L’allevamento ovicaprino in Italia è attualmente rappresentato da 5.655.225 capi distribuiti in 110.699 allevamenti. Le prime tre regioni per numero di allevamenti, al 30 giugno 2024, risultano essere, dalla Banca Dati Nazionale, la Sardegna, la Lombardia e la Sicilia, mentre in termini di numero capi troviamo Sardegna, Sicilia e Lazio.

Scendendo nel dettaglio della produzione di carne, gli allevamenti specializzati per questo indirizzo risultano essere 37.337, ovvero il 34% circa del totale, mentre i capi da carne rappresentano il 20% del totale, con un numero pari a 1.129.493.

Considerando che le modalità di allevamento e le aree geografiche maggiormente vocate risultano di notevole interesse per i temi legati alla sostenibilità delle produzioni, alla tutela del paesaggio e al contrasto dello spopolamento delle aree marginali, può essere interessante riflettere sui dati attualmente disponibili, per capire se questa filiera può rappresentare una reale opportunità nel futuro del panorama zootecnico.

In particolare, passando in esame mano quanto divulgato nell’ultimo anno su consumi e mercati della carne ovina, diverse sono le riflessioni che scaturiscono sulle potenzialità di espansione di questo settore.

L’articolo “Ovi-caprini: in un solo anno sparite quasi 20.000 aziende“, dove nel maggio scorso abbiamo analizzato le informazioni riportate sull’ultimo report Ismea “Tendenze e dinamiche recenti Ovicaprini – maggio 2024“,  può rappresentare un ottimo punto di partenza per delineare la situazione del nostro Paese. In esso i dati pubblicati ci permettono di approfondire il tema esaminandolo da tre differenti prospettive, ovvero: produzioni nazionali, importazioni  e consumi.

Partendo dalle produzioni nazionali, negli anni 2023 e 2024 il comparto della carne ovicaprina si è così connotato:

  • il numero di capi avviati al macello nel 2023 si è significativamente ridotto rispetto all’anno precedente (-5,8%);
  • nello stesso anno la produzione di carne è calata (-4,6%), in misura meno che proporzionale, segnale che indica un orientamento verso capi più pesanti.
  • Per la Pasqua 2024 è stato, invece, stimato un aumento delle macellazioni di circa il 5% rispetto all’anno precedente, confermato anche dagli operatori che nel complesso hanno evidenziato soddisfazione per l’andamento delle dinamiche di domanda-offerta.
  • In merito ai prezzi all’origine degli agnelli, nelle settimane precedenti la Pasqua 2024, sono progressivamente aumentati raggiungendo in media il picco di 5,75 €/kg peso vivo per la categoria 8-12 kg, in linea rispetto alla stessa fase della campagna precedente (+0,9%). Una disponibilità più contenuta e livelli qualitativi elevati sono stati segnalati dagli operatori, con una tenuta dei prezzi non compromessa dal prodotto di importazione.
  • Per la categoria degli agnelli pesanti (12-20 kg), il picco raggiunto nella settimana di Pasqua è stato di 4,79 €/kg peso vivo, segnando un +6% rispetto alla stessa fase del 2023. Anche nella fase all’ingrosso, i prezzi della carne di agnello hanno raggiunto a fine marzo 2024 i 10,43 €/Kg, risultando solo leggermente al di sotto del livello della eccezionale Pasqua del 2023 (-2,7%).

Per quel che riguarda, invece, le importazioni, il 2023 ha registrato il livello più alto di importazioni delle carni ovicaprine degli ultimi cinque anni, con un valore pari a +13,9% in volumeFrancia e Spagna si sono confermati i principali fornitori, coprendo complessivamente oltre la metà delle forniture estere, e incrementando rispettivamente di +16,7% e +14,7% il volume delle loro esportazioni rispetto al 2022, anche grazie a una buona disponibilità di prodotto e a una maggiore competitività di prezzo. In forte aumento anche le importazioni di carni provenienti dall’Irlanda (+70%), mentre si sono notevolmente ridimensionati gli acquisti da Nuova Zelanda e Regno Unito, per via dei rincari dovuti al cambio e dei costi della logistica.

