Formaggi un mare infinito

Per testimoniare l’importanza del formaggio in tavola basterebbe l’affermazione di Anthèlme Brillat – Savarin per il quale “Un dessert senza formaggio è come una bella a cui manchi un occhio”, senza dimenticare che il formaggio entra in ogni genere di preparazione culinaria come ingrediente e che di formaggi ve ne sono quasi un’infinità.

Se a Charles de Gaulle è attribuito il detto “Come si può governare un paese che conta duecentoquarantasei varietà di formaggio?”, non bisogna dimenticare che in Italia i tipi di formaggi tipici certamente superano il numero di cinquecento (dimostrando in questo una certa difficoltà nel governo del paese), senza considerarne le varietà, come ad esempio il Parmigiano Reggiano che ora è tre volte tripartito per tre tipi di mucche che danno il latte (Pezzata Nera, Rossa Reggiana, Bianca Modenese), tre aree territoriali (pianura, collina e montagna) e almeno tre durate di stagionatura (dodici, ventiquattro e trentasei mesi). Oltre ai formaggi DOP (Denominazione d’Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protetta), in Italia vi sono i formaggi STG (Specialità Tradizionale Garantita) e quelli PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), per un totale di circa cento formaggi. Non bisogna infine dimenticare il gran numero di formaggi prodotti localmente in piccole quantità e ancora da scoprire, censire e soprattutto valorizzare.

Da considerare è anche l’esistenza di formaggi industriali con le loro marche e il fatto che in Italia sono commercializzati formaggi DOP austriaci, francesi, greci, inglesi, olandesi, spagnoli, svizzeri e tedeschi. Non è quindi fuori luogo pensare che oggi il consumatore italiano, che sempre più usa il commercio elettronico, abbia di fronte un’offerta di oltre mille tipi di formaggi con una varietà infinita che può disorientarlo e non appagarlo come invece cantava Giacomo Leopardi quando nel suo Infinito dice “Così tra questa / Immensità s’annega il pensier mio: / E il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Formaggi e cucine regionali

Fino a qualche decennio fa, in Italia vi era uno stretto legame tra le cucine territoriali e i formaggi locali, e soltanto pochi di questi superavano i confini della regione di produzione. Per gustare la Mozzarella bisognava infatti recarsi in Campania e il Pecorino Sardo o Toscano erano confinati nei luoghi di produzione e nella cucina locale. Oggi, le cucine regionali non solo sono presenti fuori dei loro territori d’origine, ma soprattutto stanno subendo fenomeni di contaminazione che coinvolgono anche i formaggi e i loro usi in cucina. Di pari passo vi è un rallentamento e uno sgretolamento, fino alla scomparsa, delle tradizioni alimentari e oggi gli italiani si trovano di fronte a nuovi stili di vita con nuove offerte alimentari. Nella vita corrente non vi sono più singole cucine regionali ognuna con un limitato numero di formaggi ma una cucina in rapida, se non tumultuosa, evoluzione che si sta confrontando con un infinito numero di formaggi.

Per non naufragare nell’infinto mare dei formaggi L’Accademia Italiana della Cucina nella Collana di Cultura Gastronomica ha pubblicato “L’Uso dei Formaggi nella Cucina della Tradizione Regionale” (Bolis Edizioni, 2017) e un Quaderno su “L’Uso del Formaggi nella Cucina della Tradizione Regionale – Relazioni e Ricette” (Milano, 2018). Il libro di 272 pagine ampiamente illustrate è la risultanza di un lavoro collettivo che considera le Regioni Italiane ricordando di ognuna le caratteristiche casearie, i principali formaggi artigianali locali e i loro usi in cucina con le più tipiche ricette tradizionali. Il quaderno di 83 pagine è suddiviso in due parti, la prima dedicata ai formaggi nelle tradizioni di alcune regioni italiane e la seconda a una quindicina di ricette tradizionali con formaggi artigianali locali.

Formaggi e ricette tradizionali giacimenti culturali di un’arte popolare

I formaggi tradizionali sono l’espressione di un territorio e di una cultura locale che va scomparendo, e come tali sono da considerare non solo alimenti per il sostenimento del corpo, ma anche cibi per il nutrimento dell’anima, in quanto testimoni di un’arte casearia che rientra tra quelle cosiddette povere per il loro contenuto materiale ma non per quello culturale. E’ quindi importante preservarli catalogandoli ma soprattutto attraverso una loro conservazione mantenuta viva e vitale anche grazie alle ricette tradizionali. L’arte casearia tradizionale, nella grande maggioranza dei casi, è anche l’espressione di un lavoro maschile antico che merita di essere conosciuto e soprattutto valorizzato attraverso l’uso in cucina dei formaggi che produce.

Le ricette dei tempi andati sono come gli spartiti musicali del passato, oggi oggetto d’incessante ricerca non solo per far rivivere la musica di un tempo, a volte con strumenti d’epoca, ma perché specchio di una società nella quale, nolenti o volenti, abbiamo radici e di cui cerchiamo un’identità.

Le ricette del passato sono come le carte geografiche antiche, che disegnano paesaggi dimenticati e in parte perduti e che possiamo far rivivere nel nostro inconscio, spingendoci in un viaggio a ritroso nel tempo che parte da una loro esecuzione più fedele possibile. Un viaggio che può restare soltanto immaginato, e non per questo meno vero, perché emozionale, e nel quale si ricercano e si rinnovano le situazioni delle famiglie dei nostri nonni e nonne, bisnonni e bisnonne, dei quali a volte conserviamo alcuni ritratti e reliquie. E’ difficile pensare a come vivessero se non immaginando che cosa trovavano sulla tavola. Anche in una ricostruzione immaginaria, niente diviene più concreto di una ricetta, di un piatto anche di un vicino passato, che possiamo sognare sia stato preparato da una persona di cui ricordiamo il nome e presentato in un’occasione di festa, o in un giorno feriale, in una stagione invece che in un’altra, in un inverno cittadino o in un’estate in campagna di una famiglia concreta, che in questo modo torna a rivivere. Un immaginario viaggio identitario nel passato, con una verità nascosta, è evocato e rinnovato dalle ricette di un tempo antico e che allietavano tante famiglie, ricette specchio di una società e per questo di valore antropologico oltre che storico. La raccolta di ricette tradizionali che ci porta indietro nel tempo dà anche una voce al silenzio che troppo spesso regna attorno al lavoro femminile, in particolare quello di cucina casalinga sollevando un velo su un mondo che non possiamo conoscere, ma solo, qua e là, intuire o immaginare.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.