Preistoria dell’arte casearia

L’uomo preistorico ottiene il latte da diversi animali, prima dai piccoli ruminanti (capre e pecore) e poi da quelli medi e grandi (bovini, camelidi e renne) e dagli equidi. Per la conservazione di questo prodotto l’uomo inventa diverse tecnologie: nella Fertile Mezzaluna e nei territori del Vicino Oriente privilegia la produzione dei latti acidi, nel bacino del Mediterraneo e in Europa la trasformazione in formaggi, con tecniche che servono anche a dargli un nome.

Invenzione del formaggio

In Europa l’invenzione del formaggio risale a quella che gli archeologi chiamano la Rivoluzione dei prodotti secondari del Neolitico, quando nel V e IV millennio a. C., oltre al formaggio e ad altri prodotti del latte, vi sono altre innovazioni fondamentali e l’aratro e il concime sono introdotte in agricoltura. L’archeologia dimostra che la produzione del formaggio è già presente nel V millennio a. C. nella cultura medio-neolitica di Chassey, diffusa nelle pianure della Francia, incluso il corso della Senna e l’alta valle della Loira. Gli scavi a Bercy riportano alla luce un villaggio datato fra il 4000 e il 3800 a. C., dimostrando la presenza di canoe di legno, oggetti di ceramica, frecce e altri oggetti in legno e pietra, in un paesaggio molto importante per la ricostruzione dello scenario preistorico in cui si sviluppa l’arte di lavorare il latte e di trasformare e conservare quanto ottenuto, cioè il formaggio, ma non sappiamo e forse non sapremo mai come questo fosse chiamato.

Formaggio, cacio o toma? Quale è l’identificazione esatta, o per lo meno il termine migliore, per indicare l’importante invenzione culturale ottenuta dalla coagulazione del latte e dalla sua più o meno prolungata fermentazione? Un approfondito studio di Mario Alinei, dell’Università di Utrecht, sull’origine dei termini che ancora oggi identificano il formaggio dimostra l’antichità di questo alimento, ma soprattutto i suoi complessi e diversificati rapporti con remoti sistemi culturali che ne hanno anche determinato la denominazione (Alinei M. – Archeologia etimologica: alle origini del formaggio. Dal latino coagulum ‘caglio’ al latino caseus/-m ‘formaggio’ formaticum e toma. – Quaderni di Semantica, 31, n.1, 2010, pag. 73-112).

Da questa indagine risulta che sul piano linguistico la ricerca delle origini del nome latino caseus/m, dell’italiano cacio, dello spagnolo queso, del portoghese queijo, del rumeno ca ̧s, del sardo kazu, etc, ma anche dei termini formaticum (cioè formaggio) e toma, e i loro derivati e continuatori, portano a ritenere, come modello più probabile, che questi nomi abbiano avuto un’origine collegata alla tecnica di produzione del formaggio e che tutto sarebbe avvenuto fin dagli inizi nel periodo neolitico o comunque preistorico.

I nomi della lavorazione del latte

I nomi della produzione casearia derivano dai procedimenti che l’uomo mette in atto e soprattutto dalle seguenti tre fasi, che possono essere compiute separatamente o associate e assumere ruoli e importanze diverse. In modo molti schematico si deve supporre quanto segue.

La prima fase che identifica l’arte casearia è la coagulazione artificiale del latte che si ritiene sia stata ottenuta prima con l’aggiunta del caglio animale (probabilmente osservando quanto contenuto dallo stomaco dei piccoli ruminanti ancora allattati macellati) e poi con i cagli vegetali (erba zolfina, carciofo selvatico ecc.). Non si può però escludere l’osservazione del rigurgito del bambino allattato al seno che dimostra come il latte, per essere digerito, debba essere trasformato in un coagulo. Il termine coagulum è all’origine del nome cacio e dei suoi derivati (caciotta ecc.) ancora oggi dati a molti formaggi.

Un’altra fase è quando il coagulo, o cagliata, per essere meglio conservata, è trattata con il sale, come si fa per carni e pesci. Per effettuare questo passaggio viene data una forma con un procedimento tecnologico che dà origine al termine formaticum dal quale discende quello odierno di formaggio.

Una terza fase può essere quella del taglio della cagliata al quale sarebbe stato dato il termine greco tomh (tomè) dal quale deriverebbero toma e le sue declinazioni (tomino ecc.), con un processo usato ancora oggi e che ha dato per esempio il nome alla mozzarella (pasta mozzata o tagliata).

I tre nomi dei formaggi in Italia

La particolare posizione dell’Italia, posta tra l’Europa continentale e il Mediterraneo aperto al Vicino Oriente, è alla base della contemporanea presenza dei tre termini caseari di cacio, formaggio e toma che sono diversamente distribuiti sul territorio nazionale, con radicazioni che possono essere fatte risalire all’antichità preistorica.

