Le performance e lo stato di salute delle bovine da latte sono direttamente condizionate dalla loro fase fisiologica. In particolare, nei primi mesi di lattazione, seppur in una condizione di bilancio energetico negativo, le vacche in produzione tendono ad utilizzare maggiormente l’energia metabolizzabile per sostenere la produzione di latte a discapito della propria condizione corporea, delle performance riproduttive e del proprio stato di salute.

Per soddisfare i fabbisogni energetici dell’animale garantendo un ottimo stato di salute e ottime performance in termini produttivi e riproduttivi, si tende a concentrare la razione, aumentando l’uso di concentrati a discapito dell’utilizzo di foraggi per mantenere alto il valore energetico della dieta.

In questo modo, se non vengono effettuati determinati accorgimenti, come un valore adeguato di fibra fisicamente efficace o l’opportuno utilizzo di tamponi, si rischia di portare l’animale in una condizione di acidosi ruminale o intestinale. Risulta quindi importante monitorare le variazioni del pH ruminale evitando che scenda sotto il valore soglia per un periodo prolungato.

Per monitorare il pH ruminale esistono diversi metodi di analisi, come la invasiva ruminocentesi o i sensori ruminali, accurati ma costosi. Una procedura ormai datata, ma molto semplice ed economica, si basa sulla correlazione che esiste tra il pH del rumine e quello delle feci, richiedendo solamente l’utilizzo di un pHmetro ben tarato utilizzato direttamente sulle feci prelevate dal retto dell’animale. Questo quanto riportato nel recente articolo apparso su Ruminantia ed intitolato “Misurare il pH delle feci”, che suggeriva questa misurazione per monitorare la quantità di amido indigerito che by-passa il rumine, spesso associato a “acidosi ruminale e acidosi intestinale, che sono condizioni che provocano una riduzione del pH delle feci”.

Differente è stata la procedura utilizzata durante uno studio condotto su 66 aziende della Pianura Padana (Gallo et al. 2022) nel quale è stata condotta una misurazione degli acidi grassi volatili (AGV) fecali attraverso gascromatografia, che ha fornito un metodo non invasivo per valutare le fermentazioni che si verificano nell’intero tratto digerente, in modo particolare nell’ultimo tratto dell’intestino. In particolare, il profilo fermentativo fecale è stato caratterizzato per ottenere un marcatore indiretto delle fermentazioni che avvengono nell’ultimo tratto del sistema gastro-intestinale, così come recentemente proposto da Doelman et al. (2019). 

In questo lavoro sono state analizzate diverse diete destinate a vacche in lattazione e le loro relative feci attraverso una caratterizzazione chimico-nutrizionale. In breve, tutte le razioni si basavano sull’utilizzo del silomais, ma si differenziavano per la fonte amidacea, ovvero alcune razioni utilizzavano amido altamente fermenetescibile includendo pastone di mais o mais fioccato nella dieta, mentre altre utilizzavano principalmente amido più by-pass come farina di mais.

Conoscendo quindi i valori analitici delle razioni e delle feci, è stato possibile valutare la digeribilità apparente di amido, proteine e NDF attraverso l’utilizzo di un marcatore interno (NDF indigeribile o uNDF) (Palmonari et al., 2016).

Dai risultati ottenuti si è notato come le digeribilità di amido e proteine siano maggiori nelle diete che utilizzavano una quantità significativa di pastone di mais o mais fioccato. Questi risultati si sono correlati a quelli dell’analisi del profilo fermentativo fecale, avvenuta attraverso la caratterizzazione dei singoli acidi grassi volatili (AGV) e totali prodotti nelle feci (Tabella 1). 

In particolare, è emersa una maggiore concentrazione di acido propionico e butirrico (legati alla fermentazione dei carboidrati) e di acido valerico (legato alla fermentazione degli amminoacidi) nelle diete contenenti un’elevata quantità di farina di mais, supportando l’idea che una parte di amido raggiungesse l’ultimo tratto dell’apparato gastro-enterico non degradato e quindi subisse una fermentazione in questo comparto intestinale. Questo studio sembra confermare come un miglior profilo fermentativo delle feci si ottenga in diete che impiegano amidi con maggiore fermentescibilità. Questa strategia nutrizionale riduce la quota di amidi che by-passa il rumine, aumentando la quantità di sostanza organica fermentata e la proteina microbica prodotta nel rumine, assicurando così una migliore utilizzazione dei nutrienti nel comparto rumine-reticolo e nel primo tratto dell’intestino.

