Sul fatto che il latte, almeno quello non destinato ai prodotti a denominazione, sia una commodity, come tanta carne bovina, suina ed avicola, non credo ci siano dubbi, altrimenti non esisterebbero borse e prezzo del latte spot, e neppure contrattazioni addirittura assistite dai sindacali agricoli e dal governo. Se il latte non fosse una commodity il prezzo lo farebbe chi vende e non chi compra.

Stiamo osservando ormai da più di un anno quella che taluni definiscono una “tempesta perfetta“, ossia un non casuale aumento persistente di tutte le commodities delle categorie energetiche, non energetiche, alimentari e non alimentari.

Non è obiettivo di questo articolo riportare con esattezza di quanto tali prodotti siano aumentati contemporaneamente ed in tutto il mondo, ma alcuni numeri possono aiutare a comprendere un fenomeno che sta arricchendo a dismisura la finanza internazionale e mettendo invece in profonda difficoltà l’economia reale ed il welfare.

Il tasso di crescita su base annua ad inizio estate registrato per le materie prime non energetiche è del 36,7%, per quelle non alimentari del 23,5% e per quelle alimentari del 27,3%. Volendo fare degli esempi, i metalli di base sono cresciuti a giugno 2021 del 79,7% su base annua, con punte del 108,8% per il ferro (molibdeno +114,6%, stagno +93%, rame + 67,4%, alluminio + 56%, cobalto +51,8%, zinco + 45,7% e nickel + 41,3%).

Analoga situazione per le materie prime alimentari. La carne di maiale è aumentata del 149,7%, quella di pollo del 44,5%, la pelle del 125,6%, l’azoto come fertilizzante del 121,5%, il fosfato ammonico del 106,9%, il mais del 97,6%, i semi di soia del 68%, il frumento del 40,7% e l’olio di palma del 60,7%.

E il latte?

In Italia il prezzo medio del latte bovino alla stalla nei primi 9 mesi del 2021 è stato di 36,44 euro/q.le, mentre è stato di 35,97 euro/q.le nei primi 9 mesi del 2020, con un incremento dell’1.3%.

In un precedente articolo pubblicato su Ruminantia dal titolo “Di quanto èd aumentato il costo dell’alimentazione nelle bovine da latte dal 2020 al 2021?” abbiamo confrontato il costo di una razione standard italiana nei mesi di Settembre 2021, per una produzione media di 35 kg di latte, con lo stesso mese dell’anno precedente, prendendo come riferimento la Borsa Merci di Milano e Bologna d’inizio mese. Abbiamo poi considerato identico sia il costo dei foraggi che degli integratori e delle altre commodities, proprio per estrapolare l’effetto speculazione sulle commodities. L’articolo evidenzia un incremento del ricavo derivante dall’aumento del prezzo del latte di +0.5 euro/capo a fronte di un maggior costo, relativamente alle voci selezionate, di 1.2 euro/capo.

Traendo le dovute conclusioni dall’osservazione di questi pochi e semplici numeri, si evidenzia l’urgenza di attivare un osservatorio permanente di monitoraggio di tutti i centri di ricavo e di costo di un campione statisticamente significativo di allevamenti suddivisi per aree omogenee, utilizzando gli stessi metodi e modalità tipiche della contabilità industriale e del benchmark. L’adozione di questi strumenti è il prerequisito per una trasformazione dell’attuale rapporto allevatore-acquirente, basato sull’opportunità ed i “bracci di ferro”, in un rapporto di filiera. Una contrattazione basata su indicatori legati ai prezzi di vendita di alcuni formaggio o all’andamento del latte spot ha mostrato nel tempo una enorme fragilità. Un latte non commodity può essere utile a quell’industria di trasformazione che ritiene che i claim possano essere un mezzo straordinario per recuperare quei consumatori persi per ragioni etiche e salutistiche, ed al contempo aumentare il posizionamento sul mercato dei prodotti del latte, specialmente di quelli che non appartengono alle Denominazioni d’origine.