Parlare di cibo

Agli italiani piace mangiare ma anche parlare di cibo, come dimostra la centralità del verbo mangiare nel vocabolario e l’eccezionale forza derivativa, e soprattutto compositiva, della lingua italiana che, secondo il dizionario De Mauro, ne ha creato una famiglia lessicale di ben 57 termini, tra cui mangime, mangereccio, mangione, mangiaebevi, mangiapagnotte, mangiapatate, mangiasego, mangiarino, mangiata, mangiucchiare ecc., per non elencare anche i composti del senso figurato del verbo mangiare.

Un’altra dimostrazione dell’importanza che il cibo ha per gli italiani la si trova nei proverbi. O. Salis e T. Cristea (A tavola non si invecchia. Alcune considerazioni sulla filosofia del mangiare in proverbi e modi di dire italiani – Parole da gustare. Atti del Convegno Di mestiere faccio il linguista. Percorsi di ricerca, Palermo – Castelbuono 4-6 maggio 2006; a cura di M. Castiglione, G. Rizzo, 2007), consultando quindici raccolte di proverbi e modi di dire d’Italia, di cui sei di diffusione regionale o dialettale, tra le quali le ricerche di S. Benvenuti, S. Di Rosa (Proverbi italiani – Club degli Editori, 1980), R. Schwamenthal e M. L. Straniero (Dizionario dei proverbi italiani. 6.000 voci e 10.000 varianti dialettali – Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1991) ne hanno trovati ben 335 che riguardano i cibi, e l’atto e la qualità del mangiare, comprendenti 174 termini sull’argomento. Una dimostrazione che mangiare non è solo un fatto biologico, di sopravvivenza, ma è anche un atto simbolico, di identificazione e persino, a momenti, un atto di appropriazione e interiorizzazione simbolica del reale. Tra questi proverbi, con diversi termini, i formaggi e i caci occupano un posto non secondario con 36 proverbi a loro dedicati.

L’argomento cibo compare di frequente oggi come ieri nel discorso proverbiale e sul piano storico. Terence Scully (The Art of Cookery in the Middle Ages – Woodbridge, Suffolk (Boydell & Brewer), 1995) ha raccolto centinaia di proverbi di contenuto alimentare della tradizione medievale francese e inglese, ordinandoli attorno alle questioni più varie: fame e sete; qualità, virtù o pericoli di singoli prodotti; cucina; ricette; preparazione dei piatti; consumo del cibo; allestimento e servizio dei pasti. Dei temi alimentari si fa spesso un uso metaforico: i cibi, la cucina, il mangiare sono assunti non solo nella loro dimensione materiale ma anche come termini di confronto e come occasioni per riflettere sulla condizione umana, con ogni sorta di stili retorici, similitudini, equivalenze, confronti, giochi linguistici, equivoci e strizzate d’occhio.

Il formaggio nei proverbi italiani

Nei tantissimi proverbi italiani, e in particolare in quelli che riguardano il formaggio, si parla di delizie culinarie in sé e non come immagini metaforiche, per il semplice fatto che esse rappresentano un valore incontestabile e condiviso da tutti. Secondo O. Salis e T. Cristea gli ordini principali dei proverbi sono due: essi infatti possono essere di tipo prescrittivo-regolativo o di tipo persuasivo.

Riferendoci ai proverbi che riguardano i formaggi, al primo gruppo appartengono i proverbi-promemoria, veri ricettari o consigli di cucina. Alcuni insegnano i trucchi per la scelta degli ingredienti e la preparazione di piatti prelibati (per esempio il proverbio toscano che dice che formaggio non guasta sapore), altri invece insegnano cosa non fare in cucina o cosa fare o evitare a tavola (Come il cacio sui maccheroni, Da la tèvla a n’alveret mai/ se la tô bòca la n’sa ed furmaj – Dalla tavola non alzarti mai se la tua bocca non ha assaporato il formaggio, Il formaggio è cibo sano se ne mangi poco e piano).

Ai proverbi di tipo persuasivo sono riconducibili quelli che inneggiano alle bontà del formaggio encomiandolo, come Il cacio dà forza ai vecchi, Formaggio, pane e pere pasto da cavaliere, e gli esempi potrebbero continuare.

Altre volte il proverbio può assumere una forma molto elaborata e di tipo encomiastico, come Formaggio pecorino di Casabona e pesce di Crotone, Cacio di marina e carne montanina, Cacio di marzo e ricotta di maggio.

