Industria alimentare e formaggi

L’industria lattiero-casearia è una delle più antiche e ancora oggi rappresenta uno dei più importanti settori dell’agroalimentare perché il latte e i latticini apportano molti vantaggi nutrizionali, nonostante il fatto che gran parte della popolazione mondiale adulta sia intollerante al lattosio, uno dei costituenti del latte. Un’industria casearia che ha un grande passato che giustifica un altrettanto grande futuro.

Le ricerche scientifiche dimostrano che in alcune popolazioni umane, nell’Europa settentrionale e nell’Africa centrale, la tolleranza al lattosio negli adulti ha iniziato a svilupparsi dopo l’inizio della lavorazione del latte degli animali, tuttavia la maggior parte degli esseri umani ha imparato ad affrontare l’intolleranza al lattosio consumando il latte entro i limiti fisiologici, migliorando la capacità di consumare il lattosio mediante l’adattamento del proprio microbioma e alimentandosi con un’ampia varietà di latticini prodotti dall’artigiano caseario con basso, o assente, contenuto di lattosio, in particolare i formaggi. Questo processo trova oggi conferma nella recente diffusione del consumo di latte, e soprattutto di latticini e formaggi, in paesi come la Cina e il Giappone, in cui la maggioranza della popolazione è intollerante al lattosio.

Nella lunga storia dell’alimentazione umana e del consumo del latte e dei suoi prodotti, i formaggi hanno avuto un ruolo importante che assicura loro un sicuro futuro e che merita particolare attenzione, soprattutto per quanto riguarda come la nostra specie è riuscita a superare lo svantaggio di una genetica che rende difficile usare nell’alimentazione degli adulti il latte, ma non le sue trasformazioni, come latti acidi, burro e, soprattutto, formaggi.

Latte e lattosio

Il latte è prodotto dalle ghiandole mammarie con una secrezione di tipo apocrino, nella quale le cellule epiteliali perdono una parte del loro protoplasma che va a comporre questo alimento. Accanto agli altri costituenti principali (proteine e grassi), il lattosio è il principale carboidrato presente nel latte. In quello umano ha infatti una concentrazione di circa il 7 %, mentre in quello dei ruminanti domestici utilizzato nella nutrizione umana ha concentrazioni inferiori (circa il 5 %).

Il lattosio è un disaccaride che si forma all’interno dell’apparato di Golgi delle cellule epiteliali delle ghiandole mammarie per sintesi di due zuccheri semplici, il glucosio e il galattosio, per azione dell’enzima lattosio-sintasi o lattosio sintetasi. Il lattosio è una molecola osmoticamente attiva che nelle cellule della mammella è contenuta in vescicole e la sua alta concentrazione determina il volume della secrezione del latte. Il lattosio è la fonte di energia più importante durante il primo anno di vita negli esseri umani, fornendo quasi la metà dell’energia totale richiesta dai bambini, ma è anche un importante nutrimento plastico.

 Vantaggi del lattosio

Molti sono i vantaggi del lattosio. Qualsiasi disaccaride come saccarosio e destrosio (composto da monosaccaridi comunemente disponibili da glucosio e fruttosio) funziona come un driver osmotico. Questa funzione nella produzione del latte è svolta dal lattosio. Il lattosio inoltre contiene il galattosio al quale sono da attribuire particolari benefici nella dieta infantile perché, con i suoi derivati, ha un ruolo fondamentale nella biosintesi di carboidrati complessi, glicoproteine e glicolipidi, e come N-acetilgalattosamina è utilizzato nella costruzione dei gangliosidi, componenti essenziali della membrana cellulare. Il galattosio è anche un buon nutriente per la mielina del cervello. Si pensa infatti ragionevolmente che sia presente nel latte materno per promuovere lo sviluppo di questa guaina, visto che in molti mammiferi, uomo compreso, la mielina è quasi assente alla nascita. Diversi esperimenti stanno confermando un legame tra galattosio assunto con la dieta e la crescita della mielina e per questo le quantità di galattosio nel latte umano sono rilevanti (70 grammi per litro), e nettamente superiori rispetto ai latti di altri mammiferi che hanno un minore e più lento sviluppo del cervello. La capacità di digerire il lattosio anche nell’uomo adulto potrebbe essere vantaggiosa sotto l’aspetto nutrizionale, perché il latte è una buona fonte di energia, fornisce acqua in periodi di siccità e aumenta l’assorbimento di calcio, aiutando la prevenzione del rachitismo e dell’osteomalacia nelle regioni con bassa illuminazione solare. Per questo si ritiene che l’utilizzazione del lattosio anche in età adulta, soprattutto delle donne, nelle popolazioni del Nord Europa sia correlata alla costruzione di ossa dense nello scheletro anche con limitata quantità di vitamina D che promuove l’assorbimento del calcio. Invece, nelle popolazioni africane dove la carenza di vitamina D è non un problema, la digestione del lattosio dipende prevalentemente dal suo grande apporto calorico.