Sull’aspetto legato ai consumi, vediamo che:

  • quelli domestici risultano ancora fortemente influenzati da una stagionalità concentrata attorno alle festività natalizie e pasquali;
  • gli acquisti di carne ovicaprina continuano a rappresentare una nicchia rispetto alle carni fresche acquistate dalle famiglie italiane, con una quota di appena l’1,2%.
  • Nel 2023 è proseguita la flessione dei consumi (-4,4% in volume e +1,5% la spesa), confermando la dinamica negativa degli ultimi cinque anni, parzialmente interrotta solo nel 2020.
  • Nel 2023 il prezzo medio al consumo ha segnato, nel complesso, un +6,2%, che nel primo trimestre 2024 è salita al 7,2%.
  • I volumi venduti nel canale retail nel periodo pre-pasquale sono stati superiori a quelli dell’anno precedente (+6,3%), superando anche quelli del 2022 (+6,4%).
  • Nel 2023 il supermercato è stato il principale canale di acquisto (42% del totale acquisti), anche se il dettaglio tradizionale, che rappresenta un quarto della domanda, ha registrato, nello stesso anno, un notevole aumento delle vendite in volume (+18%) con fatturati cresciuti del 24%.
  • Nel primo trimestre del 2024, invece, sono stati invece gli ipermercati a raggiungere la performance migliore, con un incremento dei volumi del 25% seguiti dai supermercati che segnano un +15%, mentre i discount perdono il 28% e i negozi “tradizionali” (macellerie e banchi dei mercati rionali) il 25%.

Un ulteriore spunto che ci fornisce il report Ismea, riguarda i dati del bilancio di approvvigionamento, dai quali si desume che il consumo medio annuo di carni ovicaprine è costante nel tempo e si aggira attorno a 1 Kg pro capite; pertanto, i minori consumi domestici sono compensati da un incremento di quelli dei canali della ristorazione. Contemporaneamente, la minor produzione nazionale nel 2023, è stata in parte compensata dal prodotto importato, mentre l’incremento delle macellazioni registrato nel primo trimestre 2024 evidenzia un recupero della quota di prodotto nazionale nei banchi frigo dei canali distributivi.

I dati inerenti la distribuzione degli acquisti a livello territoriale, evidenziano una localizzazione prevalentemente al Centro-Sud (76%), e se nel 2023 solo l’areale di Centro aveva segnato una espansione (+6,1%), nel primo trimestre 2024 questa si è registrata anche a Sud (+27%) e Nord Est (+74%).

In questo scenario l’idea che sta perseguendo l’Abruzzo nel promuovere la produzione locale di arrosticini si inserisce in maniera lungimirante. Abbiamo già trattato questo argomento in alcuni dei nostri articoli, l’ultimo dei quali, a maggio scorso, affrontava proprio il tema della certificazione DOP di questo prodotto.

La questione risulta ancora dibattuta e, se nel 2018 si è costituita l’Associazione Regionali Produttori Arrosticini che ha presentato la richiesta di riconoscimento dell’arrosticino come IGP (leggi QUI), di recente l’Associazione Regionale Allevatori d’Abruzzo, insieme all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo e ad aziende agricole e industrie locali, ha avviato l’iter di domanda per la DOP, ritenendo fondamentale tutelare sia la preparazione che il legame con il territorio della materia prima (leggi QUI). Chiaramente, l’ottenimento della DOP si porterebbe dietro un’importante richiesta di carne locale, e quindi di capi, che al momento risultano essere 139.377 su un totale nazionale di 5.694.643, distribuiti in 4.606 allevamenti rispetto ai 110.699 presenti su tutta la penisola (dati BDN aggiornati al 30 giugno 2024).

Le interessanti opportunità legate al mondo della carne ovina sono, inoltre, supportate dalla ricerca scientifica che sta dedicando molto spazio a questa specialità. I motivi sono molteplici e riguardano, ad esempio, una modalità di allevamento che rappresenta anche tutela e salvaguardia del territorio, un prezzo contenuto del prodotto e la scoperta di eccellenti caratteristiche nutrizionali che la caratterizzano (leggi QUI).

Il quadro, dunque, che si viene a delineare da questa breve disamina, apre la strada ad una serie di quesiti che meritano un ulteriore approfondimento, come ad esempio:

  1. Valutando che i consumi sono circoscritti a poche aree ristrette, come si potrebbe divulgare la cultura della carne ovina nel resto del nostro Paese?
  2. Alla luce delle proprietà nutrizionali che la caratterizzano, in che modo si potrebbe incentivare il suo consumo nella popolazione?
  3. In considerazione del ruolo che l’allevamento ovino può assumere nel processo di transizione ecologica, come si potrebbe sostenere ed incentivare questa attività produttiva?

Molti sono quindi gli aspetti su cui lavorare, quello che è certo è che implementare all’interno della filiera delle efficaci strategie di comunicazione, potrebbe rappresentare una modalità vincente per far conoscere adeguatamente il settore e dargli quella spinta necessaria ad ottenere una ripresa e una possibilità concreta di espansione nel mercato nazionale.