Una popolazione in crescita, un miglioramento del tenore di vita, una continua tendenza verso i beni usa e getta, un’industria dell’abbigliamento che produce collezioni ispirate all’alta moda messe in vendita a prezzi contenuti e rinnovate in tempi brevissimi, stanno provocando un esaurimento delle materie prime non rinnovabili e problemi nella produzione di fibre naturali. La produzione globale annua di fibre nel 2017 è stata di oltre 105 milioni di tonnellate, delle quali poliestere e cotone costituiscono il 76% del totale, con una produzione di circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 e il rilascio incontrollato di microfibre che rappresentando oltre un terzo di tutta la plastica che raggiunge l’oceano, con effetti pervasivi in tutti gli ecosistemi e potenzialmente più dannosi per i processi biogeochimici, le specie viventi e la salute umana rispetto ad altri rifiuti di plastica.

Con il consumo di abbigliamento destinato a salire entro il 2030 dagli attuali 62 milioni di tonnellate a 102 milioni di tonnellate evidente è una crisi ecologica e ambientale con la necessità di garantire nuovi approcci sostenibili per l’industria dell’abbigliamento (Marie Stenton, Joseph A. Houghton, Veronika Kapsali, Richard S. Blackburn – The Potential for Regenerated Protein Fibres within a Circular Economy: Lessons from the Past Can Inform Sustainable Innovation in the Textiles Industry -Sustainability, 13, 2328, 2021).

Considerando il futuro della produzione tessile, di recente è stata valutata la produzione di tessili da sottoprodotti dell’industria lattiero-casearia, in un contesto delle fibre rigenerate, e in particolare delle fibre proteiche rigenerate.

Il principale sottoprodotto della produzione di formaggio è il siero di latte, che contiene caseina e che ha già diverse utilizzazioni industriali. Questa può anche essere usata per la produzione di filati e tessuti, come è avvenuto nel passato in Italia per opera di Antonio Carlo Ferretti nato a Gavardo (Brescia) il 16 novembre 1889 che riteniamo interessante intervistare.

Dottor Ferretti, negli anni trenta del secolo scorso Lei è divenuto celebre per aver trasformato il latte in lana, ma come nasce questa invenzione?

La mia invenzione ha un precedente nella fine del milleottocento con le ricerche compiute tra il 1897 e il 1899 sulla caseina, una proteina del latte, da due chimici tedeschi, Friedrich Adolph Spitteler (1846-1940) e Wilhelm Krische, e quando all’inizio del ventesimo secolo il chimico francese J.C. Trillat scopre la maniera di rendere insolubile la caseina per immersione in formaldeide e brevettando la bakelite o galalite, un materiale che imita il corno, il guscio di tartaruga, l’avorio e il legno ed è usato per articoli di gioielleria, penne, manici d’ombrello, i tasti bianchi del pianoforte e altro. Da qui iniziano le mie ricerche per produrre dalla caseina una fibra per ottenere lana sintetica dalla caseina del latte. La mia lunga serie di studi sperimentali si conclude nel brevetto italiano n. 348661, depositato il 28 agosto 1935. Innumerevoli sono le prove che compio nel mio laboratorio situato negli scantinati della villetta dove abito in via Benedetto Marcello 16 a Milano, dalla purificazione della caseina alla filatura, alla coagulazione, all’insolubilizzazione, alla tingibilità.

Dottor Ferretti, non facile immagino è stato il passaggio da una scoperta di laboratorio a una produzione industriale. Come è avvenuto?

Verificata la riproducibilità del procedimento ho proposto a Francesco Marinotti, presidente della SNIA Viscosa (Società Nazionale Industria Applicazioni Viscosa), al tempo la società più attrezzata nel settore delle fibre artificiali e spinta dal governo verso un orientamento di generalizzata autarchia. Oltre alle royalties ottengo la collaborazione e la sperimentazione nei laboratori della società e incarichi dirigenziali, da qui il tessile che è prodotto industrialmente e denominato Lanital. Nel 1935 inizia la produzione pilota nello stabilimento di Cesano Maderno (Milano), ben presto rifatto completamente e destinato alla nuova filatura. Da cento litri di latte si hanno circa tre chilogrammi di caseina, e da cento chilogrammi di caseina più di cento chilogrammi di Lanital, la prima fibra proteica artificiale prodotta su larga scala. Nel 1937 la produzione raggiunge le cento tonnellate e nel 1940 arriva a quattordicimila. Al brevetto si interessano molti paesi, da quelli di grande produzione lattiera, come Olanda e Danimarca, a quelli di grande controllo sulla produzione laniera come Gran Bretagna, Austria, Belgio, Canada, Cecoslovacchia, Francia, Germania, Giappone, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Stati Uniti d’America. Dopo le vicende belliche viene ripresa la produzione col nuovo nome di Merinova, ma le caratteristiche superiori delle nuove fibre sintetiche ottenute dai derivati del petrolio ne causarono la cessazione nel 1968.

Dottor Ferretti, Lei non ha avuto l’opportunità di sapere che nel 1970 una fibra mista latte/acrilico (Chinon) è prodotta in Giappone per sfruttare la morbidezza e la lucentezza della proteina aggiungendo la forza e la durata di una resina sintetica. Odiernamente la commercializzazione di tessuti e abbigliamento naturali (o verdi), eco-compatibili e sostenibili è aumentata e nel 2010 la società tedesca QMILK sviluppa il processo per produrre una fibra tessile organica di qualità dai rifiuti del latte. Cosa ne pensa di una nuova vita della sua invenzione?

Le attuali tendenze verso un’economia sostenibile e di provenienza locale offrono un’interessante opportunità per le fibre biosostenibili come quelle ricavate dalla caseina, biodegradabili e provenienti da materie prime naturali e rinnovabili che utilizzano metodi verdi e sostenibili. Creare nuovi prodotti dai sottoprodotti non è un concetto nuovo e la sostenibilità in tutta la produzione di fibre dovrà essere una priorità, utilizzando temi dell’economia circolare e considerando l’impatto ambientale e di sostenibilità di tutto, dalle materie prime, ai prodotti chimici, all’uso di energia e acqua e alla fine del ciclo di vita di queste fibre. Occorre però prestare attenzione quando si considera la disponibilità delle materie prime proteiche per i prodotti tessili, il che è particolarmente importante quando i sottoprodotti, in questo caso provenienti dalla produzione di latte, potrebbero potenzialmente essere rivalutati nell’industria alimentare. Ciò pone questioni ambientali, sociali ed economiche che devono essere analizzate in profondità per determinare le migliori vie di valorizzazione, al fine di trovare un equilibrio tra valorizzazione per l’alimentazione umana o per ridurre l’impatto ambientale dell’abbigliamento. Può darsi che le applicazioni di abbigliamento non offrano attualmente il miglior valore economico per l’utilizzo dei rifiuti di latte rispetto ai prodotti alimentari esistenti (mangimi per animali, prodotti nutrizionali), tuttavia le proprietà uniche delle fibre di caseina potrebbero potenzialmente consentirne l’uso in applicazioni tessili di alto valore e non di abbigliamento, come i tessuti medici, il che modifica significativamente la proposta di valore.

 

 

 

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.