Svantaggi del lattosio

Il principale svantaggio del lattosio è l’intolleranza presente in una certa percentuale di persone adulte, per cui sono oggi in commercio latti delattosati e prodotti lattiero-caseari senza lattosio. Il galattosio nel latte non si trova in forma libera ma solo legato al glucosio a formare la molecola di lattosio che, per essere digerito e assorbito dall’apparato digerente, è idrolizzato nell’intestino tenue dei neonati dei mammiferi in β-d-glucosio e β-d-galattosio dalla lattasi (β-d-galattosidasi; β-d-galattoside galattoidrolasi), un enzima secreto dai villi delle cellule epiteliali. I galattoligosaccaridi hanno proprietà prebiotiche e la loro ingestione promuove effetti positivi sulla microflora intestinale e sulla salute. Nella maggior parte degli esseri umani però la lattasi normalmente tende a diminuire per poi scomparire quando cessa l’alimentazione lattea e dopo lo svezzamento, o comunque ai 4/5 anni d’età del bambino. In quest’ultimo caso il lattosio non è scisso e i suoi due componenti non sono assorbiti così, quando arriva nel grosso intestino, subisce fermentazioni microbiche che possono causare disturbi d’intolleranza alimentare, quali produzione di gas, diarrea ecc. La produzione di lattasi, la sua progressiva diminuzione dopo i 4/5 anni di età e la sua scomparsa nell’adulto sono governate dalla genetica e, in particolare, da un polimorfismo del gene MCM6, situato sul braccio lungo del cromosoma 2, come può essere determinato tramite la PCR (Polymerase Chain Reaction). La scomparsa della lattasi intestinale fa sì che circa il 75% della popolazione adulta mondiale sia intollerante al lattosio alimentare ingerito, ma con una grande variabilità da popolo a popolo (si va dal 100% nei nativi americani all’1% nei danesi). Questa variabilità ha una distribuzione areale caratteristica che coincide con quella in cui si è sviluppato l’allevamento di animali da latte, in particolare nelle regioni dell’Europa Settentrionale e in alcune tribù di nomadi pastori dell’Africa Centrale, con successive modificazioni legate alle migrazioni delle popolazioni umane. Oggi si ritiene che la tolleranza al lattosio negli adulti dipenda dalla persistenza della produzione di lattasi che dipende da una variazione genetica che si è verificata almeno in due aree geografiche in correlazione all’alimentazione con latte e prodotti caseari. Già in epoca romana i popoli del Nord Europa, in particolare la Gran Bretagna e la Germania, bevevano latte e questo corrisponde alla moderna distribuzione europea dell’intolleranza al lattosio. Infatti, le popolazioni della Gran Bretagna, della Germania e della Scandinavia possiedono un’elevata tolleranza mentre quelle del Sud Europa, in particolare dell’Italia, hanno una tolleranza inferiore. Oggi invece non esiste una chiara tendenza tra consumo di latte pro capite e tolleranza al lattosio, o tra assunzione di formaggio e tolleranza al lattosio, e pertanto il consumo di latte e formaggio in diverse regioni geografiche sembra dipendere dal reddito della popolazione e dalle mode culturali.

Un altro importante meccanismo di utilizzazione del lattosio è l’adattamento del microbioma (flora microbica) del grosso intestino (colon). Inoltre, oltre alla raggiunta consapevolezza sul consumo abituale di latte entro limiti fisiologici, lo sviluppo tecnologico e l’evoluzione genetica hanno contribuito alla diffusione dell’industria casearia in tutto il mondo.

Gli svantaggi del lattosio sono collegati ai deficit di lattasi che portano a diversi tipi d’intolleranza. Il deficit di lattasi primario, chiamato anche non-persistenza della lattasi, è il tipo più comune. In questa condizione la produzione di lattasi diminuisce nel tempo a partire dall’età di due anni e i bambini con deficit di lattasi possono presentare sintomi di intolleranza al lattosio nella tarda adolescenza o nell’età adulta. Il deficit di lattasi secondario deriva da lesioni all’intestino tenue per infezioni o malattie, è di solito transitoria e migliora con la completa guarigione dalla patologia. Il deficit di lattasi nei neonati prematuri di solito dura solo poco tempo dopo la nascita. Il deficit di lattasi congenito è estremamente raro ed è provocato dai geni ereditati dai genitori. Il lattosio ha quindi due facce. Se è necessario nell’alimentazione della prima infanzia, soprattutto per lo sviluppo del sistema nervoso, e vantaggioso per gli adulti di popolazioni che hanno addomesticato e allevato animali da latte, può essere sfavorevole per le popolazioni nelle quali vi è scarsa o assente produzione di lattasi nelle persone adulte.

