Secondo la FAO, l’agricoltura contribuisce per circa il 17% alle emissioni totali di gas serra (GHG) (FAOSTAT, 2020), principali responsabili dei cambiamenti climatici causati dalle attività antropiche. L’allevamento dei ruminanti gioca un ruolo fondamentale in questo senso, in quanto l’emissione di metano enterico rappresenta circa il 40% del totale dei gas climalteranti derivanti dall’agricoltura (FAOSTAT, 2020).
Il metano è il secondo più importante gas ad effetto serra dopo l’anidride carbonica (IPCC, 2021) e, secondo lo standard del potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential) proposto dall’IPCC, 1 kg di metano ha un potere di riscaldamento globale (GWP100) pari a quello che avrebbero 28 kg di CO2 in un arco temporale di 100 anni. Il GWP, che è lo standard di riferimento adottato ormai da più di vent’anni, è stato proposto per rendere possibile il confronto tra gas diversi, e confrontare per esempio emissioni di settori o paesi diversi, al fine di adottare strategie comuni per la riduzione del riscaldamento globale. Tuttavia, da esistono alcune criticità nell’impiego del GWP, in quanto questa metrica non tiene abbastanza in considerazione il diverso comportamento tra gas a lunga persistenza e gas a breve persistenza.
Calcolando le emissioni di metano in termini di CO2 equivalenti si considera l’emissione di un gas a breve persistenza (il metano permane in atmosfera per poche decine di anni) come l’emissione pulsata di una equivalente quantità di CO2, che invece è un gas a lunga persistenza (permane in atmosfera per diverse centinaia di anni). Non considerare questa differenza significa non tener conto delle differenti dinamiche di accumulo dei diversi gas e del conseguente diverso effetto sul riscaldamento globale. Ad esempio, in uno scenario di riduzione delle emissioni, la riduzione della CO2 non porterebbe ad una riduzione della sua concentrazione in atmosfera (se non dopo centinaia di anni) e, dunque, non porterebbe ad una riduzione delle temperature del pianeta; al contrario, la riduzione delle emissioni di metano porterebbe, in un periodo relativamente breve, alla riduzione della sua concentrazione atmosferica e, di conseguenza, alla diminuzione del suo effetto serra (riduzione della temperatura). Questo è anche il motivo per il quale vi è una forte pressione sui settori maggiormente responsabili delle emissioni di metano, zootecnia in primis.
In risposta a tali criticità, sono state proposte delle nuove metriche che consentono di restituire valori più realistici di impatto, specialmente quando si prendono in considerazione scenari di riduzione o incremento nelle emissioni dei GHG, in particolare del metano.
Tra i nuovi approcci, il GWP* e successive evoluzioni, proposti da un gruppo di ricerca dell’Università di Oxford (Allen et al., 2016, 2018; Cain et al. 2019) rappresenta un nuovo modo di impiegare il classico GWP, e viene ormai riportato negli ultimi reports della IPCC e della FAO nei quali se ne propone l’impiego, non in maniera alternativa, ma come complemento alla metrica standard, quando si studiano scenari di emissioni di gas a breve permanenza.
L’impiego di tale metrica si sta inoltre diffondendo nella comunità scientifica e sta trovando applicazione in diversi lavori (Liu et al., 2021; Place and Mitloehner, 2021; Hortenhuber et al., 2022).
In un recente lavoro condotto da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari (Correddu et al., 2023), l’impatto dei diversi settori zootecnici italiani sul riscaldamento globale è stato rivalutato considerando la nuova metrica e confrontato i risultati con quelli ottenuti impiegando il GWP. Il lavoro ha preso in considerazione i dati di emissione annuali di metano per tutte le filiere zootecniche italiane (bovini da latte e non, bufali, ovini, caprini, suini, equini, asini e muli, polli e conigli) pubblicati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA, 2022) e riguardano l’intervallo di tempo di 30 anni, dal 1990 al 2020.
I valori delle emissioni di CH4 sono stati ottenuti dalla somma delle due categorie di emissione indicate dall’IPCC (2019): “fermentazione enterica” e “digestione anaerobica del letame“. I metodi utilizzati per produrre i dati sono riportati nell’Inventario Italiano dei Gas Serra 1990–2019 (Romano et al., 2021) e sono basati principalmente sull’approccio TIER2.
Di seguito le due equazioni impiegate nel lavoro:
la metrica standard, GWP100
GWP (CO2e) = CH4 × GWP100 (IPCC, 1990)
in cui CH4 è la massa di metano emesso in un determinato anno, GWP100 = 28, ossia il valore di CO2e attribuito al metano considerando un intervallo temporale di 100 anni;
e la nuova metrica GWP*
GWP* (CO2we) = GWP100 × [4.53 × CH4(t) – 4.25 × CH4(t-20)] (Smith et al., 2021)
dove GWP100 = 28, CH4 (t) è la massa di metano emessa in un determinato anno e CH4 (t-20) è quella emessa 20 anni prima. Considerando che i dati a disposizione erano relativi al trentennio 1990-2020, il GWP* è stato calcolato per gli anni 2010-2020. L’equazione utilizzata da Correddu et al. (2023) è un aggiornamento della metrica proposta da Cain et al. (2019) adattata per calcolare valori in un intervallo di tempo di 20 anni, secondo Smith et al. (2021).
Senza entrare troppo nello specifico di ciascuna filiera, quello che emerge dal lavoro di Correddu et al (2023) è che in presenza di una riduzione negli anni delle emissioni di metano, l’impatto calcolato con la nuova metrica è inferiore rispetto a quello calcolato con la metrica standard, e in alcuni casi, mostra valori negativi, che implicano un effetto opposto al riscaldamento, cioè una riduzione delle temperature.
La differenza è ancor più netta quando si confrontano valori di accumulo del gas negli anni; infatti, calcolando l’impatto cumulativo del metano in termini di CO2e (GWP standard) si hanno sempre impatti crescenti nel tempo; quando si considerano gli impatti in termini di CO2we (GWP*) si tiene conto della breve persistenza del metano in atmosfera e, dunque, la riduzione delle emissioni porta ad una riduzione degli accumuli, e quindi degli impatti con conseguente riduzione delle temperature. Come esempio si riporta il grafico tratto dal lavoro di Correddu et al., (2023) relativo al settore bovino da latte (Figura 1).
Figura 1. Impatto sul clima delle filiere italiane del bovino da latte, dal 2010 al 2020. Gli impatti annuali (grafici a sinistra) e cumulativi (grafici a destra) sono riportati in termini di CO2 equivalenti (ECO2e; linee blu) stimati con il potenziale di riscaldamento globale (GWP), e in termini di CO2 equivalenti di riscaldamento (ECO2we; linee arancioni) ricalcolati tramite la nuova metrica GWP*.
Nella tabella che segue (Tabella 1), sempre tratta dal lavoro, sono riportati i diversi valori, espressi nelle due metriche, relativi all’impatto cumulativo delle diverse filiere; come si può notare il valore finale (dato dalla somma di tutte le filiere) è ancora negativo se espresso con la nuova metrica, ad indicare un effetto di riduzione dell’impatto climatico dell’intero settore zootecnico italiano dal 2010 al 2020; questo risultato è guidato da quello dei bovini, considerando il grande contributo di questa specie all’emissione totale di CH4.
Facendo ancora riferimento alla Tabella 1, in termini quantitativi, l’impatto cumulativo dell’intero comparto zootecnico italiano dal 2010 al 2020 risulterebbe superiore ai 194 Mt se calcolato con il GWP, mentre risulta circa -60 Mt se calcolato con la nuova metrica GWP*. Questo, come sottolineato dagli autori, fa una grande differenza.
Occorre sottolineare come tale riduzione rifletta esclusivamente la contrazione delle consistenze di alcune specie. A tal riguardo nel lavoro viene ricordato come una riduzione delle emissioni di metano possa essere ottenuta, tra l’altro, anche attraverso il miglioramento dell’efficienza aziendale. Per esempio, la produzione di latte è aumentata in Italia negli ultimi 10 anni, nonostante il numero dei capi bovini si sia ridotto, ad evidenziare un aumento dell’efficienza di produzione (Figura 2). Quando il metano prodotto viene espresso in termini di intensità di emissione (kg di CH4 su kg di latte) si osserva una riduzione nei valori; in particolare, si è passati da valori di 0.03 a 0.02, corrispondenti a 0.82 e 0.58 in termini di CO2e.
Figura 2. Trend delle consistenze dei bovini e della produzione di latte in Italia dal 2002 al 2020 (Romano et al., 2021; ISTAT, 2021).
In conclusione, il lavoro condotto dal gruppo di ricercatori del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari ha permesso di evidenziare come l’applicazione della nuova metrica GWP* sia utile nel definire meglio il ruolo della zootecnia italiana, e delle singole filiere zootecniche, nel cambiamento climatico.
Emerge in particolare che, nel complesso, il comparto zootecnico italiano sta contribuendo in maniera significativa alla riduzione dell’impatto del metano sul riscaldamento globale.
La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato dall’Italian Journal of Animal Science dove è riportata tutta la letteratura citata: Correddu, F., Lunesu, M.F., Caratzu, M.F. and Pulina, G., 2023. Recalculating the global warming impact of italian livestock methane emissions with new metrics. Italian Journal of Animal Science, 22(1), pp.125-135. https://doi.org/10.1080/1828051X.2023.2167616
Autori
Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Antonio Gallo, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra– Gruppo Editoriale ASPA