781 – Parma

Carlo Magno (742 – 814), il più grande proprietario terriero dell’Europa, per sfruttare al meglio le risorse generate dalle attività agricole e pastorali tra il 770 e l’800 emana l’ordinanza Capitulare de villis, nella quale stabilisce che ogni anno gli siano inviati gli alimenti adatti al digiuno quaresimale e tra questi burro e formaggio, assieme a pesce, miele, legumi, senape, aceto, miglio, panico, ortaggi freschi e secchi, navoni e altro. Questa richiesta non contrasta con il predominante uso delle carni sulle tavole di Carlo Magno e dei suoi nobili commensali, nonostante lui stesso, a dire del suo biografo Eginardo (775 – 840), si presenti come un moderato perché di carne si fa servire soltanto quattro portate, oltre quella arrostita suo cibo preferito, un’abitudine che potrebbe causargli disturbi, non ultima la podagra o malattia dei re.

L’attenzione che Carlo Magno dedica ai formaggi e al burro, anche se come cibo nei frequenti e lunghi periodi d’astinenza dalle carni, suscita un particolare interesse e merita un’intervista che riesco a condurre per una fortunata occasione. Nel marzo del 781 Carlo Magno è a Parma e qui incontra il grande monaco, grammatico e teologo Alcuino di Yok, detto anche Albinus o Flaccus (735 – 804), di ritorno da Roma e lo invita trasferirsi in Francia, stabilendosi a corte come Maestro della Scuola Palatina. E’ in questa occasione che tramite Alcuino, del quale sono diventato stretto conoscente, durante un banchetto offerto dalla città posso intervistare Carlo Magno sui formaggi.

Maestà, a tutti nota è la sua predilezione a tavola per le carni e i vini robusti, ma si dice che talvolta non disdegni anche i formaggi, da molti considerati cibi vili, al più adatti ai monaci e non appropriati alle mense regali. Una semplice diceria o vi è qualche cosa di vero?

Vi è del vero in quanto mi dice e ricordo che in uno dei miei viaggi dovevo passare per un vescovado che sarebbe impossibile evitare e dove vi è un vescovo ansioso di soddisfare ogni mio desiderio. Arrivo nel sesto giorno della settimana, nel quale non è possibile mangiare carne di uccello o di bestia grossa, e il vescovo, non essendo in condizione di poter procurare immediatamente del pesce, mi presenta un grande formaggio, grasso e cremoso. Per non mettere il vescovo in imbarazzo non voglio nessun altro cibo, prendendo il coltello, ne taglio la crosta, credendo non avesse sapore, e mi servo della polpa del formaggio. Il vescovo, in piedi accanto a me come un servo, si accosta e mi dice “Signore perché fa questo, gettando via la parte più gustosa?”. Fidandomi del suggerimento del vescovo, mi metto in bocca un pezzo di crosta, la mangio lentamente e approvando il consiglio del vescovo gli dico: “Verissimo, mio buon ospite. Ti raccomando di mandarmi tutti gli anni alla mia reggia di Aix-la-Chapelle due carri di formaggi come questo”. Anche per queste esperienze nelle produzioni delle mie terre penso far mettere i formaggi come sostituti delle carni nei periodi di loro astinenza. Il mangiar buoni formaggi non è un vizio della gola, che è peccato soltanto di chi si fa preparare cibi più raffinati di quanto richiesto dalle necessità del corpo o dalla qualità della sua persona. Almeno questo è quanto sostiene il teologo Alcuino di York (735 – 804).

Maestà, una bella produzione, quindi, come quella di due carri, che avrà certamente imbarazzato il vescovo e certamente l’esperienza dei formaggi non sarà l’ultima.

Certamente, e per questo quando il vescovo, temendo che sia impossibile soddisfare la mia richiesta, mi chiede come possa procurarsi formaggi della qualità richiesta e non altra, gli dico di saggiarli con uno spiedo e per un certo tempo di tenere in cantina quelli della giusta qualità, per poi mandarmeli. Ricordo inoltre che un giorno dell’anno 774, rientrando dall’Italia dove ho combattuto contro i Lombardi e giunto in Francia arrivo a una famosa abbazia. Al mio arrivo il padre priore ordina di portare in tavola una delle forme di formaggio custodite nelle cantine e che l’abbazia riceve come decima dai produttori locali. Si tratta di un meraviglioso formaggio e anche di questo ordino che due volte l’anno una certa quantità mi sia inviata al suo palazzo di Aix-la-Chapelle.

Non mi resta che ringraziare Carlo Magno che mi permette di aggiungere alcune considerazioni che scaturiscono anche da quanto soprattutto Eginardo intorno all’830 scriverà nella Vita Karoli Magni ispiratosi al De vita Caesarum di Svetonio. Le regole monastiche, che limitano se non escludono l’uso alimentare della carne, autorizzano invece l’uso del formaggio, in alternativa al non sempre disponibile pesce, e trasforma le abbazie in luoghi di fabbricazione di formaggi soprattutto di latte bovino che sono notevolmente più grandi dei formaggi ovi-caprini, e essendo di grandi dimensioni si prestano a lunghe conservazioni. Purtroppo, non sappiamo quali siano i vescovadi e le abbazie dei formaggi di Carlo Magno, ma oggi si pensa che uno possa essere quello di Vabres, piccolo villaggio nei pressi di Roquefort, dove esisteva un’importante abbazia guidata da un abate mitrato e che ha la tradizione di ospitare importanti personaggi di passaggio. Ancora oggi il roquefort è un formaggio erborinato originario di Roquefort-sur-Soulzon (Francia meridionale), con la principale caratteristica di avere venature blu-verdi (simili a quelle dell’italiano gorgonzola) provocate dallo sviluppo di una muffa, il Penicillium roqueforti (Penicillium glaucum) con una crosta umida e una pasta untuosa, compatta ed erborinata. Un’altra abbazia potrebbe essere quella di Notre-Dame de Jouarre dove ancora oggi si produce un formaggio vaccino a pasta molle e crosta fiorita che prende il nome da Brie in cui è prodotto con una crosta che si forma in seguito al trattamento con funghi del genere Penicillium e soprattutto Penicillium camembertii.

 

 

 

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.