Cultura, tecnologia lattiero-casearia e tolleranza al lattosio

La nostra specie, dopo la caccia, ha imparato ad utilizzare i ruminanti tramite l’addomesticamento avvenuto durante la rivoluzione neolitica, nota anche come rivoluzione agricola. Bovini, pecore e capre sono stati addomesticati per la prima volta in Mesopotamia, cioè in Asia nell’area del sistema fluviale Tigri-Eufrate considerata la culla della moderna occidentale, mentre il bufalo d’acqua e lo yak sono stati addomesticati un poco più tardi in Cina, India e Tibet. Inizialmente gli animali sono stati allevati per la produzione di carne, mentre il loro sfruttamento come animali da lavoro e dai quali ottenere il latte è più tardivo. Pelli di animali e organi interni, in particolare il rumine, diventavano contenitori per alimenti, tra cui il latte, e forse il formaggio che è scoperto casualmente conservando il latte nello stomaco di un giovane ruminante dove gli enzimi (caglio) lo hanno trasformato in cagliata e siero di latte. Sulla base dell’analisi dei residui lipidici nella ceramica preistorica, si ritiene che le prime pratiche lattiero-casearie risalgano alle prime fasi dell’agricoltura nell’Asia sudoccidentale almeno nel settimo millennio a.C.. Successivamente, l’uso del latte animale e le pratiche casearie si sono evoluti in modi diversi e nelle differenti aree, in parte per le disuguali condizioni ambientali e in parte per le diverse scelte culturali. I dati disponibili suggeriscono che alcune società neolitiche, anche prima del seimilacinquecento a.C., avevano iniziato a trasformare il latte in formaggio, mentre prove più concrete sulla produzione del formaggio si hanno dai testi cuneiformi sumerici della Terza dinastia di Ur (circa 2000 a. C.), da immagini tombali egiziane dello stesso periodo e nell’età del bronzo tardo-micenea-miceneo a Creta. Per la prima volta la produzione del formaggio è stata descritta da Omero nell’Odissea (circa 1600 a. C.). In epoca romana il formaggio era un alimento base quotidiano e oggetto di commercio a lunga distanza, mentre la maggior parte dei formaggi oggi presenti nelle società occidentali hanno avuto origine durante il Medioevo. Nei prodotti lattiero-caseari fermentati il lattosio è trasformato in acido lattico. Nella produzione del formaggio gran parte del lattosio è eliminata con il siero e nel formaggio fresco è presente in piccola quantità, per scomparire poi nei formaggi a lunga fermentazione. È interessante notare come il formaggio naturalmente a basso, o assente, contenuto di lattosio si sia sviluppato principalmente in aree come il Medio Oriente e il Sud Europa, dove era diffusa l’intolleranza al lattosio ma i processi tecnologici della caseificazione permettevano di conservare il latte per lungo tempo consentendo nella popolazione il suo utilizzo nonostante la prevalente intolleranza. Un altro elemento che ha permesso la diffusione del latte e dei suoi prodotti è la comparsa di popolazioni umane con varianti genetiche relative alla persistenza della lattasi intestinale che consentivano la digestione del lattosio anche da parte di uomini adulti.

Secondo le analisi (Manzi e coll. 2007) solo i formaggi meno stagionati hanno piccole quantità di galattosio prodotto dell’idrolisi del lattosio, e la molecola di lattosio è presente solo in pochi formaggi freschi come la Mozzarella di bufala campana e la Ricotta romana che ne contengono rispettivamente 214 e 3867 mg/100g sul peso fresco. Altri prodotti presentano piccole quantità di lattosio ma non in tutti i campioni analizzati (Bra duro, Fiore sardo, Monteveronese, Pecorino romano), probabilmente a causa del diverso grado di stagionatura tra i vari prodotti della stessa DOP. Il lattosio è assente nei prodotti caseari a lunga stagionatura.

