Con questo articolo ci addentriamo oggi nella realtà di una storica azienda calabrese che ha fatto del cambiamento e dell’innovazione la sua mission, passando da cerealicola a zootecnica, cambiando specie e diversificandosi introducendo la trasformazione e il biogas in un’ottica di circolarità e mitigazione dell’impatto delle produzioni sull’ambiente.

Si tratta dell’azienda agricola Favella, una delle più antiche della Piana di Sibari, la pianura più estesa della Calabria, identificata come il primo sito in Europa dove l’uomo, circa 8.000 anni fa, iniziò la sua attività di agricoltore. Per localizzarla in maniera più precisa, il centro aziendale si sviluppa nel comune di Corigliano – Rossano in provincia di Cosenza. Attualmente si parla di Favella Group, con capofila Sud Rienergy Soc. Agr. S.r.l., in quanto dal 2015, dopo l’avvicendarsi di 3 generazioni, i due eredi della famiglia Rizzo attualmente alla guida hanno deciso di operare una scissione da cui sono originate una serie di società connesse che gestiscono vari rami di azienda, tra cui: l’allevamento di circa 600 bufale, il caseificio, il laboratorio di trasformazione dei prodotti agroalimentari e la coltivazione dei terreni destinati sia a colture foraggere (circa 150 ettari  tra mais, triticale ed erba medica) che ad uliveti (altri 20 ettari circa) e frutteti di clementine, susine e pesche.

Nonostante si presenti attualmente così strutturata e sviluppata su una superficie di circa 200 ettari totali, possiamo comunque affermare che questa realtà si identifica con la storia della famiglia, che 90 anni fa, acquistò un piccolo lotto di terreno appartenente al latifondo di una famiglia nobile, ed iniziò a coltivare grano e allevare pecore e un piccolo nucleo vacche podoliche, a servizio dell’attività cerealicola per garantire la concimazione dei campi.

Per capire poi come da questo inizio si sia arrivati alla realtà odierna abbiamo rivolto qualche domanda al dr. Pasquale Rossi, medico veterinario ed amministratore della società Sud Rienergy Soc. Agr. S.r.l., che gestisce l’allevamento bufalino.

Dal grano alla produzione in proprio di mozzarella di bufala, quali sono state le scelte strategiche che vi hanno guidato in questo percorso?

«Il primo importante passo imprenditoriale possiamo farlo risalire alla gestione dell’Avvocato Giovanni Rizzo, rappresentante della seconda generazione della famiglia fondatrice, che ebbe l’idea di dare un’impronta più specialistica all’azienda potenziando la parte zootecnica, ed importando negli anni ’60 un nucleo di bovine di razza Frisona provenienti dal Canada. Avviata la produzione entrò a far parte della Cooperativa “Centrale del Latte di Cosenza” e, assieme al dr. Nola, altro grande allevatore di bovini, si fecero promotori, come membri di Asso.La.C. Società Cooperativa Agricola, della creazione della Centrale del Latte di Cosenza. Contemporaneamente in azienda iniziano a pensare ad una diversificazione delle produzioni agricole e, tenuto conto della vocazione dei terreni, si parte con la coltivazione di alberi da frutto,  in particolare clementine e susine. L’allevamento arriva a contare circa 400 bovine da latte con produzioni giornaliere che si attestano sul 120 q.li di latte alta qualità e fino al 2005 si va avanti in questa direzione».

Dunque 40 anni di produzione di latte bovino con grandi soddisfazioni, per quale motivo allora rivolgersi alla specie bufalina?

«Nel momento del subentro dei due figli dell’Avv. Rizzo, inizia un periodo storico piuttosto complicato per il comparto bovino, ma che al tempo stesso si è rivelato strategico nella decisione di cambiare veste. Si avvertivano le difficoltà nella produzione del latte e il prezzo stabilito dalla governance della Centrale non lasciava grandi margini,   al contempo però il prezzo delle quote latte ancora era alto, sebbene si iniziasse a parlare della loro abolizione. Dunque una congiuntura perfetta che ha spinto la terza generazione della famiglia a considerare alcune possibili alternative da attuare, ed è così che è nata l’idea di passare all’allevamento delle bufale».

Come è stato questo passaggio dalla specie bovina a quella bufalina?

«Nel giro di un anno l’azienda è stata interamente trasformata in allevamento bufalino, e facendo tesoro dell’esperienza avuta con i bovini, si è deciso di mantenere un approccio basato sulla selezione genetica ed il miglioramento delle produzioni attraverso lo strumento dei controlli funzionali. L’utilizzo della fecondazione artificiale sul 90% dei capi adulti ha permesso di accelerare molto il processo selettivo e ad oggi si sono raggiunti dei risultati soddisfacienti se pensiamo che la media produttiva per bufala si attesa sui 30 q.li anno contro una media nazionale di 24,8 q.li/anno».

A proposito di risultati, potete darci qualche informazione in più sulle performances del vostro allevamento?  

