Siamo ormai assuefatti al fatto che molti argomenti tecnici e umanistici invece di stimolare riflessioni prudenti e argomentate innescano scontri tra tifoserie contrapposte.

Recenti cronache giornalistiche hanno riportato una serie di gravissimi episodi patologici a carico di bambini che hanno mangiato formaggi a latte crudo.

L’opinione pubblica si è subito divisa in tre schieramenti di cui però non riusciamo a quantificare la popolosità.

Il primo è quello che difende a spada tratta l’utilizzo del latte crudo per fare i formaggi definendo i gravi fatti occorsi ai bambini del tutto sporadici, meritevoli sì di pietà ma senza mettere a rischio la tradizione dei formaggi a latte crudo.

Il secondo schieramento li vorrebbe vietare senza se e senza ma, mentre il terzo ritiene che sia importante capire meglio i rischi di queste lavorazioni e cosa mettere in atto per tutelare la salute della gente.

Ovviamente noi di Ruminantia ci riconosciamo in questa terza categoria.

Come primo contributo a questo delicato argomento abbiamo voluto intervistare Guido Tallone, grande esperto di caseificazione, responsabile della formazione di Agenform (Consorzio Istituto lattiero-caseario di Moretta) e autore del best seller “Il caseificio nell’azienda agricola”.

Molte DOP italiane vengono fatte con il latte crudo, come ad esempio il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, ma anche tante piccole produzioni artigianali preferiscono questa modalità di lavorazione sia per il rispetto della tradizione e sia perché i palati più fini apprezzano la superiorità organolettiche delle produzioni casearie a latte crudo.

I batteri responsabili di queste tossinfezioni alimentari sono tanti e molto pericolosi, come gli stafilococchi coagulasi positivi e alcuni ceppi di Escherichia coli produttori di Shiga-tossina (STEC).

Tutti batteri sono sensibili alla pastorizzazione, ma questa distrugge anche quei microrganismi che conferiscono al latte caratteristiche organolettiche uniche.

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