Burro antico alimento

Il burro nasce con l’addomesticamento degli animali ruminanti da parte dei popoli pastori. L’immagine più antica che lo ritrae risale all’epoca sumerica di 4500 anni fa. Sono gli Arii, stabilitisi in India nel II millennio a. C., che migliorano questo prodotto con una cottura a bagnomaria, eliminando la maggior parte dell’acqua e della caseina e creando quindi il burro chiarificato che si conserva più a lungo.

Più volte citato già nell’Antico Testamento, il nome “burro” nell’antichità deriva da bos e tyros per la sua origine dal latte bovino. Gli antichi Romani utilizzano il burro come cosmetico, pomata cicatrizzante e unguento e sono stupiti dai barbari che lo usano come alimento, mentre loro utilizzano l’olio nella triade del grano, vino, olio. Nel Medioevo, in un sistema alimentare basato sullo sfruttamento delle risorse naturali piuttosto che sull’attività agricola, sulla caccia anziché sull’allevamento, sulla civiltà del latte contro quella del vino, il burro inizia ad acquistare sempre più spazio. All’inizio del XV secolo, Papa Martino V si porta dalla Germania il proprio cuoco di fiducia, il tedesco Giovanni Bockenheym, che tra il 1431 ed il 1435 scrive il Registro di cucina dove elenca 74 ricette raccolte durante il pontificato del papa. Dei sei termini che il cuoco utilizza per designare i diversi tipi di grasso, solo tre, ovvero lardo, burro, olio (la triade classica), sono determinati. Fondamentalmente la religione cristiana non pone limiti nella scelta degli alimenti ma questo non evita che, soprattutto sotto le influenze di movimenti monastici, compaiano periodi di digiuni, astinenze, distinzioni tra cibi magri e grassi con le più diverse regolamentazioni e interpretazioni. Così il burro, apprezzato in certe regioni e periodi come un grasso di Quaresima, altrove è relegato ai giorni di magro della settimana.

Burro per la cucina di élite

Nell’ultimo millennio in Italia la scelta delle materie grasse di uso quotidiano dipende molto dalla condizioni geografiche ed economiche. L’uso del burro rimane in buona parte confinato nella cucina dei ceti più ricchi e nel complesso della popolazione è impiegato solo nel 15% delle ricette a vantaggio dell’olio, del lardo o dello strutto. Anche nell’Italia meridionale la cucina dei nobili usa il burro e in un manoscritto napoletano di fine ‘400 si evidenzia che questo prodotto è adoperato più del lardo e quasi quanto l’olio. Nel Rinascimento il burro diventa il grasso di maggiore utilizzo nella gastronomia italiana e europea, acquistando una posizione di prestigio che mantiene in tutta la fastosa cucina borghese che arriva fin quasi ai giorni nostri. La mappa delle abitudini italiane in materia di grassi alimentari risulta quindi molto variegata se non quasi paradossale. Nonostante le difficoltà d’approvvigionamento e di conservazione, o piuttosto proprio a causa di esse, le élite meridionali trovano nel burro un’occasione per distinguersi dal resto della società, mentre al nord avviene il contrario. Per questo motivo a un sud del burro si contrappone un nord dell’olio. Diversamente dalle élite, il grasso per il popolo è d’origine suina ed è quindi rappresentato da lardo e strutto.

Non uno, ma molti burri

Il burro si ottiene dalla lavorazione del latte vaccino ed è uno dei più antichi metodi per conservare il grasso di questo alimento. Le sue caratteristiche di colore, che va dal bianco candido al giallo intenso, e di consistenza dipendono dall’alimentazione delle vacche da cui si ricava il latte. La composizione del burro e la sua percentuale di grassi, che può arrivare fino all’85% del prodotto finito, dipendono dai sistemi di produzione. Molto digeribile anche crudo, grazie al suo contenuto di acqua è meno calorico degli oli.

Diverse sono inoltre le tipologie di burro esistenti in commercio: Ordinario (ottenuto dalla lavorazione della crema di latte e non dal siero), Centrifugato (prodotto con il latte appena munto), Burro di caseificio (sottoprodotto della produzione casearia e quindi di qualità inferiore, solitamente ottenuto con il metodo di affioramento), Burro anidro (con il 99% di grassi e destinato in particolare all’industria dolciaria), Burro leggero (con ridotto contenuto di grassi, circa il 60%), Burro a basso tenore di grassi (circa il 40%), Burro chiarificato (usato principalmente per friggere), Burro salato (tipico dei paesi del Nord Europa e degli Stati Uniti).

Il burro di qualità deve avere un aspetto compatto e lucido, essere conservato ben protetto dall’aria perché in presenza di ossigeno si ossida e deve essere mantenuto in frigorifero a circa 6°C per al massimo un mese. Per una lunga conservazione il burro può essere confezionato in scatola metallica.

Burro in cucina e in pasticceria

Il burro non è più un tabù, purché usato con giudizio e cioè con moderazione, in modo opportuno e senza errori, e in cucina e in pasticceria rende migliori moltissimi piatti.

In cucina è utilizzato per realizzare salse da servire con piatti a base di verdure o pesce: la salsa bernese o la salsa olandese sono realizzate miscelando il burro con il tuorlo d’uovo, e il beurre blanc è una crema di burro montato con l’aceto o con il vino. Nella cucina internazionale è lavorato con altri ingredienti come erbe fini o spezie per essere consumato crudo. Il burro serve per mantecare risotti o come condimento di primi quali tortelli o gnocchi. E’ utilizzato per friggere o saltare gli alimenti in padella a bassa temperatura perché ha un basso punto di fumo (150 °C), soprattutto se si usa il burro chiarificato.

In pasticceria il burro entra quale ingrediente in torte, pasta sfoglia, frolle e biscotti grazie alla sua consistenza, la facile lavorabilità e sapore gradevole. Usando burro di alta qualità, questo esalterà i sapori del prodotto dolciario senza coprirne il gusto. Una pasticceria senza burro sarebbe tristemente simile a una serie di gallette insapori: niente croissant, biscotti petit beurre, frolle e sfoglie. Un limite all’uso del burro nella pasticceria sta nella breve conservabilità dei dolci e per questo l’industria dolciaria lo sostituisce con altri grassi tra i quali l’olio di palma, burro di cocco, margarina ecc.

Questo prodotto conferisce ricchezza e profondità al gusto di molti piatti, ma può anche rivelarsi un ingrediente sbagliato, ad esempio se si utilizza un burro salato quando serve quello non salato, oppure aggiungendolo troppo presto durante una cottura o bruciandolo, ma per questo valgono le regole della cucina e della pasticceria e soprattutto l’esperienza!

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.