenuto di sale nei formaggi può essere ottenuto in vari modi: riducendo direttamente la percentuale di cloruro di sodio; sostituendolo, totalmente o in parte, con altri sali che non contengono sodio – come il cloruro di potassio (KCl), il cloruro di calcio (CaCl2) o cloruro di magnesio (MgCl2); rimuovendo, in modo parziale o totale, i sali emulsionanti di sodio con sali emulsionanti a base di potassio; ed applicando idrocolloidi. Una consistente riduzione del sale nei formaggi che tradizionalmente fanno uso di questo ingrediente, è difficile da realizzare per i suoi molteplici ruoli nella loro qualità finale. Il cloruro di sodio, infatti, con le sue numerose funzioni è importante per le proprietà sensoriali, fisico-chimiche, testuali, reologiche, funzionali e microbiologiche del formaggio, e quindi anche per la sua sicurezza. Tra le diverse tecnologie studiate e proposte, una parziale sostituzione del NaCl con KCl è presumibilmente il modo più efficace per ridurre il livello di NaCl senza compromettere la qualità e la sicurezza dei formaggi; sicurezza che peraltro può essere ottenuta anche attraverso l’uso di buone pratiche igieniche e igienico-sanitarie per evitare una post-contaminazione delle forme, o cercando nuovi procedimenti caseari come l’uso di sostanze aromatizzanti, processi alternativi di osmosi inversa, ultrafiltrazione e alta pressione idrostatica.

La diminuzione del sodio nei formaggi è tecnicamente fattibile; dal 1980 sono state sviluppate diverse tecnologie per avere formaggi con basse quantità di sodio, ma la disponibilità di questi formaggi è ancora molto limitata, per la difficoltà ad accettarli da parte dei consumatori e per la qualità dei formaggi. Inoltre, è necessario individuare le sfide e stabilire priorità per ogni varietà di formaggio, perché nessun approccio unico si è dimostrato incoraggiante, e la ricerca futura potrebbe sviluppare un’integrazione di diversi approcci, per migliorare la loro qualità, sicurezza e attività funzionali, in particolare di tipo probiotico e di altre attività come quelle nutraceutiche.

Contenuto di sale nei formaggi e nella dieta

Molto variabile è il consumo pro-capite di formaggio nel mondo: si va dai circa diciotto chilogrammi dell’EU-28 e diciassette degli USA, ai pochi chilogrammi o frazioni di chilogrammo nei paesi asiatici. Altrettanto diversificato è il tipo di formaggi prevalente nei diversi paesi, e quindi l’apporto che ne deriva come fonte di sodio nell’alimentazione. In proposito, diverse indagini indicano che, tra i vari prodotti lattiero-caseari, i formaggi rappresentano una fonte di assunzione alimentare di sale che è così distribuita nei vari paesi: dal 3,8% all’11% negli Stati Uniti, 10% in Germania, 7,5% in Svizzera, dal 4% al 7% in Australia, dal 3,2% al 5,4% in Canada, 4% nel Regno Unito e 2,8% in Nuova Zelanda.

In Italia, ogni giorno, un adulto ingerisce mediamente circa dieci grammi di sale da cucina, con un apporto di sodio che deve essere diviso in due diverse categorie: sale discrezionale, aggiunto in cucina o in tavola, e sale non discrezionale, già presente negli alimenti prima della cucina o del consumo finale. In linea di massima si ritiene che in Italia la parte discrezionale del sodio introdotto con l’alimentazione sia circa un terzo dell’assunzione totale, che il sodio naturalmente presente negli alimenti rappresenti circa il dieci per cento dell’apporto complessivo e che quel che resta (55% circa) deriva dall’aggiunta personale a tavola e dal consumo di cibi preparati (insaccati, formaggi, inscatolati ecc.) che contengono sale da cucina ma anche (10% circa) da esaltatori di sapidità come il glutammato di sodio o il bicarbonato di sodio. In base ad un’analisi alimentare su larga scala e solo parzialmente condivisibile (perché non ponderata e che quindi subisce moltissimo dalle frequenze di consumo), emerge che la maggior parte del sodio non discrezionale proviene dai derivati dei cereali (pane e prodotti da forno), seguiti da carne, pesce e uova, poi dai derivati del latte, tra i quali i formaggi. Non bisogna infatti dimenticare che in Italia i derivati dei cereali – non solo pane, ma anche pasta cotta in acqua salata, cracker ecc. – sono il gruppo di alimenti maggiormente consumati, e che ragionevolmente apportano maggiori quantità di sale da cucina. Sarebbe quindi sicuramente benefico l’utilizzo di pane e derivati non addizionati con sale da cucina.

Sale nei formaggi e pressione arteriosa, un falso problema?

I formaggi interferiscono con la pressione arteriosa innalzandola con il sale oppure svolgono anche altre attività tra cui la capacità di abbassare la pressione arteriosa con tutti i benefici connessi? Significativa è una ricerca riguardante una dieta giornaliera protratta per due mesi, comprendente trenta grammi di formaggio Grana Padano DOP (con un contenuto di un grammo e mezzo di sale per etto), che dimostra come questo formaggio – nonostante l’apporto del sale – contribuisca a ridurre significativamente la pressione arteriosa in soggetti con ipertensione arteriosa (Giuseppe Crippa, Dorjan Zabzuni, Elena Bravi, Francesca M.Cicognini, Elisa Bighi, Filippo Ross – Randomized, double-blind, placebo-controlled, cross-over study on the antihypertensive effect of dietary integration with Grana Padano DOCG cheese – Journal of the American Society of Hypertension, vol. 10, 4, Supplement, April 2016, Pag. e6).

Lo studio clinico controllato con placebo in pazienti ipertesi è stato realizzato con Grana Padano DOP stagionato di dodici mesi, in quanto particolarmente ricco di tripeptidi che hanno proprietà ACE-inibitori, mentre il gruppo di controllo ha assunto un placebo privo di tripeptidi. Alcuni di questi peptidi (denominati IPP e VPP) hanno un importante effetto biologico e sono in grado di inibire l’attività dell’enzima di conversione dell’angiotensina o ACE, enzima cruciale nella cura dell’ipertensione, tant’è che i farmaci più diffusi per il suo trattamento sono ACE-Inibitori. Questi peptidi si formano nel formaggio durate la fermentazione del latte ad opera di Lactobacillus helveticus e raggiungono la massima concentrazione nel Grana Padano stagionato di dodici mesi. Dopo questa data, procedendo con la stagionatura, la concentrazione delle molecole antipertensive diminuisce. L’effetto ipotensivo del formaggio in questione, quale prodotto funzionale, avviene nonostante il contenuto di sale (un grammo e mezzo per etto), grassi e colesterolo, elementi che in passato hanno portato molti a considerare questi alimenti come nemici della salute.

Tenendo conto della grande variabilità del contenuto in sale nei formaggi, della loro diversa presenza nella dieta e, come ora dimostrato, degli effetti nutraceutici antipertensivi, è necessario o utile cercare di produrre formaggi con basse quantità di sale? Nuovi sistemi di produzione per abbassare, eliminare o sostituire il cloruro di sodio non potrebbero interferire sulle proprietà nutraceutiche del prodotto finale e quindi anche ridurre o sopprimere le loro attività anti-ipertensive? Ma soprattutto, non dobbiamo pensare che il sale nei formaggi sia un falso problema, conseguente ad una errata semplificazione di una questione molto più complessa, ovvero quella riguardante il rapporto tra cibi, dieta e ipertensione?

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.

Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.