Gusto dei formaggi di montagna

Sarà solo un’impressione o l’influenza dell’aria, ma i formaggi di montagna sono diversi da quelli di pianura? Lo stesso formaggio ha un aroma e sapore diverso se mangiato vicino alle vette o in riva al mare? Solo impressioni o vi è anche una base di verità?

La cucina di montagna, per comune opinione soprattutto di chi arriva dalla pianura, è ricca di marcati sapori, cibi affumicati con legni resinosi, condimenti con erbe intensamente aromatiche e di salumi, e soprattutto di formaggi, dai forti sapori. Queste caratteristiche sono state spiegate con la necessità di conservare gli alimenti usando il fumo e non il sale marino, un tempo tanto costoso da provocare, in talune vallate alpine, il gozzo per mancanza di iodio portato dal sale. In modo analogo, le intense fragranze delle piante aromatiche e dei formaggi sono state giustificate dalle condizioni pedoclimatiche delle montagne. Queste due spiegazioni non sono però sufficienti e devono essere integrate con un’altra condizione, quella dei cambiamenti del gusto provocati dall’aria rarefatta di montagna e che ha spinto i montanari a produrre alimenti molto saporiti, sviluppando una cucina aromatica.

Gusto e apprezzamento dei cibi ad alta quota

Per poter comprendere un’eventuale diversità d’apprezzamento dei cibi, e tra questi dei formaggi, in montagna o in pianura, sono d’aiuto le ricerche compiute dalle compagnie aeree, ovviamente non low cost, per offrire ai loro passeggeri menù d’alta gastronomia, quando si sono accorte che i pasti non soddisfacevano perché avevano un gusto piatto e deludente nonostante gli sforzi dei cuochi che a terra, nelle loro cucine, facevano del loro meglio. Il cibo è un importante elemento nella vita quotidiana ed è apprezzato durante i lunghi viaggi aerei dove le costrizioni sono molte, iniziando dal divieto di fumare. Per ovviare all’inconveniente di uno scarso apprezzamento dei cibi offerti in volo, le compagnie di navigazione aerea puntarono subito sulla distribuzione di bevande alcoliche ma, come appena detto, diedero anche avvio a delle ricerche, rivolgendosi a chef stellati, sommelier e specialisti in sensoristica, per offrire ai passeggeri le loro innovazioni, con piatti studiati per essere consumati in volo ad alta quota perché era sorto il dubbio che il cibo fosse diversamente apprezzato quando consumato a bordo dei moderni aerei passeggeri dove vi è un’atmosfera simile a quella che vi è in montagna, all’altezza di circa duemilacinquecento metri.

Le indagini sulle capacità gustative dei cibi ad alta quota hanno portato a stabilire che l’altitudine diminuisce la sensibilità delle papille gustative e, soprattutto, che l’aria rarefatta modifica notevolmente l’olfatto, che come retrogusto determina per l’80% l’apprezzamento del cibo, come si può costatare quando, soffrendo di raffreddore, i cibi perdono di aroma, sapore e gusto. La diminuzione della pressione atmosferica, i ridotti livelli di ossigeno e la secchezza dell’aria della climatizzazione degli aerei sono quindi molto importanti per l’apprezzamento dei cibi; senza considerare che lo scompenso nei ritmi circadiani della notte e del giorno, i rumori e le vibrazioni presenti negli aerei causano uno stress che, insieme a fattori emotivi di talune persone come ansia e paura, riducono la capacità di gustare quanto si sta consumando.

Indagini dettagliate stabiliscono che ad alta quota diminuisce la percezione degli odori e del gusto di dolce e di salato, ottenendo importanti elementi per migliorare i piatti da consumare sugli aerei, ma anche per meglio interpretare la cucina e i cibi di montagna, come i formaggi. Non potendo ravvivare i sapori aumentando semplicemente il sale, responsabile di disidratazione e da evitare nelle persone anziane, copiando i cibi e la cucina delle montagne, i cuochi che preparano i piatti di cucina destinata agli aerei si sono indirizzati verso l’uso di spezie, erbe, condimenti e soprattutto di cibi ricchi del gusto umami, che non è interessato dall’aria rarefatta dell’alta quota.

L’umami è il quinto gusto dopo il dolce, il salato, l’amaro e l’acido, identificato per la prima volta in Giappone, e conferisce un gusto molto saporito. Naturalmente presente in molti alimenti come le alghe, lo sgombro, i pomodori, i funghi, gli insaccati stagionati, l’umami è presente soprattutto nei formaggi a media e lunga stagionatura e tra questi i grana Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Trentingrana e nei formaggi di montagna dai sapori forti, iniziando dalle tome e dai tomini, Fontina e altri tanti tipi similari.

Sapori in montagna

I risultati delle ricerche eseguite per le compagnie aeree permettono d’interpretare e conoscere meglio gli alimenti e tra questi i formaggi e le cucine di montagna, dove i forti sapori e aromi trovano una più completa spiegazione e interpretazione.

In aggiunta, bisogna ricordare che le condizioni di cottura in montagna, dove l’ebollizione dell’acqua per la minore pressione atmosferica avviene a temperature più basse (70° C a tremila metri), migliorano il sapore delle preparazioni culinarie, permettendo di mantenere intatti gli aminoacidi naturali, i carboidrati, gli acidi organici e gli aromi dell’alimento. In queste condizioni ambientali si ottengono piatti di grande gusto, senza aggiungere un singolo insaporitore o additivi, nemmeno il sale, mentre si riduce la perdita di peso degli alimenti, aumentando quindi il rendimento delle verdure.

Quanto ora conosciamo contribuisce a spiegare come le variazioni del gusto indotte dall’aria rarefatta siano alla base di una cucina di montagna aromatica, determinando la produzione di alimenti affumicati e di formaggi molto fermentati e ricchi di umami.

Allo stesso modo si comprende come la cucina di montagna sia migliore se gustata sul posto e in un’aria rarefatta e non in pianura dove può sembrare troppo carica di aromi e sapori. Per gli stessi motivi ci si può anche rendere conto di come taluni prodotti tipici di montagna, per essere esportati con successo, debbano essere alleggeriti nel gusto, ma questa è un’altra storia.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.