Studio sulle differenze nelle concentrazioni di acidi grassi a catena dispari e ramificata nel latte umano, di ruminanti, di asina e di alcuni sostituti artificiali.

Il latte è un alimento completo, in particolare per la prima infanzia, grazie al suo contenuto in composti essenziali, quali amino acidi, acidi grassi, vitamine e minerali. Il latte e i derivati vengono anche definiti alimenti nutraceutici, grazie alla presenza di sostanze con attività benefiche nei confronti della salute umana.

A tal riguardo esiste una vasta letteratura sui composti del latte con effetto benefico sulla salute, quali i peptidi bioattivi (Korhonen, et al., 2005) o gli acidi grassi (Gómez-Cortés et al., 2018), come gli acidi grassi polinsaturi, specialmente della famiglia degli omega-3 (PUFA n3), e di alcuni acidi grassi peculiari dei prodotti dei ruminanti, come l’acido rumenico (cis-9,tran-11 CLA) e l’acido vaccenico (trans-11 C18:1). Recentemente è aumentato l’interesse dei ricercatori verso un’altra categoria di acidi grassi del latte, ovvero quelli a catena dispari o ramificata (odd- and branched-chain fatty acids, OBCFA). Questi composti provengono principalmente dalla membrana dei batteri ruminali (Fievez et al., 2012) e, pertanto, sono caratteristici degli alimenti derivanti dai ruminanti (Abdoul-Aziz et al., 2021). Il latte e la carne di queste specie rappresentano infatti la principale fonte di OBCFA per l’uomo (Nudda et al., 2021; Wang et al., 2022). Questi acidi grassi sono rinvenibili anche nel latte umano, come conseguenza del consumo di latte, formaggi e carne derivante da ruminanti (Ran-Ressler et al., 2014); tuttavia, una certa sintesi endogena non può essere del tutto esclusa, anche se ben poco si conosce riguardo alla sintesi di alcuni di questi composti nei vari tessuti, come la ghiandola mammaria (Dingess,et al., 2017). Questi acidi grassi hanno evidenziato effetti benefici sulla salute umana. Effetti positivi sono riportati nei confronti di disturbi intestinali (Abdoul-Aziz et al., 2021; Xin et al., 2021), nelle malattie cardiovascolari (Khaw, et al., 2012), nell’infiammazione (Venn-Watson et al., 2020) e in alcune forme tumorali (Ran-Ressler et al., 2021). Tra gli OBCFA, il C15:0 e C17:0 sono noti per i loro effetti positivi sulle malattie cardiovascolari (Jenkins, et al., 2015), sull’incidenza del diabete di tipo 2 (Imamura et al., 2018,) e sull’infiammazione e la fibrosi (Venn-Watson et al., 2020). Recentemente, è stato evidenziato che gli acidi grassi a catena ramificata iso (iso-BCFA) sarebbero in grado di regolare l’espressione di geni implicati nella sintesi lipidica e di geni che codificano la sintesi di proteine pro-infiammatorie (Czumaj, et al., 2022).

Alla luce di queste evidenze, il latte si conferma un alimento importante non solo da un punto di vista nutrizionale ma anche relativamente agli effetti positivi sulla salute. Tuttavia, per diverse motivazioni spesso il latte viene sostituito con delle bevande che, soprattutto quelle destinate alla prima infanzia, vengono formulate per essere quanto più simili possibile al latte materno, impiegando latte bovino o estratti di soia addizionati con diversi ingredienti di origine diversa (Martin, et al., 2016). In alternativa, latti di specie diverse, quale quella asinina, trovano impiego come sostituti, in particolare nell’alimentazione dei bambini intolleranti al latte vaccino (Bertino et al., 2022; Sarti et al., 2019). Il profilo in acidi grassi, inclusi gli OBCFA, può variare notevolmente tra i diversi tipi di latte.

Un recente lavoro, condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, ha analizzato il profilo acidico del latte umano, di diverse specie di ruminanti, di asina e di alcuni sostituti artificiali, allo scopo di mettere in evidenza le differenze sul contenuto in OBCFA. In breve, i risultati dell’indagine hanno messo in evidenza un grande variabilità, sia nella quantità che nelle proporzioni degli OBCFA nelle diverse matrici analizzate. In particolare, il latte ovino è risultato quello con la più alta concentrazione di OBCFA (circa 4.5% del totale degli acidi grassi), seguito dal latte di bufala (circa 3.8%), dal latte bovino e caprino (circa 3.3%) e dal latte di asina (circa 2.4%); il latte umano aveva una concentrazione ancora inferiore (circa 1.3 %) mentre i sostituti artificiali avevano la concentrazione più bassa (< 0.2%). La più alta concentrazione di OBCFA nei ruminanti era attesa, in considerazione del fatto che sono principalmente di origine batterica e quindi ruminale.