Secondo Alinei, il termine cacio, derivato da quello del caglio o coagulo, nella Francia meridionale e nell’ambito della cultura di Chassey avrebbe inizialmente identificato l’innovazione culturale del formaggio semiduro e duro che segue quella del formaggio fresco e arriva in Italia settentrionale centro-occidentale, in Toscana, Sardegna e Corsica, diffondendo in questi territori il nome di cacio. Successivamente, anche nell’area lombardo-emiliana si sviluppa la produzione del formaggio semiduro e duro e per designarlo si conservano i nomi di caglio e cacio. Questo prodotto si diffonde poi nel resto della penisola. Nel Centro-Meridione l’allevamento è prevalentemente ovino. In quest’area troviamo quindi il cacio pecorino. Nelle età dei Metalli, e in particolare del Bronzo, presso gli Etruschi e poi i Romani in Italia domina il termine cacio (il latino caseum) che passa all’italiano cacio e termini similari nelle lingue neolatine, per poi diffondersi in altri idiomi come il tedesco käse e l’inglese cheese, e dal quale nasceranno i termini padani di casaro e la casera. Il termine cacio è oggi particolarmente presente nell’Italia centro-meridionale e lo si può ritenere ben consolidato fin dal periodo Etrusco e Romano.

Il termine formaggio, presente soprattutto nell’Italia Settentrionale, sembra risentire di un’origine centro-europea e probabilmente dalla citata cultura medio-neolitica di Chassey che dopo molti secoli avrebbe influenzato anche la Cultura delle Terramare della Pianura Padana. Sul piano storico-culturale, secondo Alisei, vi sono stati due focolai di formaticum come nome del formaggio duro e semiduro: uno in alta Italia e l’altro in Francia (non sappiamo ancora se sincronici e indipendenti o derivati l’uno dall’altro), con una diffusione primaria del formaticum padano, e quella secondaria del formaticum francese meridionale che avrebbero entrambe avuto luogo nel corso del III millennio. Per concludere, la storia di coagulum, caseum e di formaticum è una storia franco-italiana, in cui questi due paesi si alternano nel ruolo di focolai, primari e/o secondari, di innovazioni, sia culturali che linguistiche. Per quanto riguarda la forte presenza del termine formaggio in pianura padana è da ricordare la produzione di formaggio ottenuto da latte bovino con tecniche che nel secolo XII della nostra era sono portate dai monaci cistercensi provenienti dalla Francia. In modo analogo è da ricordare come nei dialetti e nel comune parlare di questa regione il formaggio fosse spesso genericamente indicato con il semplice termine di forma.

Il termine toma lo si trova in Italia Settentrionale a cavallo con la Francia, soprattutto in Piemonte ma anche in pianura padana, e in Sicilia. Questa presenza e diffusione sono forse da riportare alla diffusione della Cultura del Vaso Campaniforme della tarda età del rame (2600 – 1900 a. C. circa), una cultura attestata nelle odierne aree del Portogallo, Spagna, Maghreb, Italia insulare e centro-settentrionale, Francia (escluso il Massiccio centrale), Gran Bretagna e Irlanda, Paesi Bassi, Germania tra l’Elba e il Reno, con un’estensione lungo l’alto corso del Danubio nel bacino di Vienna e Ungheria. Nell’Italia continentale le aree più interessate alla Cultura Campaniforme sono la pianura padana e la Toscana. Verso la fine del III millennio a. C., anche la Sardegna è investita dalla corrente culturale campaniforme, mentre in Sicilia proviene dalla Sardegna e si diffonde principalmente nella parte nord-occidentale e sud-occidentale dell’isola.

Cacio, formaggio, toma

L’Italia è ricca di prodotti caseari, chi dice trecento e chi seicento, senza contare le denominazioni industriali e commerciali, dimostrando l’antichità di una produzione complessivamente oggi raccolta sotto la dizione di formaggi.

In questa produzione si usano ancora i termini di cacio, formaggio e toma che dimostrano quanto sia antica la cultura casearia e dei formaggi italiani, ma anche l’importanza che hanno avuto gli scambi culturali tra popolazioni di regioni diverse.

La grandissima varietà di formaggi italiani è anche all’origine della necessità di specificarne la provenienza e le caratteristiche con denominazioni più differenziate e che fanno riferimento al latte usato, al territorio d’origine e ad altre caratteristiche che si sono via via costituite e stabilite in tempi a noi lontani e vicini e che ora sono anche codificate e protette nelle denominazioni delle DOP e IGP dei quasi cinquanta formaggi italiani.

Ma questa è un’altra storia…

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.