Queste osservazioni, effettuate in condizioni di pieno campo, hanno portato a ipotizzare che le diete nelle quali la farina di mais rappresenta la principale fonte di amido sono caratterizzate da una fermentescibilità dei carboidrati più lenta ed una maggiore fuoriuscita delle particelle dal compartimento rumine-reticolo, condizioni che portano probabilmente a un eccesso di particelle di amido non digerite nell’intestino e che possono provocare un’anomala attività fermentativa nel grosso intestino. La quantità di alimento fermentato o che sfugge dal compartimento rumeno-reticolo dipende fortemente anche dalla dimensione media delle particelle (Hoffman et al. 2012; Gallo et al. 2018, Gallo et al. 2016). In particolare, ed anche in precedenti lavori effettuati dal gruppo di ricerca, si è visto come per ogni aumento di 1 mm della granulometria media delle farine di mais si ottiene una diminuzione lineare del tasso di degradazione dell’amido pari a 0,05%/h o una diminuzione della degradabilità dell’amido in vitro valutata dopo 7 ore pari al 6,3%. L’idrolisi incompleta dell’amido da parte del pool enzimatico amilolitico gastrointestinale potrebbe causare un eccesso di materiali fermentabili nell’intestino crasso, dove le popolazioni microbiche sono attive nel fermentare i nutrienti e produrre AGV (Mills et al. 1999; Beauchemin et al. 2004; Owens et al. 2016).

In conclusione, la misurazione dei AGV fecali ha fornito un metodo non invasivo per la valutazione delle fermentazioni che possono verificarsi nell’apparato gastro-enterico in una vacca da latte.

Quando l’inclusione di farina di mais nella dieta è aumentata, si è osservata una maggiore fermentazione della materia organica non digerita nel GIT inferiore. Al contrario, l’aumento dell’inclusione di fonti di amido trattate termicamente, come il mais fioccato o l’utilizzo del pastone di mais, ha ridotto la fermentazione fecale. Di conseguenza, un migliore utilizzo dei nutrienti in tutto il tratto gastro-intestinale viene tradotto in un aumento dell’efficienza alimentare, quindi una migliore risposta in produzione di latte.

Tabella 1. Contenuto totale e relativo di acidi grassi volatili (AGV) in feci di animali che ingerivano diverse tipologie di dieta. I dati sono stati riprodotti da Gallo et al. (2022).

Descrizione strategie nutrizionali, ripreso da Masseroni et al. (2021):

Dieta 1: è la strategia alimentare con la più bassa inclusione di silomais (17% s.s.), l’unica ad avere un valore rilevante di insilato di erba medica (15%) e inserimento anche di pastone di mais (10%); differenzia le fonti di amido e proteine con l’abbinamento di mangimi completi (26%), nuclei proteici (13%) e fiocco di mais (3%). Il fieno è presente per il 9% e insilati vari per il 7%. 

Dieta 2: dieta con medio-alto utilizzo di silomais (30% s.s.) e assenza di pastone; le fonti amidacee e proteiche derivano dall’utilizzo di mangimi completi (45%), il fieno per l’8%, come per la farina di mais e insilati vari per il 9%. 

Dieta 3: razione con alta inclusione di silomais (34% s.s.) caratterizzata dalla differenziazione delle componenti fibrose con l’utilizzo di fieni (11%) e insilati vari (14%); ampio utilizzo di farina di mais (23%) e di farina di estrazione di soia (17%), il mangime completo invece è assente (1%).

Dieta 4: dieta con alto utilizzo di silomais (34% s.s.) e pastone (19% s.s.), differenziando la fonte di amido con la farina di mais (9%); la componente proteica (18%) deriva da materie prime, il fieno è presente per l’11%.

Dieta 5: razione con silomais (28% s.s.) abbinato all’utilizzo di fieni (11%) e insilati vari (9%); alta inclusione di farina di mais (23% s.s.) e nuclei proteici (26%). Mangime completo e mais fiocco sono poco presenti. 

Dieta 6: razione con alta inclusione di silomais (33% s.s.) e pastone (19% s.s.), con una differenziazione della fonte amidacea attraverso la farina di mais (5%); fonte proteica garantita da un nucleo proteico (25%), i fieni sono nell’ordine del 9%.

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato su Italian Journal of Animal Science, dove è riportata tutta la letteratura citata: Gallo A., C. Valsecchi, M. Masseroni, A. Cannas, F. Ghilardelli, F. Masoero & A. S. Atzori. 2022. An observational study to verify the influence of different nutritional corn silage-based strategies on efficient use of dietary nutrients, faecal fermentation profile, and profitability in a cohort of intensive dairy farms, Italian Journal of Animal Science, 21:1, 228-243, DOI: 10.1080/1828051X.2022.2025932.

Autori

Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Antonio Gallo, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra – Gruppo Editoriale ASPA