Il 15 maggio 2019 la nostra industria alimentare ha tirato un sospiro di sollievo per la bocciatura da parte del Codex Alimentarius della Fao delle linee guida per l’adozione sulle confezioni dei prodotti alimentari di un’etichetta a colori che di fatto sconsigli il consumo di alimenti con troppo sale, grassi saturi e zuccheri perché predisponenti ad obesità, malattie cardiovascolari e diabete. Se pur corretto e ineccepibile considerare le percentuali di nutrienti ai fini delle indicazioni nutrizionali, trascurare il concetto di quantità di alimento ingerita fa pensare che tutta la discussione intorno alle etichette a colori sia una manovra indiretta a sostegno di alimenti “artificiali”, tanto cari alle multinazionali del cibo del settore alimentare.

Al di là di ciò, e del difendere con forza il principio che nessun nutriente è pericoloso di per sé ma in funzione delle quantità ingerite, bisogna approfondire bene l’argomento perché molti dei cibi da “bollino nero” sono DOP e IGP e, quindi, appartenti al paniere del Made in Italy. Non credo si debba essere raffinati dietologi per capire che mangiare chili al giorno di Prosciutto di Parma, Parmigiano Reggiano o Gorgonzola fa molto male alla salute ma da questa considerazione al dire che “eccellenze” come queste facciano male alla salute a prescindere c’è una bella differenza. Anche se il pericolo è apparentemente passato, non bisogna abbassare la guardia perché screditare molti dei prodotti ad indicazione d’origine Europei fa gola a molti.

Affrontiamo oggi la questione del sale, abbondantemente presente in molti cibi, al quale si addossa la responsabilità delle malattie cardio-vascolari e, in particolare, l’ipertensione. L’OMS raccomanda di non consumare più di 5 g al giorno di sale (cloruro di sodio). Si ritiene che il fabbisogno quotidiano di sodio di un adulto sia di 0,55 g e di 0,830 g di cloro, ovvero circa 1,5 g di sale. Allo stato attuale, si stima che il consumo mondiale di sale vari da un minimo giornaliero di 6 g ad un massimo di 12 g.

Oltre al sale che viene volontariamente aggiunto sugli alimenti, i formaggi, che ne contengono una quantità variabile dello 0,4-4%, contribuiscono all’apporto giornaliero in funzione dei consumi pro-capite. In Italia ne consumiamo mediamente all’anno circa 23 kg procapite. I primi in assoluto nella classifica sono i francesi con 25,9 kg consumati all’anno procapite, secondi vengono gli islandesi con 25,2 kg, terzi i finlandesi con 24,7 kg. Seguono poi la Germania (24,3 kg), l’Italia (23 kg), l’Estonia (21,7 kg), la Svizzera (21,3 kg), la Lituania (20,1 kg), l’Austria (19,9 kg) e la Svezia (19,8 kg). In Europa mediamente si consumano 17 kg di formaggio a testa mentre negli Stati UnitiCanada e Australia si scende a 15 kg.

Ma perché si mette il sale nei formaggi? La risposta a questa domanda è propedeutica al chiedersi se è possibile ridurne la quantità.

Il sale viene impiegato nella produzione di formaggi per indurre la formazione della crosta, per inibire la crescita di microrganismi indesiderati, per modulare la maturazione e influire su consistenza, aroma e sapore.

Tramite disidratazione, il sale favorisce la formazione della crosta in alcuni formaggi; tuttavia, questa quota di sale non viene ingerita dal momento che verrà eliminata prima del consumo del formaggio.

La presenza di sale aggiunto durante il processo di caseificazione svolge un’importante funzione di modulazione della flora microbica. I batteri “starter” sono più sensibili al sale rispetto ai batteri lattici non starter (NSLAB). La maggior parte dei lattococchi è inibita da concentrazioni di sale pari al 4%, mentre Streptococcus thermophilus è inibito al 2,3%. Solo i pediococchi NSLAB sono inibiti dal 10 – 12% di sale, quindi continuano a crescere durante maturazione. La sensibilità al sale è specifica per ogni ceppo. Nel complesso, il sale rallenta la proteolisi. Soluzioni di acqua con concentrazioni di sale del 2 – 6% il rigonfiamento e la solubilità della caseina. Questo promuove la fusione della cagliata, in particolare per i formaggi con un basso pH. Inoltre, come succede nella mozzarella, ciò impedisce la separazione del siero e riduce la formazione di grasso libero durante la maturazione. Infine, dal punto di vista sensoriale, il sale è importante per il suo gusto diretto ma svolge anche il ruolo di esaltatore di sapidità.