Ovviamente, tali concentrazioni possono variare notevolmente in funzione di diversi fattori, primo fra tutti l’alimentazione che può influenzare notevolmente la microflora ruminale, quindi la sintesi degli OBCFA e, di conseguenza, quantità e proporzioni degli stessi acidi grassi nel latte. Per questo motivo, gli OBCFA sono anche considerati degli ottimi indicatori delle funzioni ruminali, in quanto forniscono importanti indicazioni sullo stato nutrizionale e metabolico degli animali. Relativamente ai monogastrici, la maggiore concentrazione di OBCFA nel latte di asina rispetto al latte umano è in parte spiegabile con la scarsa capacità dei tessuti umani di produrre questo tipo di acidi grassi (Dingess,et al., 2017), ma soprattutto perché l’asino, essendo erbivoro, si caratterizza per l’abbondante attività della microflora intestinale deputata alla digestione delle fibre (Correddu et al., 2022). Infatti, i monogastrici erbivori sono caratterizzati da una elevata attività di fermentazione nel cieco, che è responsabile della produzione di questi FA. Considerando i singoli OBCFA, i più abbondanti nel latte dei ruminanti sono il C15:0 e il C17:0, e lo sono anche nel latte umano, a conferma del fatto che i prodotti dei ruminanti sono la principale fonte di OBCFA nella dieta umana (Dąbrowski, et al., 2021).

Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato il C15:0 e C17:0 possano avere origini diverse nei tessuti umani (Venn-Watson et al., 2020; Jenkins, et al., 2017). Infatti, se la concentrazione di C15:0 è fortemente correlata alla sua assunzione con la dieta, per quanto concerne il C17:0 tale relazione è risultata più debole (Sellem, et al., 2022), probabilmente perché parte di questo acido grasso viene in parte prodotto in maniera endogena, tramite l’elongazione del propionil-CoA e l’α-ossidazione del C18:0 (Jenkins et al., 2017). Per questo motivo, il C15:0 può essere considerato nell’uomo un biomarcatore migliore dell’assunzione di prodotti lattiero caseari rispetto al C17:0. Considerata l’elevata relazione tra il C15:0 e la riduzione di diverse malattie (es. riduzione degli stati proinfiammatori, profibrotici nelle cellule umane, e anemia) e la forte correlazione tra la circolazione di questo acido grasso nel sangue umano e la sua assunzione, il consumo di prodotti lattiero-caseari potrebbe essere considerato una strategia in grado di aumentare la disponibilità di questo acido grasso e, di conseguenza, avere un impatto positivo sulla salute umana.

Riguardo le bevande sostitutive del latte, la concentrazione di OBCFA è risultata significativamente inferiore rispetto agli altri tipi di latte analizzati; ciò è spiegato dal fatto che nella formulazione di tali bevande vengono impiegate poche o nessuna fonte di tali composti, in quanto per la componente grassa vengono impiegati principalmente oli vegetali (Berger, et al., 2000). Il più basso contenuto di OBCFA in tali bevande rispetto al latte umano necessita di particolare attenzione, considerato il loro impiego nell’alimentazione dei bambini nella prima infanzia. La presenza di OBCFA nel latte umano gioca infatti un ruolo molto importante nella nutrizione dei neonati e per lo sviluppo del loro tratto gastrointestinale (Teng, et al., 2017). Questi acidi grassi hanno ad esempio dimostrato effetti protettivi nei confronti delle enterocoliti necrotizzanti che possono colpire i neonati prematuri; per tale ragione la presenza di OBCFA dovrebbe essere prevista anche nei sostituti del latte (Ran-Ressler et al., 2011).

Alla luce delle recenti evidenze sull’importanza degli OBCFA nella salute umana, i risultati di questo lavoro mettono in evidenza la qualità del latte dei ruminanti e la necessità di migliorare il valore nutrizionale di alcuni sostituti del latte umano.

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato da Foods dove è riportata tutta la letteratura citata: Carta, S., Correddu, F., Battacone, G., Pulina, G. and Nudda, A., 2022. Comparison of Milk Odd-and Branched-Chain Fatty Acids among Human, Dairy Species and Artificial Substitutes. Foods, 11(24), p.4118. https://doi.org/10.3390/foods11244118.

Autori

Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Antonio Gallo, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra – Gruppo Editoriale ASPA