Le colture post raccolta possono supportare la crescita di un’ampia gamma di microrganismi, la maggior parte dei quali ne degraderà però il valore nutritivo per il bestiame. Tuttavia, attraverso il controllo dell’ambiente di conservazione è possibile monitorare l’attività microbica pilotandola verso una fermentazione naturale degli zuccheri da parte dei batteri lattici e desiderati, tenendo lontani i microrganismi dannosi. Per ottenere questo è indispensabile l’applicazione di alcune regole fondamentali normalmente conosciute dagli zootecnici, ma anche conoscere i microrganismi presenti sulla coltura prima dell’insilamento ed il cambiamento nei loro rapporti durante questo processo.
E’ da ricordare che il raccolto al momento dell’ingresso nel silos presenta già un’ampia gamma di microrganismi (tabella 1). Come ci si aspetta, i microrganismi predominanti sono gli aerobi mentre i batteri lattici, da cui dipende l’insilamento, sono presenti in ordini di grandezza inferiori.
Tabella 1 – Tipica popolazione di batteri e funghi presenti nelle piante prima dell’insilamento (Pahlow et al., 2013).
Gruppo | Popolazione |
---|---|
Batteri aerobi totali | >10.000.000 |
Batteri lattici | 10-1.000.000 |
Enterobatteri | 1000-1.000.000 |
Lieviti e funghi | 1000-100.000 |
Muffe | 1000-10.000 |
Clostridi | 100-1.000 |
Bacilli | 100-1.000 |
Batteri acetici | 100-1.000 |
Batteri propionici | 10-1.000 |
La rapidità con cui si alternano le varie specie batteriche e l’intensità delle loro fermentazioni determinano la riuscita o meno dell’insilamento.
Il foraggio che si ammassa nel silo deve essere microbiologicamente “pulito”. Ciò significa che l’insemenzamento microbico, inevitabilmente misto, deve contenere il più possibile microrganismi positivi (fermenti lattici vivi e vitali) ed il meno possibile microrganismi negativi (patogeni/tossigeni, germi alteranti e spore batteriche). In pratica, occorre evitare di contaminare il foraggio con terra, sterco, acqua non potabile, cadaveri di animali, ecc. e, al contrario, arricchire il foraggio con inoculi specifici di fermenti lattici in grande numero (idealmente > 1.000.000 di UFC/grammo). Queste norme igieniche, se accompagnate da una tecnica corretta d’insilamento, garantiscono un prodotto sicuro, appetibile, nutriente e salutare.
Le condizioni più importanti per ottenere un insilato di ottima qualità sono rappresentate in 4 fasi:
- fase aerobica: che riguarda le prime 24 ore.
- fase di fermentazione: che inizia quando tutto l’ossigeno è stato consumato. Dura di solito 1-3 settimane, in relazione alle caratteristiche del foraggio (tenore di umidità e di zuccheri, potere tampone, lunghezza di trinciatura) ed alle condizioni d’insilamento.
- fase stabile: in cui l’attività biologica è ridotta al minimo. L’insilato, se è prevalsa la fermentazione lattica, è diventato una “conserva vegetale” ottima, stabile e assai durevole.
- fase di deterioramento aerobico: all’apertura del silo, e nel corso del desilamento, l’ossigeno si infiltra nella massa insilata e può permettere una crescita vigorosa della microflora aerobia, determinando trasformazioni alterative che, se non governate, vanificano il buon lavoro compiuto in precedenza.
Perché avvenga la fermentazione lattica è importante che le condizioni anaerobie siano stabilite il prima possibile, in modo tale che i batteri lattici possano prendere il sopravvento sul resto della popolazione. Ci si troverà, quindi, di fronte ad una serie di reazioni dominanti che avranno come risultato predominante l’acido lattico ed in minor quantità anche anidride carbonica, acido acetico ed etanolo, a seconda della via eterofermentativa o omofermentativa.
