Tra i vari nutrienti considerati nell’alimentazione della vacca da latte troviamo i grassi o lipidi, la cui conoscenza è estremamente importante. Si ritiene che l’aumento dell’apporto di grassi nella dieta delle bovine da latte non gravide stimoli l’attività ovarica grazie all’incremento d’energia che ne consegue. Questo paradigma sembra però superato per il fatto che non è tanto l’incremento d’energia in quanto tale a migliorare la fertilità quanto l’apporto di specifici acidi grassi. In generale, comunque, gli acidi grassi agiscono sulla fertilità attraverso la loro azione sulle prostaglandine e con la sintesi degli ormoni steroidei a partire dal colesterolo, oltre a stimolare la produzione d’insulina.

I lipidi sono presenti in quota variabile nei vari alimenti e sono essenzialmente rappresentati da trigliceridi, composti da tre acidi grassi (di varia lunghezza o numero di atomi di carbonio) legati ad una molecola di glicerolo. I lipidi vengono assorbiti a livello intestinale come singoli acidi grassi dopo essere stati idrolizzati ad opera delle lipasi pancreatiche in glicerolo ed acidi grassi. Gli acidi grassi vengono classificati in funzione del numero di atomi di carbonio che li compongono e del numero di doppi legami (insaturazioni) presenti sulla molecola. Vengono definiti saturi se non hanno doppi legami oppure insaturi qualora questi legami siano presenti.

La concentrazione ed il tipo di lipidi presenti nella razione della bovina da latte sono presi in considerazione a causa del loro duplice ruolo. Innanzitutto, rappresentano una fonte energetica in quanto possono essere utilizzati dai mitocondri nel ciclo di Krebs per produrre energia, ossia ATP. I lipidi rappresentano inoltre dei costituenti fondamentali delle membrane biologiche e di molti sistemi ormonali ed enzimatici.

Come nel caso degli aminoacidi, esistono per la bovina gli acidi grassi non essenziali e quelli essenziali. I primi sono sia apportati con la dieta che prodotti dall’animale stesso. Quelli essenziali invece non possono essere sintetizzati dall’organismo e derivano quindi esclusivamente dall’alimentazione. Nei mammiferi sono ritenuti essenziali l’acido linoleico (C18:2 n-6) e l’acido α-linolenico (C18:3 n-3). Il numero che segue la “n” rappresenta la posizione del primo doppio legame, determinata contando il primo metile a partire dal fondo della catena carboniosa. N-3 è sinonimo di omega 3 (Ω 3) ed indica che il doppio legame, o insaturazione, si trova sul terzo atomo di carbonio partendo dalla fine. Altri acidi grassi insaturi, o meglio polinsaturi (PUFA), di catena più lunga, come il C20:5 e C22:6 n-3, non sono considerati essenziali in quanto sintetizzabili a partire da altri PUFA. I PUFA omega 3 più comuni ed importanti sono l’α-linolenico, l’acido stearidonico (C18:4 n-3), l’acido eicosatetraenoico (C20:4 n-3), l’acido eicosapentaenoico o EPA (C20:5 n-3), l’acido docosapentaenoico (C22:5 n-3) e l’acido docosaesaenoico o DHA (C22:6 n-3). EPA e DHA non vengono considerati essenziali perché sono sintetizzabili a partire dall’acido linolenico ma sono molto importanti per la salute della bovina. Questi PUFA sono presenti nei pesci e nelle alghe di cui si nutrono. La bovina li assume tramite l’alimentazione. Gli alimenti ricchi in acido linoleico sono l’olio di girasole, di soia e di cotone. L’acido linolenico è invece apportato essenzialmente dall’olio di lino e dall’erba fresca.

Concentrazione di alcuni acidi grassi negli alimenti destinati all’alimentazione dei monogastrici e dei ruminanti.

Un acido grasso omega 3 non può essere trasformato in un omega 6 e viceversa. Questi PUFA vengono accumulati nei tessuti come trigliceridi. Possono essere incorporati nei fosfolipidi di membrana oppure possono essere convertiti in acidi grassi a catena molto lunga o in eicosanoidi, a cui appartengono le prostaglandine e i leucotrieni. Dall’acido linoleico si forma l’acido arachidonico, precursore delle prostaglandine della serie due. L’acido alfa-linolenico viene convertito in EPA, precursore della serie tre delle prostaglandine, e in DHA, importante componente delle membrane cellulari. È da tenere presente che le prostaglandine della serie tre e quelle della serie due sono antagoniste. Gli acidi grassi omega-3 formano le prostaglandine della serie 3 e i leucotrieni quelle della serie 5, svolgendo pertanto un azione antinfiammatoria e vasodilatatrice. Gli acidi grassi omega-6 invece danno origine alle prostaglandine della serie due ed ai leucotrieni della serie 4, svolgendo pertanto un azione vaso costrittiva di attivazione dei polimorfonucleati (PMN) e della permeabilità vasale, e quindi infiammatoria.