Il sale presente nei formaggi dà un contributo sostanziale alla loro sicurezza alimentare. Il sale da solo non è un ostacolo sufficiente contro la crescita di microrganismi patogeni, ma in associazione con altri fattori inibisce il crescita di batteri patogeni. Questo è importante soprattutto nei formaggi a latte crudo. I ceppi di Escherichia coli O157: H7 produttori di tossina di Shiga crescono fino alla concentrazione dell’8,5%; per quanto riguarda altri sierotipi patogeni di E. coli, poco si sa dell’influenza del sale sugli stessi. Staphylococcus aureus è tollerante al sale e può crescere fino al 20% di soluzione salina. La sua  crescita ottimale è compresa tra 0,5 e 4,0% di sale e concentrazioni più elevate rallentano drasticamente crescita. La formazione di enterotossina stafilococcica (SE) è inibita con l’aumento della concentrazione di sale e si ferma a circa il 10% per molti dei diversi tipi di  SE. Anche le specie di Listeria sono tolleranti al sale e crescono fino al 10% di sale, riuscendo a sopravvivere fino al 25% di sale in soluzione. La crescita microbica al di sotto del 2,5% di sale ha aumentato la virulenza di Listeria monocytogenes. I ceppi di Salmonella sono inibiti da soluzioni al 4 – 6% di sale e temperature di 8 – 12 °C. Le spore di Clostridium tyrobutyricum sono principalmente presenti nel latte di bovine alimentate con insilati. Le spore sopravvivono alla pastorizzazione e possono causare il gonfiore tardivo dei formaggi duri e semiduri a causa della produzione di acido butirrico. I formaggi in cui è avvenuta la produzione di acido butirrico sono alterati e non commestibili. Allo stesso modo, il sale ha un ruolo importante nella prevenzione della fermentazione dell’acido propionico in formaggi a base di latte crudo, ad es. in Gruyère o Appenzeller.

Contenuto di sale ottimale

Numerose varietà di formaggi risultano dalla tradizione secolare di caseificazione in molti paesi in tutto il mondo. Ogni varietà ha il suo specifico contenuto di sale che consente un controllo ottimale delle caratteristiche di qualità di del prodotto. Il sale è un importante fattore di diversificazione del formaggio, della ricchezza e del patrimonio culinario ad essi associato. Emmental e altri formaggi di tipo svizzero hanno un contenuto di sale piuttosto basso per consentire ai batteri produttori dell’acido propionico di sviluppare la caratteristica occhiatura e il ben noto sapore. Al contrario, alcuni formaggi a latte crudo come Gruyère, Parmigiano Reggiano o Sbrinz contengono più sale al fine di ridurre il rischio di produzione di acido propionico indesiderato. Per Gouda, Raclette e altri formaggi semiduri o duri, il sale aiuta a ridurre il rischio di fermentazione butirrica. Nel Cheddar il sale aiuta a prevenire l’amarezza. Nei cosiddetti “formaggi blu”, un contenuto di sale piuttosto elevato impedisce la crescita occasionale di Geotrichum candidum nelle venature del formaggio, favorendo quindila crescita del fungo responsabile delle vene, Penicillium roqueforti. Nel formaggio Raclette e nella  Mozzarella il sale migliora le rispettive proprietà di fusione. Al fine di realizzare l’equilibrio ottimale tra l’autenticità del formaggio e la salute dei consumatori, i produttori di formaggio si sforzano per il giusto contenuto di sale specifico per ogni varietà e con variazioni minime di contenuto.

 

Riferimenti bibliografici

Special Issue of the International Dairy Federation. 2014.  The importance of salt in the manufacture and ripening of cheese. SI-1401