Parallelamente alle fermentazioni, si assiste ad un abbassamento del pH grazie anche alla formazione di acidi. Suddetto processo è di fondamentale importanza per preservare in maniera idonea e sicura un ottimo raccolto. I principali concorrenti batterici dei fermenti lattici in condizioni anaerobiche (enterobatteri, clostridi e bacilli) vengono inibiti raggiungendo un pH sufficientemente basso. Una volta che il pH scende al di sotto di 4,5-5,0, gli enterobatteri ed i bacilli sono inibiti e calano solitamente al di sotto dei livelli rilevabili entro pochi giorni.
A bassi valori di pH, però, è possibile trovare i clostridi (ad esempio C. tyrobutyricum, uno dei principali fermentatori dell’acido lattico in acido butirrico) i quali possono crescere a valori di pH inferiori rispetto agli enterobatteri e ai bacilli, risultando quindi più difficili da controllare. Per questo motivo è importante comprendere l’interazione tra pH, contenuto di sostanza secca e coltura. Infatti, maggiore sarà l’umidità di ingresso del foraggio nel silos più rischiosa sarà la possibilità di contaminazione da microrganismi indesiderati.
Insilare un raccolto molto umido richiede un pH inferiore per prevenire la crescita dei clostridi. Le erbe, compreso il mais, hanno un’attività dell’acqua più elevata a un dato contenuto di sostanza secca rispetto alle leguminose come l’erba medica; è quindi necessaria la fermentazione ad un pH inferiore per prevenire la crescita di clostridi. In alcune colture, infatti, il produttore potrebbe aver bisogno di appassire il raccolto ad un alto contenuto di sostanza secca (riducendo la quantità di fermentazione necessaria per inibire i clostridi) o di utilizzare un additivo per ottenere un pH inferiore a quello possibile con la fermentazione naturale.
Sfortunatamente, la fermentazione batterica dell’acido lattico raramente abbassa sufficientemente il pH o produce abbastanza acido acetico per prevenire la crescita di lieviti e muffe negli insilati. Molti lieviti e muffe, così come i batteri dell’acido acetico, cresceranno a pH 3.5, ben al di sotto del normale pH dell’insilato. Una volta che l’ossigeno è presente, lieviti, muffe e batteri dell’acido acetico possono iniziare a crescere sugli insilati, utilizzando prodotti di fermentazione e zuccheri residui e producendo anidride carbonica, acqua e calore. Man mano che i prodotti di fermentazione si esauriscono, il pH dell’insilato aumenta. Una volta che il pH è superiore a 4,5, un’ampia varietà di altri microrganismi aerobici può crescere, rovinandolo ulteriormente e provocando un riscaldamento ancora maggiore. Tutte queste perdite coinvolgono le parti più digeribili del prodotto e possono essere prevenute solo mantenendo l’ossigeno fuori dal silo e riducendo al minimo l’esposizione dell’insilato all’ossigeno durante lo svuotamento del silo.
La presenza di microrganismi indesiderati e patogeni, associata alle alte temperature che l’insilato può raggiungere in condizioni sfavorevoli, è molto pericolosa per la salute dei bovini, e può danneggiare le proteine delle piante e renderle indisponibili sia per i batteri ruminali sia per l’assorbimento intestinale degli aminoacidi. La sintesi di sostanze quali, ad esempio, le amine biogene rende inoltre l’insilato meno appetibile. Oltre ai Clostridi, è possibile riscontrare la listeria (batterio portato dal terreno, che si sviluppa quando per un difetto iniziale di anaerobiosi il pH non si è abbassato sufficientemente e rapidamente), funghi del genere fusarium (muffa che elabora sostanze tossiche come la tossina “T2”), Trichothecene (responsabile della cancrena secca della estremità della coda), Fumosina B1, Deoxinivalenolo o Vomitossina, nonché la tossina “F2” (zearalenone), che manifesta proprietà epatotossiche, ematiche e soprattutto estrogeniche e che può essere all’origine di aborti e turbe della funzione riproduttiva (infertilità), e muffe del genere aspergillus (in grado di elaborare ben 12 aflatossine differenti, alcune delle quali di spiccata azione epatotossica e cancerogena).
Bibliografia
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