Nei proverbi, si dice, risiedeva la saggezza di un popolo. Nei loro modi di dire pieni di umorismo e di gioia di vivere gli italiani si atteggiavano ad altrettanti cuochi volontari che decantavano i piaceri del palato, scambiando ricette, passando festosi momenti a tavola ed esclamando bonariamente che in bocca è peccato quello che c’esce, non quello che c’entra! Oggi i proverbi sembrano scomparsi e proprio per quanto riguarda quelli che si riferiscono al formaggio bisogna ricordare quanto riferisce Massimo Montanari nel piacevolissimo libro Il formaggio con le pere. La storia in un proverbio”(Roma-Bari, Laterza, 2008) quando afferma che i motti, le sentenze, gli aforismi nascono da riflessioni sul senso della vita, sul comportamento da tenere in questa o quella occasione, e sulle soluzioni da dare ai problemi pratici della sopravvivenza e della convivenza. Un aiuto che l’uomo offre a un altro uomo, scrive Giuseppe Pontiggia, una guida per evitare l’errore o porvi rimedio, il conforto che l’esperienza può dare a chi deve ancora affrontarla. Rispetto ai consigli d’autore di cui è ricca la tradizione letteraria, una caratteristica del proverbio è di non essere firmato ma frutto di una saggezza collettiva che si tramanda in maniera anonima e impersonale. In tal modo i proverbi, continua Massimo Montanari, si stratificano nel tempo fino a costituire nelle culture orali l’equivalente delle auctoritates nelle società letterate. Come ha scritto Piero Camporesi, in un mondo analfabeta come quello contadino il proverbio condensa il sapere non firmato del gruppo, anche se, non di rado, proprio un testo firmato può essere all’origine del proverbio, spesso rielaborato a partire da una citazione letteraria.

Molti sono i proverbi italiani sul formaggio e ognuno potrebbe essere argomento di approfondimento o anche di un libro, come quello citato di Massimo Montanari, ma in questa sede è sufficiente ricordare quelli più importanti.

Proverbi italiani sul formaggio

Al contadino non gli far sapere quanto sia buono il cacio colle pere.

Bocca non é stracca se non sa di vacca

Burro di vacca, cacio di pecora, ricotta di capra.

Cacio di marina e carne montanina.

Cacio di marzo e ricotta di maggio.

Cacio serrato e pane bucherellato.

Cacio vecchio e latte giovane

Cacio, pane e pere, cibo da cavaliere.

Cadere come il cacio sui maccheroni.

Candia, cera veneziana, magli romaneschi, sproni viterbesi, cacio di Creta, raviggioli fiorentini.

Chi mangia pane e cacio non si vede mai sazio.

Come il cacio sui maccheroni

Da la tèvla a n’alveret mai/ se la tô bòca la n’sa ed furmaj (Dalla tavola non alzarti mai se la tua bocca non ha assaporato il formaggio)

Formaggio e ricotta fanno le leggi storte.

Formaggio non guasta sapore.

Formaggio pecorino di Casabona e pesce di Crotone

Grandine di maggio/ruba vino, grano e formaggio

Il cacio dà forza ai vecchi.

Il cacio è rovinacasa.

Il cacio è sano, se vien di scarsa mano.

Il formaggio è cibo sano se ne mangi poco e piano.

Il formaggio è sano, se vien da avara mano.

Il formaggio sulla zuppa non guasta mai.

Il villano venderà il podere, per mangiar cacio, pane e pere.

La salsiccia senza il pan unto è come festa senza alloro, casa senz’orto e lasagne senza cacio.

Latte fresco e caglio vecchio fanno il buon formaggio.

Pane bucato e cacio cieco.

Pane bucato e cacio serrato.

Pane cogli occhi e formaggio senz’occhi.

Pane cogli occhi, e cacio senz’occhi, e vin che cavi gli occhi.

Pane e formaggio cibo da saggio.

Pane e formaggio e vino colmo.

Salame vicino al culo, formaggio vicino alla crosta, carne vicina all’osso: la roba più buona da mangiare.

Se la cena non basta alle attese, il formaggio ne paga le spese.

Vin che salti, pan che canti, formaggio che pianga.

Vino ballerino, pane canterino e cacio pizzichino.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.