Ancora oggi i discendenti delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori, come ad esempio i nativi americani, sono perlopiù intolleranti al lattosio. Gli studi genetici suggeriscono che le più antiche mutazioni associate alla persistenza della lattasi compaiono con livelli apprezzabili nelle popolazioni umane negli ultimi diecimila anni, in coincidenza con la rivoluzione neolitica e la domesticazione degli animali da latte. Per questo la persistenza della lattasi negli adulti è citata come esempio di una recente evoluzione umana dal momento che è una condizione genetica strettamente associata all’allevamento animale, condizione culturale di simbiosi tra uomo e animale verificatasi con l’avvento dell’agricoltura, l’addomesticamento e l’allevamento degli animali. Attualmente le popolazioni che hanno sviluppato la capacità di digerire il lattosio negli adulti si concentrano nell’Europa settentrionale, da cui sono poi emigrate nelle Americhe e in Australia, e in alcune popolazioni di pastori nomadi africani (Tutsi e Fulani). La modifica genetica presente in talune popolazioni umane, sia pure in percentuali diverse, nelle quali l’enzima lattasi continua a essere espresso in tutta l’età adulta è detta lattasi di persistenza (LP) e nelle persone di origine europea, è associata ad una singola mutazione (-13910 * T). Ricerche effettuate sui residui di grasso del latte nei frammenti di ceramiche preistoriche e le frequenze alleliche in antichi campioni di DNA suggeriscono che la LP è comparsa dopo che le pratiche di lavorazione del latte si erano sviluppate.

Formaggi tra passato e futuro

La lunga vita, preistorica e storica dei formaggi testimonia la loro importanza biologica, nutrizionale e culturale. I formaggi sono infatti un mezzo per conservare il latte e commercializzarlo facilmente. Al tempo stesso sono divenuti strumenti di caratterizzazione e differenziazione di cucine identitarie e di grandi gastronomie.

Di particolare importanza, nei formaggi a lunga conservazione, è la presenza di glutammato, che dà loro il sapore di umami o di saporito e da qui il loro grande uso in cucina. Il glutammato monosodico è il sale sodico dell’acido glutammico, un aminoacido non essenziale presente in diversi alimenti a iniziare dal latte e dai suoi derivati, carni e verdure. Il glutammato ha la funzione di neurotrasmettitore cerebrale, ha un sapore gradevole, stimola il quinto gusto, noto come umami, provoca la sensazione di intensa sapidità ed è presente nei formaggi stagionati, tra i quali il Parmigiano Reggiano che è uno degli alimenti più ricchi di glutammato monosodico con una quantità media pari a 1,6 grammi circa per etto. Nei formaggi stagionati il glutammato aumenta man mano che cresce la stagionatura e deriva dalla scissione delle proteine. Nella cucina orientale il glutammato è un insaporitore comune che caratterizza molti piatti e questo contribuisce a spiegare il successo che i formaggi stagionati stanno avendo nelle cucine orientali.

Il formaggio è un metodo di conservazione del latte che ha una preistoria ed una storia così lunga da assicurargli anche un futuro.

Conclusioni

Nel corso dei millenni le popolazioni umane hanno introdotto nella loro alimentazione il latte degli animali, un alimento che ha numerosi vantaggi nutrizionali. D’altra parte, la diffusa intolleranza al lattosio tra la popolazione adulta è stata superata da tre fattori, tra loro anche interagenti. Primo fattore è la mutazione genetica che nell’uomo prolunga per tutta la vita la produzione dell’enzima lattasi, mutazione avvenuta in particolare nelle società celtiche dell’Europa settentrionale e in popolazioni di nomadi africani. Di conseguenza, i portatori del gene dell’intolleranza al lattosio si sono convertiti in tolleranti al lattosio, potendo bere il latte senza disturbi e traendo vantaggi nutrizionali da questo alimento. Il secondo fattore è lo sviluppo di prodotti alimentari con basso o assente contenuto di lattosio, come latti fermentati, formaggi e burro. Terzo fattore è l’adattamento del microbioma del grosso intestino umano che consente agli individui intolleranti al lattosio di non avere effetti sgradevoli e, o, indesiderati.

Nell’interazione tra i tre fattori ora indicati, i prodotti caseari, e soprattutto i formaggi, hanno avuto e mantengono un ruolo di primo piano. Anche per questi motivi in questi ultimi tempi si sta osservando la progressiva estensione mondiale dei consumi di prodotti caseari, soprattutto di formaggi stagionati, anche in paesi come la Cina dove nella popolazione vi è un’alta percentuale d’intolleranti al lattosio. Una diffusione dovuta anche al gusto di umami dei formaggi stagionati, che ben s’inserisce nella gastronomia di questi paesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastrononie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastrononie.