Il dorso innevato del Massiccio del Gran Sasso separa le provincie di L’Aquila e Pescara e  rende più difficoltosa la strada per raggiungere e visitare quei paesini del versante orientale montano, che rimangono nascosti, ricchi di biodiversità, di tradizioni storiche, etniche, produttive e culturali che appartengono alla moltitudine di “microcosmi” che popolano e rendono unico al mondo il Paese Italia.

Abbiamo passato il 18 gennaio, giornata dedicata al ricordo, per ciò che accadde in quel medesimo e fatale giorno di tre anni fa, che straziò questi posti austeri e silenziosi, per il crollo dell’hotel di Rigopiano sepolto da una enorme massa di neve staccatasi dalla montagna, e che ci ha privato di 29 vite. 9 km più a valle di questa tragedia sorge la cittadina di Farindola che si appoggia su di una collina.

Questo borgo medioevale normanno abitato da circa 1500 persone era conosciuto sin dai tempi dell’Impero Romano per una sua peculiarita’ casearia, tramandata nei secoli, che ancora oggi viene prodotta seguendo la Tradizione: il Pecorino di Farindola.

Di questo formaggio, attualmente riconosciuto come Prodotto Alimentare Tradizione (PAT), ne parlava Marziale, ispanico di Tarragona, che ammaliato dalla sua bontà, da sopraffino intenditore quale era, descrisse il “Caseus Vestinus“,  così era chiamato il formaggio della Comunità montana Vestina.

Anche il comasco Plinio il Vecchio conosceva molto bene questa golosità ed il sommo gastronomo imperiale Apicio, l’Artusi-Cannavacciolo del tempo, non seppe frenarsi nell’inserirlo nel gotha delle sue raffinate ricette.

Ma quale secolare peculiarità ha questo formaggio? E’ l’unico al mondo che utilizza caglio suino e per giunta lavorato, secondo tradizione, solo da donne seguendo ricette di famiglia tramandate da secoli.

Come sia nato il modo di cagliare con succhi gastrici suini, invece che ovini caprini e bovini come di normale uso, si perde nella notte dei tempi, in una zona millenariamente votata all’allevamento di pecore e capre. Sarà nato per necessità e in modo alternativo ad un epidemia negli allevamenti? Oppure per errore, come nel caso del lievito di birra al tempo degli egizi o dello champagne grazie allo sbadato frate? Oppure per pura sperimentazione?

Chissà chi lo sa, ma sta di fatto che questo formaggio, oggigiorno a marchio PAT (Prodotto Artigianale Tradizionale), è stato prima dimenticato per poi essere “riscoperto” all’inizio degli anni duemila, con tanto di costituzione di un Consorzio di tutela.  Questo Consorzio è nato dalla collaborazione dei comuni dell’area tipica, Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, l’organizzazione Slow Food e l’A.R.S.S.A. d’Abruzzo.

Il Pecorino di Farindola viene prodotto nei comuni di Farindola, le frazioni Roccafinadamo,Trofigno, Colletrotta, Collalto e la Cima del comune di Penne, Montebello di Bertona, Villa Celiera, Carpineto della Nora, parte del territorio del comune di Civitella Casanova in provincia di Pescara. Arsita, Bisenti e parte del Territorio del comune di Castelli in provincia di Teramo.

Siccome in Abruzzo la tradizione di fare formaggio è sempre stata un retaggio femminile, l’uomo portava al pascolo gli animali mentre le donne mungevano e facevano formaggi, questa produzione artigianale familiare porta marchiata spesso sulla crosta il nome della casara, che utilizza un caglio suino lavorato su tipica ricetta di famiglia segreta e differente dalle altre.

In primis lo stomaco del suino viene tagliato a strisce e messo sotto sale per 2-3 giorni.

Successivamente i pezzi vengono marinati con vino, aceto, peperoncino, pepe in grani ed altre diverse spezie, a seconda della ricetta, e fatti macerare per 3-4 mesi in recipienti di vetro scuro. Una volta pronto, il caglio viene filtrato 5-6 giorni prima del suo utilizzo per eliminare le scorie della macerazione. Le diverse ricette di preparazione fanno si che sia impossibile ottenere una forma uguale ad un’altra all’olfatto e al gusto. L’azienda di produzione segue la prima parte della stagionatura del formaggio, quella che avviene su assi di legno, mentre la seconda parte, all’interno di madie di legno, si svolge nella Casera Consortile del comune di Farindola che ne cura la promozione e la commercializzazione a la tutela del marchio.

Il latte proviene da pecore di razza autoctona antica Pagliarola Appenninica brade, quindi alimentate al pascolo nel periodo massimo disponibile, nonostante il disciplinare preveda anche l’utilizzo di altre razze ovine. Queste pecore producono un litro di latte al giorno per un periodo di 120 giorni di lattazione, per cui questo pecorino ha una produzione limitata, stagionale, lo si può acquistare da settembre in poi, ma andando a ruba, ad anno nuovo ne rimane un quantità esigua.

Il Pecorino di Farindola è un formaggio a “latte crudo“, quindi la temperatura di lavorazione del latte non supera i 36-37 °C, a pasta semidura/dura a secondo della stagionatura, che dai 6 mesi può arrivare fino a 24, ed è per tale motivo che si compie la rottura della cagliata delle dimensioni di un chicco di mais. Ricordo che più la rottura è piccola, più il formaggio è deputato per una stagionatura più lunga. La salatura viene ancora fatta a mano, non in salamoia come nella maggior parte delle produzioni casearie, dura un paio di giorni, uno per faccia.

Per l’analisi tecnica della forma, essendo questa delizia spesso introvabile in commercio, ho deciso di ordinare una forma direttamente al Consorzio di Farindola in modo da poterla studiare e fotografare de visu, per poi gustarmela in santa pace, da solo soletto.

Allora, la forma è cilindrica del peso di 1-2 kg, la mia 1,6 kg.

La crosta ha un aspetto canestrato, in quanto per la sgrondatura la cagliata viene posata su fuscelle di vimini; durante la stagionatura viene cappata, cioè trattata con olio extravergine di oliva ed aceto o salsa di pomodoro, per cui non è edibile.

Il  colore della pasta va dal giallo paglierino al dorato, con sottocrosta avana/marrone, a seconda della stagionatura.

E’ presente nella forma che ho a disposizione una rada occhiatura piccola/media, regolare a distribuzione non uniforme.

Le aromaticità di questo formaggio variano da forma a forma, come del resto negli altri latte crudo, ulteriori variabili sono rappresentate dalle differenti ricette del caglio suino e dalle diverse tipologie erbe ed infiorescenze brucate dalle pecore secondo la stagionalità.

Ovviamente sono da preferirsi quelle forme prodotte con latte primaverile dove prevalgono note erbacee, fresche ed aromatiche, floreali, di violetta e di genziana, talvolta mielate, sovrastate nel sottocrosta dal sentore di sottobosco fungino.

La mia forma prodotta è stata prodotta in giugno; dopo sette mesi di stagionatura, ad un primo assaggio di naso e bocca conferma un prevalente aroma lattico cotto di burro fuso, cui si associano note di fieno, di verdura lessa, quali patata e brodo vegetale, di animale e di stalla pulita, che garantiscono la genuinità del prodotto. Ho anche avvertito una nota speziata di pepe nero e ginepro, chissà se dovuta alla segreta ricetta della marinatura oppure ad una pecora brucante gourmet.

Nel sottocrosta si apprezzano degli aromi più complessi di brodo di carne, di fungo porcino, tartufo e frutta secca, che ovviamente sono di maggiore intensità in pecorini di maggiore stagionatura, purtroppo non in mio possesso.

Il sapore è caratterizzato da una elevata dolcezza associata ad un equilibrio medio-basso di sapidità ed acidità, con lieve nota amara; nel retrogusto e’ presente una sensazione piccante di medio-bassa intensità.

Dal punto di vista nutrizionale, il Pecorino di Farindola è un formaggio grasso, molto elegante ed equilibrato in bocca. La percentuale di lipidi è di circa il 32% , mentre quella proteica del 26%, quindi valore energetico di 392 kcal per 100 g di prodotto; sono assenti ovviamente lattosio e fibre. Formaggi simili per valori nutrizionali sono ad esempio il Pecorino Romano ed il Pecorino Sardo, il Cacioricotta di capra stagionato e l’anglosassone Cheddar, dai quali il Pecorino di Farindola si differenzia nei sapori.

Concludendo, vi auguro di degustare e gioire di questo formaggio, come ho fatto io, ma sempre senza esagerare, possibilmente non eccedendo oltre i 40-50 g a porzione.

Vi consiglio di degustare questa delizia palatale senza alcuna sorta di abbinamento alimentare (gelatine di frutta, mostardine, mieli vari etc.), perchè quando un formaggio è genuino, oltre che di elevata qualità, dobbiamo gustarlo nella sua purezza ed interezza, senza mascherarlo con un maquillage dedicato, trattamento riservato solo a pallidi e scialbi prodotti caseari dozzinali, per renderli in qualche modo appetibili.

Alla prossima!