Agli inizi degli anni trenta del secolo scorso mia madre imperava in cucina e nessuno poteva intervenire nelle sue faccende, soprattutto noi bambini ai quali, tuttavia, era riservata l’operazione di grattare la crosta nera del formaggio (la Forma diceva mia madre) portato dal nonno commerciante di Formaggio Parmigiano. La crosta di Parmigiano ben pulita, era destinata a insaporire il minestrone di verdure che, con un poco di pasta, era quasi sempre presente nella cena della sera. Fortunato era chi riceveva nel piatto il pezzo, o i pezzetti, di crosta di formaggio resi morbidi dalla cottura. L’uso della crosta del formaggio nel minestrone permetteva di risparmiare sul costoso sale prodotto del Monopolio di Stato e che non si acquistava in bottega come oggi, ma nelle rivendite di Sale e Tabacchi assieme al Chinino di Stato.

Croste dei formaggi

Molte e diverse sono le croste e i rivestimenti esterni, e non sempre presenti in tutti i formaggi.

I formaggi freschissimi, come gli stracchini e le mozzarelle, o taluni formaggi industriali, come il Filadelfia, mancano di crosta, ovvero dello strato esterno che si forma con la salatura, l’essiccamento e la maturazione che protegge la massa del formaggio. Le croste naturali, e tra queste le croste brinate, contribuiscono a dare al formaggio sapore e gusto perché sulla crosta si sviluppano popolazioni di microrganismi (muffe e batteri) e talvolta anche larve di insetti che contribuiscono a dare aroma, sapore, gusto e tipicità. Non mancano infine le croste naturali lavate e le croste artificiali di diverso tipo e colore.

Le croste naturali dei formaggi stagionati, come quella del Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Trentingrana possono essere mangiare dopo essere state ben pulite, soprattutto se sono presenti colorazioni particolari come quella nera che sta tornando di moda. La crosta inoltre subisce diverse contaminazioni durante la stagionatura e la commercializzazione e per motivi igienici è bene, se non indispensabile, lavarla o grattarla nella parte più esterna con una vigorosa spazzolatura e raspatura per eliminare lo strato superficiale fino a cancellare i “puntini” della marchiatura prima di usarla in cucina o di mangiarla. La crosta di questi formaggi è naturale e ricca anche di acido glutammico che dà l’apprezzato sapore di umami. Se ben pulita può quindi essere mangiata cruda, e sarebbe un delitto non farlo, o usarla in cucina in minestre e minestrone, leggermente arrostita sul grill assieme ad altri cibi o in padella calda. La crosta di questi formaggi può essere tagliata a tocchetti e usata per insaporire uno spezzatino di carne, guarnire una pasta e fagioli, mantecare un risotto o per preparare una sorta di pop corn ammorbidendo le croste buttandole nel fondo di un brodo, essiccandole al forno, tagliandole a pezzettini e friggendole in abbondante olio caldo.

Diversi formaggi hanno una crosta fiorita o brinata che così si chiama perché il suo aspetto ricorda un prato fiorito o uno strato di brina candida. Questo strato è dovuto alla crescita di muffe di colore bianco della specie Penicillium candidum o sue varietà (diversamente dal nome queste muffe non producono la penicillina o altri antibiotici o micotossine) che non sono un rischio per la salute anche se mangiate in quantità. Tra questi formaggi vi sono il Brie e il Camembert che durante la lavorazione sono inseminati con le muffe bianche di copertura.

I formaggi a crosta lavata sono quelli che durante la loro maturazione sono ripetutamente spazzolati e lavati in superficie per togliere muffe e batteri che sono stati necessari durante il loro sviluppo ma che non sono adatti all’alimentazione. Il lavaggio può essere eseguito con acqua salata o con vino, brandy o altro e la crosta in questi casi assume colori più decisi. Un esempio di formaggio italiano a crosta lavata è il Taleggio DOP. Di questi formaggi si può mangiare anche la crosta.

Diversi sono i formaggi con croste artificiali, in generale costituite da cere sintetiche con additivi e paraffine, che naturalmente non si possono mangiare. I formaggi con crosta non edule sono facili da riconoscere e scartare perché hanno rivestimenti costituiti da cere, come nel caso del Gouda, dell’Edamer (avvolto dalla caratteristica cera rossa) o di alcune caciotte e pecorini semistagionati. Altre croste artificiali sono formate da tessuto (come in una varietà di Cheddar) o da altri materiali non commestibili (come nei pecorini e nella toma affinati nella paglia o nel formaggio sardo con l’argilla).

Alcune croste in linea generale commestibili sono poco palatabili per via del sapore o della consistenza, come nel caso della Fontina e del Caciocavallo Silano.

Leggere sempre l’etichetta

Se ci sono croste di formaggio che sembrano fatte per essere gustate, in altri casi la crosta o buccia del formaggio va buttata e per saperlo il consumatore ha un grande alleato: l’etichetta della confezione. La crosta del Gorgonzola NON si può mangiare: è una specifica riportata nel disciplinare della DOP dove è scritto “crosta di colore grigio e/o rosato, non edibile.”

Sempre leggendo l’etichetta si sa come comportarsi con le croste. Per esempio, sono da evitare le croste di formaggio trattate con l’E235 (natamicina), un conservante con funzione antifungina impiegato in particolare per il trattamento superficiale di formaggi a pasta dura e semidura, come alcuni pecorini. Lo stesso trattamento è effettuato anche sulle superfici di alcuni prodotti di capra freschi o i DOP quali l’Asiago, il Montasio e il Piave. In tutti questi casi leggere l’etichetta è un prezioso aiuto perché l’esistenza di additivi per trattamenti di superficie vanno sempre segnalate.

Attenzione particolare per alcune categorie di consumatori

Un’attenzione particolare va riservata alle persone appartenenti al gruppo di consumatori detto YOPI (Young Old Pregnant Immunocompromised), che comprende individui in età scolare, anziani sopra i sessantacinque anni, donne in gravidanza e immunocompromessi che sono più esposti al rischio di contrarre la listeriosi, infezione alimentare provocata dalla Listeria monocytogenes.

La listeriosi si può manifestare in diverse forme cliniche: forma gastroenterica (una grave gastroenterite), forma materno-fetale (con interruzione della gravidanza e/o meningite) e forma setticemica, la più comune nei soggetti oltre i sessantacinque anni. La listeria può essere presente su diversi alimenti e tra questi sulla crosta di formaggi erborinati, a crosta fiorita e lavata. In questi casi bisogna eliminare la crosta, effettuando un taglio parallelo alla superficie e evitando di trasferire nella pasta del formaggio i microrganismi presenti sulla crosta che va eliminata.

Va inoltre precisato che bisognerebbe prestare più attenzione alla conservazione a casa di questi tipi di formaggio che proprio a causa del consumatore finale possono aumentare la carica batterica della crosta fino a diventare un serio pericolo. Infatti, secondo l’ultimo report dell’EFSA sull’argomento, un terzo dei casi di listeriosi è imputabile a scorrette prassi di conservazione domestica e soprattutto a una conservazione prolungata in frigoriferi a temperatura non corretta e superiore ai 4-6 centigradi.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.