«Assolutamente si, vi riportiamo schematicamente i dati produttivi e riproduttivi relativi all’anno 2021 dove la presenza media delle bufale in mungitura è stata di 235 capi»:

PARAMETROVALORE RILEVATO
Età al primo parto30 mesi
Periodo parto – prima inseminazione 80 giorni
Numero inseminazioni per gravidanza1,4
Periodo parto - concepimento108 giorni
Tasso concepimento al primo servizio69,3%
Interparto medio 418 giorni
Parametri qualitativi del latte:
Grasso: 8,13
Proteine: 4,59
Cellule somatiche: < 120.000

L’idea della trasformazione interna del latte è nata contestualmente o avvenuta tempo dopo?

«Sin da subito si è pensato alla trasformazione del latte in azienda in quanto, non ricadendo nell’areale di produzione della DOP, era necessario dare una connotazione propria al prodotto, e si è convenuto che una valida soluzione potesse essere quella del marchio aziendale. Inoltre dopo soli tre anni dall’inizio dell’allevamento bufalino, e più precisamente nel 2008, il prezzo del prodotto venduto tal quale ha subito gravi ripercussioni a seguito della problematica legata alla diossina, dunque la filiera chiusa è stata vista come la via maestra per riuscire a conseguire degli utili adeguati e si è avviata un’attivita di caseificazione strutturata che ad oggi vede la produzione non solo della mozzarella ma anche di formaggi freschi, brie, caciocavallo e taleggio che vengono venduti in tre punti vendita, uno all’interno del centro aziendale e due esterni».

Dunque possiamo dire che la realizzazione di una filiera chiusa ha portato all’azienda i risultati attesi?

«Sicuramente i risultati sono stati soddisfacienti ma, come in tutte le cose, si può sempre migliorare, e questo spirito, che continua a guidare la famiglia Rizzo giunta ormai alla quarta generazione, ha portato all’implementazione di ulteriori  attività andando avanti nel tempo. Così nel 2012, ad esempio,  è stato realizzato un impianto di biogas da 1 megawatt che ha fornito una valida soluzione per la gestione dei reflui zootecnici e dei sottoprodotti del processo di caseificazione (in particolare del siero) contribuendo anche a ridurre i costi e l’impatto ambientale dell’allevamento in sé in quanto il digestato ottenuto dalle fermentazioni viene reimpiegato sia come fertilizzante (fase liquida) che come ammendante (fase solida). Sono state potenziate anche le produzioni vegetali di ortaggi e frutta dando avvio ad una linea completamente dedicata alla trasformazione e commercializzazione a marchio dei prodotti agroalimentari con la produzione di conserve, succhi di frutta, marmellate, verdure sott’olio. Ma non finisce qui, l’ultima recente innovazione introdotta è stata la coltivazione e trasformazione delle bacche di Goji i frutti di un arbusto spontaneo di origine tibetana dai diversi pregi nutrizionali e fitoterapici, che sembrava impossibile riuscire a coltivare fuori dalla zona di origine e di cui, invece, attualmente l’azienda Favella è la prima realtà agricola produttrice in Europa».

Dunque abbiamo avuto modo di curiosare anche un po’ sulle attività svolte dagli altri rami di azienda, ma prima di chiudere la nostra chiacchierata vorrei tornare sull’allevamento bufalino e chiedere al dr. Rossi in che modo gestiscano al loro interno aspetti critici di questo settore quali la biosicurezza e la gestione degli annutoli.

«Allora, per quel che riguarda la biosicurezza vengono messe in atto tutte quelle azioni preventive correlate all’ingresso di persone o mezzi dall’esterno. Resta però il problema più grande che è quello legato ai selvatici, ed in particolare ai cinghiali che distruggono le recinzioni apposte sul perimetro aziendale e ai colombi che difficilmente possono essere tenuti lontani con metodi di contenimento fisici. Riguardo gli annutoli, proprio per questioni di biosicurezza, la gestione attuata è la medesima utilizzata nella maggior parte degli allevamenti, che prevede l’allontanamento precoce del vitello per salvaguardare appunto la mandria dalla diffusione delle principali malattie trasmissibili. Se parliamo poi di mercato dei maschi, purtroppo il nostro non è interessato né preparato a livello nazionale, pertanto dopo un piccolo periodo in cui si è provato ad ingrassarli con poco ritorno, ad oggi si è deciso di venderli  il prima possibile. Sarebbe opportuno però lavorare su questo aspetto perché il profilo nutritivo della carne di bufala è caratterizzato da basso contenuto in colesterolo e trigliceridi, rivelandosi pertanto ottimo dal punto di vista salutistico».

Su queste riflessioni con il dr. Rossi terminiamo il nostro viaggio attraverso i primi 90 anni di attività dell’azienda Favella con una consapevolezza decisamente rafforzata, ovvero quanto sia importante all’interno di un processo produttivo, qualunque esso sia, il mettere in atto il principio, su cui si basa peraltro il controllo qualità, del “miglioramento continuo”, perché in ogni attività qualcosa da migliorare, seppur piccola, c’è sempre!