Le prostaglandine devono il loro nome al loro primo isolamento eseguito a partire dal liquido seminale umano e quindi derivante dalla prostata. Sono prodotte dall’ossidazione dell’acido gamma-linolenico, l’acido arachidonico e l’EPA ad opera della ciclossigenasi (COX) che genera rispettivamente la serie 1, 2 e 3 delle prostaglandine, strutturalmente simili ma con effetti biologici diversi, se non addirittura opposti. Come i leucotrieni, altri composti dell’acido arachidonico, hanno un attività ormonale localizzata ma, a differenza degli ormoni, sono costituite da acidi grassi, sono prodotte dalle membrane cellulari e il loro tessuto bersaglio è lo stesso da cui sono prodotte.

Il fabbisogno di acidi grassi essenziali (EFA) nei ruminanti non è stato completamente definito. Per Holman la carenza di EFA si verifica quando tra l’acido eicosatrienoico e l’acido eicosatetranoico, presenti sulle membrane degli eritrociti, c’è un rapporto > 0.4. In condizioni normali l’acido linoleico provvede alla sintesi dell’acido eicosatetranoico. Anche in assenza di un fabbisogno standard si stima che per la crescita ed il mantenimento siano necessari 88 mg per kg di peso di acido linoleico.

Nell’alimentazione dei monogastrici e dell’uomo in particolare, il fabbisogno giornaliero consigliato di PUFA omega-3 è di circa 0.2 grammi al giorno. Nella bovina in lattazione stabilire il fabbisogno di EFA è estremamente difficile. Gli acidi grassi insaturi ingeriti dall’animale vengono infatti modificati dal rumine attraverso la bio-idrogenazione, ossia la progressiva saturazione dei doppi legami ad opera degli ioni idrogeno presenti in questo organo.

Esempio di bio-idrogenazione ruminale a carico dell’acido linoleico (C18:2).

Questo meccanismo serve a preservare l’integrità dei batteri ruminali dal momento che questi polinsaturi sono tossici per la biomassa ruminale. La bio-idrogenazione dell’acido linoleico e dell’acido linolenico è rispettivamente dell’86 e 82% rispetto alla quantità ingerita.

La loro secrezione nel latte varia dal 30 al 60% del totale ingerito e tale meccanismo è ad oggi incontrollabile. La bio-idrogenazione, o meglio saturazione, porta alla produzione di acido stearico, ossia di C18:0 saturo. In virtù dell’elevata velocità di transito ruminale e del periodico svuotamento del contenuto di questo organo è possibile trovare nell’intestino, e quindi nel sangue circolante, degli acidi grassi intermedi, frutto di un’incompleta bio-idrogenazione e che possono avere effetti benefici sulla salute umana.

È questo il caso dello sviluppo dell’acido linoleico coniugato (CLA), isomero dell’omologo acido grasso, chimicamente definibile come n trans-10, cis-12 CLA, anche se di questi isomeri ne esistono diversi. L’effetto positivo sulla salute umana è a tutti ben noto: CLA previene infatti malattie croniche come l’aterosclerosi, le infiammazioni e le malattie coronariche. A ciò però spesso si accompagna un deprezzamento qualitativo del latte per la riduzione della sua percentuale di grasso a causa di un meccanismo d’interferenza a livello mammario. Sono sufficienti 2.5 gr al giorno di trans-10, cis 12 C18:2 per ridurre del 25% la percentuale di grasso del latte. Questo meccanismo è tuttavia benefico per la bovina in quanto la produzione di grasso del latte, oltre ad essere costosa in termini energetici, sottrae “combustibile” al ciclo di Krebs. Per ovviare a questo inconveniente oppure per pilotarlo qualora si voglia risparmiare energia o arricchire il latte di CLA la Cornell university consiglia di non apportare con la razione più di 600 gr di PUFA, evitando che il C18:1trans sia superiore a 70 gr al giorno. In uno studio di Timmons del 2001 si evidenzia come con le diete normalmente somministrate alla bovina da latte l’acido linoleico vari dall’1.3 al 2.6% della sostanza secca e l’acido linolenico dello 0.3%.

 

Rubrica a cura di Vetagro


 

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